La prassi istituzionale da un lato e i tempi tecnici sull'altro versante. Una via stretta quella che il ministro della Salute si è ritrovato a percorrere per decidere il nuovo rinvio dell'apertura degli impianti. Dimissionario fino a venerdì sera, il reincarico ufficializzato sabato, quindi la verifica con il presidente del Consiglio della proposta avanzata dal Comitato tecnico scientifico di fronte al dilagare della variante inglese. E Palazzo Chigi conferma che la decisione è stata condivisa
La prassi istituzionale da un lato e i tempi tecnici sull’altro versante. Una via stretta quella che Roberto Speranza si è ritrovato a percorrere per decidere il nuovo rinvio dell’apertura degli impianti sciistici. Ministro della Salute dimissionario fino a venerdì sera, il reincarico ufficializzato sabato con il giuramento poco prima di mezzogiorno, quindi la verifica con il presidente del Consiglio Mario Draghi della proposta avanzata dal Comitato tecnico scientifico – che il 3 febbraio aveva dato l’ok sulla base di rigidi protocolli – sulla base del report sulla variante inglese dell’Istituto Superiore di Sanità, reso noto venerdì pomeriggio. Questa mattina fonti da Palazzo Chigi all’Ansa hanno confermato che la decisione sugli impianti di sci è stata condivisa nel governo. Così si è arrivati alle 18.53 di domenica, quando le piste da sci erano ormai tirate a lucido e pronte ad accogliere i turisti da stamattina, a quasi un anno dallo stop per lo scoppio della pandemia.
La decisione è stata sofferta ma inevitabile dopo la lettura del verbale, che lancia l’allarme sulla pericolosità di una de-escalation: “Allo stato attuale – scrivono gli scienziati – non appaiono sussistenti le condizioni per ulteriori rilasci delle misure contenitive vigenti, incluse quelle previste per il settore sciistico amatoriale”. Speranza ha letto e riletto quanto messo nero su bianco e ha chiamato il presidente del Consiglio, che dato il suo benestare al quarto rinvio dopo quelli al 3 dicembre, poi al 7 gennaio, quindi al 18 gennaio e al 15 febbraio e adesso la proroga al 5 marzo. La stagione è sostanzialmente compromessa e gli operatori del settore avvisano che il “fallimento” di molte imprese è dietro l’angolo. Così la Lega ha scatenato la prima bagarre, attaccando il ministero nella settimana che porterà alla nomina dei sottosegretari.
Un serrato battage di dichiarazioni contro la Salute portato avanti non solo da assessori al Turismo e governatori delle Regioni guidate dal Carroccio, ma anche con i capigruppo di Camera e Senato e i ministri Giancarlo Giorgetti e Massimo Garavaglia ai quali è toccato il lavoro più soft: chiedere con forza i ristori. Misure economiche che Speranza, nel comunicare il rinvio in extremis, aveva già assicurato con una formula che lasciava intendere il supporto di Draghi alla decisione: “Il governo si impegna a compensare al più presto gli operatori del settore con adeguati ristori”. Va da sé, che le compensazioni economiche non possono essere stabilite dal ministero della Salute e quindi la loro previsione era stata avallata dal capo dell’esecutivo. Eppure la polemica politica, anche interna alla stessa larga maggioranza di governo, è immediatamente partita coinvolgendo anche Italia Viva e Forza Italia.
Mentre Speranza è rimasto senza “paracadute”, nel silenzio del M5s e anche del Partito Democratico, tra le cui fila anzi 3 deputati si sono accodati al coro dei ristori. Eppure il ministro aveva una via obbligata, anzi ha cercato di salvare il salvabile di fronte a un allarme degli scienziati che avrebbe presupposto una proroga della chiusura ancora più lunga. La variante inglese ormai circola e secondo l’Istituto Superiore di Sanità diventerà il ceppo prevalente nel giro di 5-6 settimane. La chiusura degli impianti da sci rischia insomma di essere un preambolo di quel “lockdown totale” chiesto dal consigliere del ministro, Walter Ricciardi, sulla base di uno studio internazionale che allerta su un “aumento della letalità del 20-30%” della variante inglese. Una richiesta costata gli attacchi incrociati di Lega e Italia Viva che chiedono – con Matteo Salvini e Davide Faraone – di “parlare di meno”.
E di fronte alle critiche per le tempistiche della decisione, il ministero sottolinea l’importanza di prendere “nel pieno delle proprie funzioni” una decisione così delicata per migliaia di lavoratori. Fino a venerdì pomeriggio Roberto Speranza era un ministro dimissionario e ha giurato sabato mattina. Non a caso, mentre venerdì sono arrivate le ordinanze per il passaggio tra zone delle Regioni, solo sabato pomeriggio – dopo la cerimonia al Quirinale – è stata firmata l’ordinanza che prevede l’obbligatorietà di test e isolamento per i viaggiatori provenienti dall’Austria, dove circola la variante sudafricana.
I provvedimenti che esulavano gli schemi rodati come i passaggi tra le fasce di rischio – è il ragionamento che filtra dal ministero – necessitavano di una legittimazione formale e di un necessario confronto con il presidente del Consiglio. In ogni caso, il Comitato tecnico scientifico, interpellato dopo il report dell’Iss sulla variante inglese, si è riunito venerdì pomeriggio, quindi i tempi non avrebbero potuto essere molto più brevi. Dopo è stata una corsa contro il tempo, fino al via libera di Draghi che appena ventiquattr’ore prima a Palazzo Chigi aveva detto durante il primo Consiglio dei ministri di “parlare con i fatti”, evitando una corsa agli annunci, e chiesto di mettere nel cassetto gli “interessi di parte”. Domenica pomeriggio, dopo la prima grana che gli è piovuta sul tavolo, il neo premier ha saggiato quante anime abbia la sua eterogenea maggioranza.