Il golpe bianco della scorsa settimana si è concluso venerdì 12 febbraio, anno I° della restaurazione neo-orleanista (ossia – come in quella precedente – la fine della fase turbolenta di superamento dell’Ancien Regime, sancita dal ritorno in sella di reduci che – secondo Tocqueville – “non avevano imparato niente, non avevano scodato niente”); recentissimi accadimenti carichi di significati.
Magari palesi smascheramenti di menzogne e imbrogli, diventati verità di fede grazie alla costante ripetizione spudorata. E non mi riferisco tanto alla “fantasiosa” narrazione dell’avvento prossimo venturo di un presunto “governo dei migliori”, che le autorevoli penne di questa testata si sono giustamente premurate di seppellire nell’irrisione. Semmai dovrebbe essere ormai evidente anche agli occhi di pasdaran e talebani la malcelata verità che tante volte ha condannato all’ostracismo i miei post su questo blog: la vera natura da spregiudicato pifferaio magico di creduloni indifesi, malamente occultata tra battute urlate e gag a doppio senso, del definitivo liquidatore dell’indignazione di una consistente fetta del popolo italiano: il Beppe Grillo, che – per dirla alla toscana – grazie all’acchiappacitrulli del presunto ministero della transizione ecologica ha turlupinato per l’ennesima volta i sui seguaci; portandoli ad avallare un’operazione, a mio avviso, dal sostanziale significato reazionario (dopo tanti vaneggiamenti sulla democrazia diretta grazie a Internet, da tempo formidabile strumento di condizionamento e sorveglianza-controllo per milioni di utenti, trasformati in merce commercializzabile da parte delle Major al silicio).
E con il bluff dell’apparente innovazione ministeriale arriviamo a un altro smascheramento; grazie al personaggio preposto a guidarci verso la terra promessa della Città del Sole ecologica: Roberto Cingolani, uno di quei tecnici di alta competenza che costituirebbero la punta di lancia dell’ipotetico rinnovamento salvifico promosso dall’allievo di rispettabili maestri quali Federico Caffè e Carlo Azelio Ciampi: il presunto keynesiano Mario Draghi, quinta colonna neppure troppo occulta; non del pensiero Neo-Lib, bensì della controrivoluzione plutocratica a mezzo finanza e banche dell’ultimo quarantennio.
Chi è questo Roberto Cingolani, asceso a ruolo di garante dell’effettiva volontà rinnovatrice dei rieccoli? Si tratta del tecno-mago che ha gestito per anni l’Istituto Italiano di Tecnologie: la fondazione di diritto privato nata con faraoniche dotazioni finanziarie pubbliche (in gran parte sepolte in conti correnti bancari, mentre la ricerca scientifica italiana resta alla canna del gas) su iniziativa di Giulio Tremonti e di un personaggio in penombra come Vittorio Grilli, con la missione della diffusione tecnologica di cui non si è vista traccia. Continuando a turlupinare moltitudini di tecno-creduloni con effetti speciali: il robot antropomorfo con faccetta buffa, la pelle sintetica del polpo, il tablet per ciechi.
E, tra mirabilie varie, il progetto scientifico del governo Renzi denominato “Human Technopole”. Il giochino da 1,5 miliardi di fondi pubblici per sistemare alcune aree dell’Expo milanese; inizialmente concertato tra il premier e il solito Cingolani, poi stoppato per mancanza di trasparenza dall’insurrezione della comunità scientifica nazionale. Con in testa una scienziata vera quale la senatrice a vita Elena Cattaneo; subito dopo vittima di un hackeraggio diffamatorio a firma Rosetta95. Come rivelò ROARS, il sito della comunità scientifica italiana, Rosetta95 è lo pseudonimo di Valentina Polini, dell’ufficio Comunicazioni e Relazioni Esterne di IIT.
Del resto non possiamo attenderci di meglio dallo zar preposto alla transizione digitale Vittorio Colao, autore del retrogrado rapporto agli Stati Generali totalmente sordo alle potenzialità democratiche delle tecnologie comunicative e indossabili. O dallo gnomo di BankItalia, Daniele Franco. Gente intuibile da che parte stiano.
Perfetti per quella normalizzazione che ormai risulta un disegno annunciato.