Era in carcere per associazione mafiosa ma continuava a percepire l’indennità dell’Inps maturata come falso bracciante agricolo, ed è stato lui stesso a riferirlo ai pm. Arrestato nella maxi operazione Nebrodi del gennaio 2020, ha poi deciso di collaborare con la giustizia aiutando gli investigatori a risalire a una truffa ai danni di Agea e Inps per 1,5 milioni di euro. Vicenda per la quale stamattina è finito ai domiciliari l’imprenditore agricolo Luigi Denzè, mentre risultano indagate altre 150 persone: sarebbero tutti falsi braccianti agricoli residenti sui Nebrodi che hanno percepito contributi Inps, chi per licenziamento, chi per maternità, chi per malattia. Tra questi il collaboratore di giustizia Giuseppe Marino Gamazza e la moglie del “Biondino”, al secolo Sebastiano Bontempo, noto esponente del clan dei Tortoriciani. I reati contestati agli indagati, in concorso tra loro, vanno dal falso commesso in atto pubblico sino alla truffa aggravata finalizzata al conseguimento di erogazioni pubbliche e la truffa ai danni dell’Inps.
L’indagine parte nel 2017 da alcuni controlli sui contributi Inps della Guardia di Finanza di Patti, guidata dal tenente colonnello Alessandro Freda e coordinata dalla Dda di Messina, guidata dal procuratore Maurizio De Lucia. Nel 2020, dopo l’Operazione Nebrodi, il quadro indiziario si fa più nitido. In quell’operazione infatti, la Dda di Messina chiede e ottiene la custodia cautelare per 94 persone accusate di associazione a delinquere di stampo mafioso. Contestualmente sono state sequestrate oltre 150 aziende, in virtù dell’acclarato interesse del clan dei Tortoriciani e del clan dei Batanesi (dal nome di una contrada di Tortorici) per il controllo e la percezione di ingenti contributi comunitari concessi dall’Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura (Agea). Tra gli arrestati due decidono di collaborare con la giustizia: sono Salvatore Costanzo Zammataro e Giuseppe Marino Gamazzo del clan dei Batanesi (dal nome di una contrada di Tortorici): “Dopo il 2010, l’associazione dei Batanesi si è resa conto che fare le estorsioni era poco conveniente, per cui si è focalizzata sul traffico di droga e sulle truffe all’Agea…”, così ha raccontato al pool della Dda di Messina, Zammataro.
Sono ben 15 le società che, secondo le indagini della Fiamme gialle di Patti, sono risultate dedite all’utilizzo strutturato di fatture “gonfiate”, al solo fine di dimostrare ai due enti pagatori, l’Ispettorato dell’Agricoltura di Messina e l’Agea, spese per la realizzazione di lavori agricoli, in realtà mai sostenute. Per questo già lo scorso dicembre la procura aveva chiesto il sequestro per equivalente di 1,5 milioni di euro. Mentre oggi è stato arrestato, ai domiciliari, l’imprenditore agricolo ritenuto dai pm contiguo ad esponenti dei clan dei Nebrodi, stando anche alle rivelazioni dei due collaboratori. Denzè – secondo quanto ricostruito dall’accusa – aveva ottenuto il contributo per migliorare le strutture aziendali agricole operanti nell’area dei Nebrodi dall’Agea e in virtù dei suoi terreni agricoli e dei 150 braccianti dichiarati – tutti indagati – gli stessi che avevano poi ottenuto le indennità per malattia, per disoccupazione, perfino per maternità per una somma totale sottratta illecitamente all’Inps di 550mila euro.