Il nuovo presidente del Consiglio accolto con soddisfazione Oltretevere. Si apprezza la formazione all'istituto Massimo gestito dai gesuiti e il legame con la religione costante negli anni. Giudizi favorevoli anche sulla composizione dell'Esecutivo, gradita in particolare la figura di Marta Cartabia
In Vaticano è già stato ribattezzato “il governo filo gesuita”. Fin dal momento in cui il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha conferito a Mario Draghi l’incarico di formare il nuovo esecutivo, il direttore de La Civiltà Cattolica, il gesuita padre Antonio Spadaro, non ha fatto mancare il suo forte plauso per la scelta del capo dello Stato. Oltretevere nella biografia di Draghi conta innanzitutto il suo essere stato allievo proprio dei seguaci di Sant’Ignazio di Loyola nell’Istituto Massimo di Roma, dalla quarta elementare al terzo liceo. Un ricordo indelebile nella formazione del neo premier, rimasto legato alla Compagnia di Gesù e a molti suoi docenti del tempo.
“Tutti noi – ha ricordato Draghi – al di là di quello che potevamo fare come scolari, al di là di quanto noi potessimo apprendere, avevamo un compito nella vita. Un compito che poi il futuro, la fede, la ragione, la cultura, ci avrebbero rivelato”. Una rassicurazione importante per la Santa Sede come lo era stato del resto la formazione del predecessore di Draghi a Palazzo Chigi, Giuseppe Conte, che aveva frequentato Villa Nazareth, il collegio degli universitari fondato a Roma dal cardinale Domenico Tardini che fu Segretario di Stato nei primi anni del pontificato di San Giovanni XXIII. Realtà nella quale Conte ha conosciuto il cardinale Achille Silvestrini, grande sostenitore della Ostpolitik vaticana , e l’attuale Segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin.
Per Draghi gli endorsement dei gesuiti non sono mancanti nemmeno davanti alla compagine di governo. Non è un mistero la profonda sintonia tra la neo ministra della Giustizia, Marta Cartabia, e il politologo gesuita padre Francesco Occhetta. Durante la crisi del primo governo Conte, nell’estate 2019, il sacerdote la propose alla guida dell’esecutivo: “Marta Cartabia potrebbe essere un’ottima candidata a Palazzo Chigi, attuale giudice costituzionale, docente universitario, persona colta, fidabile e affidabile, non appartiene a partiti ma ha ampia visione politica”. E al termine del suo mandato come presidente della Corte Costituzionale, il 13 settembre 2020, aggiunse: “Il Paese ha ancora tanto bisogno di lei”. Commentando poi l’esecutivo di Draghi ha affermato: “Un governo che respira a due polmoni, quello tecnico, piccolo e forte, e quello politico più grande di ciò che ci si attendeva. Nomi e ministeri importanti come Marta Cartabia, Enrico Giovannini, Elena Bonetti, Dario Franceschini. Age quod agis!”.
Ovvero fai bene quanto stai facendo. La neo ministra della Giustizia è anche autrice della prefazione al volume di padre Occhetta intitolato Ricostruiamo la politica. Orientarsi nel tempo dei populismi. Nel testo, riprendendo un’espressione molto cara a Papa Francesco, la Cartabia sottolinea “l’urgenza della buona politica: non di quella asservita alle ambizioni individuali o alla prepotenza delle fazioni, delle ideologie o dei centri di interessi, o addirittura preda della corruzione; ma della buona politica, che è, cioè, capace di includere, che sa essere coraggiosa e prudente allo stesso tempo, responsabile, collaborativa, disposta a lasciare le sue buone idee, senza abbandonarle, per metterle in discussione con tutti nella ricerca del bene comune”.
Per padre Spadaro quello realizzato da Draghi con la composizione del suo governo è un “raffinato equilibrio”. E spiega: “Questa soluzione non mi sembra una ammucchiata, ma fa molto leva sulla figura del presidente del Consiglio e sulla Costituzione. È un governo sulla Costituzione e quindi obiettivo di fondo è il Paese e il bene comune, al di là delle singole posizioni ideologiche. È una soluzione peculiare per una situazione molto peculiare. Certo ci sono dentro tutti, ma il momento è estremamente delicato e quindi c’è un bene più generale della Nazione che chiede a forze molto diverse tra loro, e che è un bene che mantengano le differenze, di convergere per il bene comune.
