I catalani confermano la fiducia alle forze politiche che chiedono l'indipendenza. Al Partito socialista non basta la candidatura del popolare ministro della Salute Illa: è il primo partito ma non ha potenziali alleati per arrivare al governo della Generalitat. In assemblea entrano i nazionalisti di Vox
La Catalogna non cambia pelle alle urne. La fisionomia del nuovo Parlamento che nascerà dalle elezioni di questa domenica secondo exit poll e proiezioni somiglia parecchio a quella dell’assemblea uscente: gli indipendentisti avranno la maggioranza. Non l’hanno cambiata la ferita delle botte ai seggi del referendum del 2017, né gli arresti e il processo ai leader e infine nemmeno una pandemia mondiale che ha messo in ginocchio la Catalogna più di altre regioni della Spagna e di Europa. Le elezioni sono state segnate da un crollo dell’affluenza rispetto al 2017 soprattutto a causa del coronavirus che in Catalogna ha finora fatto registrare oltre 540mila contagi e quasi 9.900 morti, ma sembrano assestare un altro schiaffo a Madrid.
Secondo i giornali e le tv catalane i dati, al momento parziali e tutti da definire, dicono che i tre partiti indipendentisti – che si sono presentati separati – possono formare un’alleanza nel Parlamento di Barcellona ottenendo la maggioranza assoluta con almeno 73 seggi sui 68 necessari. In particolare secondo La Vanguardia Erc (Esquerra republicana de Catalunya, di sinistra, ancora presieduta da Oriol Junqueras, in carcere per il referendum illegale e la dichiarazione d’indipendenza del 2017) otterrebbe indicativamente 33 seggi, Junts per Catalunya (di centrosinistra, di cui faceva parte l’ex governatore Carles Puigdemont, ancora esule in Belgio) 31, Cup (Candidatura d’Unitat Popular, di sinistra) 9.
La prima forza è il Partito socialista catalano (che prenderebbe 35 deputati) e che candidava il ministro della Sanità del governo Sànchez, Salvador Illa, diventato molto popolare nell’ultimo anno, ma è privo di alleanze che gli permettano di raggiungere il governo della Generalitat. Potrebbe tentare sulla carta una coalizione tutta di sinistra con Catalunya ec Comù e Erc, ma quest’ultima ha preso chiaramente le distanze da un’ipotesi del genere già in campagna elettorale. Gli alleati di governo di Podemos, che in Catalogna prendono il nome di En Comù Podem, non andrebbero oltre i 6-7 seggi. Stesso numero di deputati andrebbe a Vox e Ciudadanos che con ispirazioni opposte tra loro (i primi nazionalisti, i secondi liberal-democratici) sono i nemici giurati dell’indipendentismo catalano. I Popolari non andrebbero oltre i 5 seggi. Non è ancora chiaro, infine, se il PdeCat, il Partito democratico europeo ex partito di Puigdemont, riuscirà a rientrare in Parlamento.
E’ probabile dunque che sia Erc a prepararsi alla guida di un blocco indipendentista: ciò le consentirebbe di provare a imporre la sua agenda più moderata, lontana dalla via unilaterale all’indipendenza (perseguita dai secessionisti duri e puri di Junts) e favorevole invece ad un pressing su Sànchez per un referendum concordato con il governo centrale di Madrid. Anche questa però una strada tutta da esplorare.