Cultura

Emanuela Tagliavia racconta l’esperienza della danza via Zoom: “Questi ragazzi durante il Covid hanno davvero fatto i conti con la loro motivazione”

A raccontare l’esperienza della danza in zoom è la coreografa Emanuela Tagliavia, docente di danza contemporanea all’Accademia del teatro alla Scala, Scuola civica Paolo Grassi e Spid -Scuola professionale italiana danza a Milano

“Dalla terrazza, dalla cucina, dalla camera da letto, persino dal garage e dal ballatoio gli allievi danzatori si collegavano per le lezioni online. Entrava il gatto, passava un famigliare, si intravedevano i preparativi dell’albero di Natale, a volte spariva la rete a causa dei troppi dispositivi connessi di tutta la famiglia in smart working”. A raccontare l’esperienza della danza in zoom è la coreografa Emanuela Tagliavia, docente di danza contemporanea all’Accademia del teatro alla Scala, Scuola civica Paolo Grassi e Spid -Scuola professionale italiana danza a Milano.

Come si affronta la classe di danza senza la fisicità del corpo e del movimento?
Non è stato facile. La maggior parte degli allievi fra febbraio e marzo, all’inizio della prima fase dell’emergenza, sono è tornata a casa, chi in Italia chi all’estero. Abbiamo deciso quasi subito di attivare le lezioni online per mantenere vivo il rapporto con loro e permettere una sorta di proseguimento del programma. Ma questo non poteva bastare. Mi sono chiesta allora cosa potessi fare per rovesciare la situazione, per sfruttare la nuova modalità di insegnamento online in modo da aggiungere, non togliere.

Come ha rovesciato la situazione?Ho deciso di responsabilizzare i ragazzi, dar loro strumenti per cogliere stimoli creativi malgrado le costrizioni. Ho messo a punto progetti su cui farli lavorare singolarmente negli spazi e nei tempi della loro vita in famiglia. Il viaggio virtuale nelle loro abitazioni, dal Nord al Sud Italia, aveva mostrato ambienti così diversi che sarebbe stato impossibile lavorare con i soliti schemi. Dovevo far in modo che ciascuno di loro trovasse nel luogo obbligato della casa una fonte di ispirazione.

Per esempio?
Gli allievi scaligeri hanno svolto laboratori individuali: fornivo loro indicazioni per sviluppare coreografie singole all’interno dell’abitazione. Proponevo un tema da elaborare in un breve video entro una scadenza stabilita. Più che di un compito, si trattava di un invito a trasformare l’esperienza del lockdown in un momento di ricerca personale. Per l’ottavo corso, a pochi mesi dal diploma, ho pensato all’idea di coreografie “For small spaces” (per piccoli spazi) che hanno poi portato alla maturità. Anche per la Paolo Grassi nel teatro danza e per la Spid, che forma nel musical e nei programmi tv, ho lavorato su contenuti diversi dal solito.

Come hanno reagito i ragazzi dell’accademia scaligera?
Con entusiasmo e sorpresa. C’è stato chi si è inventato uno spazio minuscolo in una casa davvero troppo affollata, chi ha fatto del garage il proprio studio, chi ha preferito utilizzare il terrazzino vista mare. Una modalità di lavoro simile sarebbe stata impossibile in sala. Non solo: la casa è diventata un luogo ricco di significato, collegamento fra presente e passato. Organizzavo gruppi di lavoro legati al colore delle pareti, agli spazi opposti: grandi e piccoli, esterni e interni, sui tetti o sotterranei. Anche la percezione del tempo è cambiata: tutto era dilatato e sospeso. Arrivavano video di coreografie in qualsiasi orario, l’attesa è diventata contatto intimo, fiducia.

Lei è anche coreografa, i suoi progetti sono saltati?
Al teatro alla Scala erano programmati la ripresa del Tannhäuser di Wagner della Fura dels Baus in cui avrei dovuto creare le parti coreografiche, Un ballo in maschera di Verdi per la regia di Gabriele Salvatores, Balthus variations, rimessa in scena al Piccolo Teatro, per gli allievi della Scala, di una mia creazione del 2013. Infine il festival Pulchra minima al teatro Gerolamo di Milano, di cui sono direttrice artistica. Tutti saltati con la chiusura dei teatri. Il mio ultimo lavoro, Shortcut, presentato alla Fonderia di Aterballetto a Reggio Emilia, risale a un anno fa. Poi il nulla.

Nessuna coreografia durante il lockdown?
Ho realizzato diversi lavori coreografici in video con la collaborazione di registi e musicisti. La tecnologia come mezzo espressivo mi ha nutrito. Ma la scena è un’altra cosa.

Lezioni e composizioni in video saranno mantenute come metodo di lavoro anche dopo la fine dell’emergenza?
Non possono sostituire quelle dal vivo, così come le prove che precedono uno spettacolo. Come danzatrice e spettatrice sono convinta che l’esperienza di formazione e teatrale debbano essere reali. A teatro si vive un’esperienza fisica. Anche quando ci si annoia. Se è già diverso vedere un film in tv o andare al cinema, figuriamoci come cambia la presenza dal vivo in teatro rispetto allo streaming.

Tornati in presenza gli allievi cosa le hanno riportato del lockdown?
Per loro la presenza in sala è ossigeno. Sono consapevoli di essere fortunati a poter danzare mentre le scuole di danza non professionali sono chiuse. In Italia come nel mondo questi ragazzi durante il Covid hanno davvero fatto i conti con la loro motivazione. Avere la forza di continuare in questo momento, non aver abbandonato la danza, significa aver fatto una scelta.