Questa situazione è così delicata che richiede attenzione speciale”. Secondo il gesuita “sarebbe stata una ammucchiata se Draghi avesse messo punte estreme in contatto tra loro, dunque in conflitto, invece ha scelto figure di tecnici in posizioni molto delicate e figure di politici abituati a fare un lavoro di mediazione: in questo risiede la saggezza della scelta. Al di là delle etichette, Draghi ha trovato persone che sono in grado di lavorare insieme, facendo in modo che i valori che le singole forze portano avanti possano convergere in funzione di un progetto comune che ha obiettivi chiari e limitati nel tempo”. Per Spadaro “questo momento di promiscuità forzata che stanno vivendo i partiti arriva a seguito della crisi politica che ha rivelato anche una crisi di identità. Questa sorta di promiscuità diventa il vero banco di prova in cui le varie forze potranno in qualche modo riscoprire se stesse e riscoprire, quasi come in un’arca di Noè, anche i propri istinti naturali”.
In Vaticano l’ammirazione per il neo premier non è mai stata un mistero. Bergoglio lo aveva ricevuto in udienza privata con la sua famiglia pochi mesi dopo la sua elezione al pontificato, il 19 ottobre 2013, quando Draghi era ancora presidente della Banca centrale europea. E poco tempo dopo la fine di questo suo incarico, il 10 luglio 2020, lo aveva nominato membro ordinario della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali. C’è attesa ora per il primo faccia a faccia tra i vertici della Segreteria di Stato e della Cei con Draghi che avverrà subito dopo che il suo governo avrà incassato la fiducia di Senato e Camera.
L’occasione sarà offerta dall’annuale ricevimento per l’anniversario dei Patti Lateranensi che si tiene all’Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede e al quale partecipa anche il presidente della Repubblica. Nell’agenda del Quirinale l’incontro, quest’anno eccezionalmente senza il successivo ricevimento a causa della pandemia, era previsto per il 12 febbraio. Nei giorni della crisi di governo si era in un primo momento ipotizzato di svolgerlo lo stesso facendovi partecipare sia il premier uscente che quello entrante. Ma poi sia dal Quirinale che dal Vaticano si è preferito farlo slittare perché proprio il 12 febbraio Draghi avrebbe sciolto la riserva annunciando la lista dei suoi ministri. Ma anche perché i vertici della Chiesa cattolica volevano che il faccia a faccia si svolgesse dopo il discorso programmatico che Draghi pronuncerà in Parlamento chiedendone la fiducia.
Intanto dalla Conferenza episcopale italiana, che non ha mai nascosto il suo tifo per un Conte ter, è arrivato un primo messaggio di auguri al neo premier. “La Chiesa che è in Italia – ha affermato il presidente della Cei, il cardinale Gualtiero Bassetti – sarà un interlocutore attento e collaborativo, come sempre avvenuto, nel rispetto delle reciproche competenze”. E ha aggiunto: “Abbiamo seguito con trepidazione e preoccupazione gli sviluppi della recente crisi politica, ben sapendo che l’Italia ha bisogno di unire le forze per affrontare le pesanti, persino tragiche, ricadute della pandemia da Covid-19”. Un’emergenza che per Bassetti “ha posto in evidenza fratture molteplici: sanitarie, sociali, economiche, educative, generando fra l’altro nuove e diffuse povertà”.
La speranza del porporato è che Draghi “vorrà assegnare una prioritaria attenzione proprio alle persone e alle famiglie maggiormente segnate dalla sofferenza, dalla precarietà e dalla crisi economica. Abbiamo anche potuto apprezzare, – ha aggiunto il cardinale al neo premier – in continuità con i suoi precedenti incarichi, una particolare sottolineatura dell’orizzonte politico europeo, con uno sguardo rivolto alla solidarietà tra le nazioni, alla pace, allo sviluppo sostenibile e alla giustizia sociale”. Nonostante il tifo per un Conte ter, i rapporti tra la Cei e l’ex premier non sono stati sempre idilliaci, soprattutto quando si verificò uno scontro abbastanza aspro sulla chiusura delle chiese durante il lockdown .
In quel caso Conte poté contare sull’appoggio del Papa che smentì la Chiesa italiana convinto, come gli si fece notare proprio da Palazzo Chigi, che con quel comportamento avrebbe messo il Paese in mano a Salvini . Ora, però, Oltretevere si fa notare l’assenza di un “pontiere” nel governo Draghi. Un ruolo che, in Vaticano, sperano sia incarnato dallo stesso premier come è stato per il suo diretto predecessore. Dal Papa, finora, nessun accenno esplicito al nuovo esecutivo. Solo un augurio ai fedeli italiani affinché “in una società che continua ad essere lacerata da contrasti e divisioni, siate segno di un progetto di riconciliazione e di fraternità che affonda le sue radici nel Vangelo e nell’aiuto indispensabile della preghiera”.
Twitter:@FrancescoGrana