Visegrad, 30 anni fa. Così Budapest e Varsavia hanno seppellito il sogno europeista e ora sfidano chi li ha aiutati
Lunedì 15 febbraio ricorrono trent’anni dalla nascita del Patto di Visegrad, sono sicuro che l’evento verrà celebrato molto discretamente. Perché è un anniversario tristanzuolo. Lo festeggeranno infatti i sovranisti e i nemici dei diritti, delle libertà e della democrazia che si sono impossessati del potere in Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia (queste ultime due a quel tempo ancora Cecoslovacchia). Eppure, le premesse erano state ben diverse.
Spirava nel cuore dell’Europa appena liberata dal giogo del comunismo un vento libertario, che voleva spazzar via il lungo sonno dei regimi fedeli al Cremlino. La caduta del Muro di Berlino aveva alimentato grandissime speranze ed altrettante aspettative nei Paesi del cosiddetto “Blocco di Varsavia” che avevano cacciato i governi fantoccio di Mosca ed avevano tantissima voglia d’Occidente. La Grande Aspettativa viene intercettata dai nuovi leader di Praga, Varsavia e Budapest. Tant’è che Lech Walesa, l’eroe di Solidarnosc diventato presidente polacco, come il suo omologo Vaclav Havel, l’eroe della Primavera di Praga, presidente di un’ambiziosa Cecoslovacchia convincono Joszef Antall, il premier ungherese, a creare una struttura informale con lo scopo dichiarato di “cooperazione” per raggiungere l’integrazione europea quanto prima. Hanno l’appoggio dichiarato della Germania, che vede ottime prospettive di penetrazione finanziaria ed economica. C’è l’assenso di Francia e Italia. Insomma, le prospettive sono positive.
Walesa, Havel e Antalla scelgono un luogo per nulla casuale dove sancire il loro accordo: il castello reale di Visegrad. Qui, nel 1335 i re di Ungheria, Boemia e Polonia strinsero un’alleanza divenuta secoli dopo simbolica e spiritualmente significativa. Rappresentava la volontà di dar corpo e sostanza alla pulsione “europeista”. L’affiliazione culturale e politica ai valori fondanti del Vecchio Continente. Dopo la separazione pacifica di Bratislava da Praga, il Gruppo di Visegrad si ritrovò formato da quattro Paesi, un blocco geopolitico che sembra far da cuscinetto tra Ovest ed Est. Ogni anno, i Quattro di Visegrad decidono di tenere un summit, sotto la presidenza di uno di loro, a turno, per confrontare gli sviluppi del lavorìo diplomatico e di controllare l’ascesa inevitabile dei nazionalismi che già serpeggiavano.
In verità, tra il 1994 e il 1998 non è che tra i Quattro le cose andassero per il meglio. La solidarietà resta appesa alle parole. Ognuno cerca di arrangiarsi, nella perigliosa rincorsa all’Europa. La strategia, appunto, è quella del “cavaliere solitario”. Inoltre Varsavia, Budapest e Praga snobbano Bratislava, anche perché in Slovacchia si è intanto affermato Vladimir Meciar, un premier nazionalista – e questo passi – ma soprattutto filo russo, e questo inquieta i soci, e pure Bruxelles. Via Meciar e l’euroscettico Havel, il Gruppo di Visegrad comincia a ricompattarsi. Ed agisce in modo unitario. Con successo. Scombinano le carte, preoccupano Mosca, perché nel 1999 Polonia, Ungheria e Cechia raggiungono la Nato. E’ il passo decisivo che gli spiana la strada verso l’Europa. Che li accoglie nel 2004. Compresa la Slovacchia che raggiunge i soci pure nella Nato (era, questa una condizione necessaria, ma sottaciuta).
La doppia integrazione è dunque la vittoria del Gruppo di Visegrad. Ma è anche una sconfitta: perché così perde la sua primitiva ragione d’essere. Da quel momento, comincia tutta un’altra storia. E non è una bella storia. L’Unione Europea vuol dire, per esempio, armonizzazione delle fiscalizzazioni. I Quattro non ci stanno. Anzi. Pretendono una maggiore mobilità nel mercato e del lavoro (ossia vogliono sfruttare i minori costi e certe disinvolture sul piano della normativa). Attingono comunque a piene mani dai fondi sociali e strutturali europei. I risultati sono impressionanti. Tra il 1994 e il 2018 la crescita annuale del loro Pil è mediamente del 3,4%, sia pure modulato su piani differenti (dal 2,5% dell’Ungheria al 4,2% della Polonia). Un ritmo superiore al resto dell’Europa, in cui parecchi fattori hanno giocato, a cominciare dalla qualità delle riforme economiche e alla gran voglia di recuperare lo svantaggio che li separava dai Paesi più progrediti.
L’indice più interessante, però, è quello relativo agli investimenti diretti stranieri. Sono la cartina di tornasole della salute economica e finanziaria di ogni Paese. Ebbene, la crescita annuale è del 16% (dall’11% dell’Ungheria al 19% della Polonia). Per intenderci, la Cina nello stesso periodo ha fatto peggio (+14%). Cosa vuol dire? Che l’attrattività dei Quattro di Visegrad è molto elevata. Perché si realizza una montagna di quattrini, un vero Far West. O meglio, Far East… Poi, perché in Polonia, Ungheria e Cechia c’è piena occupazione, tranne in Slovacchia, dove il tasso di disoccupazione è del 7%.
Il successo, però, va a vantaggio dei regimi politici, ed ha un grosso prezzo: cela fragilità economiche ed istituzionali. Per esempio, l’invecchiamento delle popolazioni (con i maggiori costi sociali e previdenziali). La riduzione dei fondi europei. La dipendenza nei confronti degli investitori stranieri, soprattuto tedeschi. L’Ungheria, in particolare, è l’anello debole dei Quattro: patisce un debito elevato, rispetto agli altri tre soci (70% del Pil), e ha un cronico deficit di bilancio. Il che favorisce la radicalizzazione delle politiche interne e lo sviluppo dei nuovi nazionalismi secondo la cifra esasperata del sovranismo. Malattia da cui debolmente sta cercando di guarire la Slovacchia (peraltro, l’unica ad aver adottato l’Euro), alle prese con un nuovo governo più attento e disponibile alle riforme (vedi di recente il dietrofront sull’impopolare dossier delle pensioni) e alla lotta contro la corruzione e i gruppi di potere collusi con le mafie.
Già. Corruzione. Assalto allo stato di diritto. Indipendenza del sistema giudiziario sempre più precaria. Mancanza di libertà di stampa ed opposizioni zittite sono i principali ostacoli sulla via che da Visegrad doveva portare a Bruxelles ed invece sta portando a derive insopportabili. Quelle di Ungheria e Polonia che hanno attuato una pesante politica di repressione del dissenso e di violazione dei diritti, ferendo gravemente il corpo dei valori fondamentali di ogni democrazia, travalicando il confine che separa il potere giudiziario da quello esecutivo. L’anomalia è presente nelle cronache di tutti i giorni.
E allora, perché ricordarne i trent’anni? Perché ricordiamo anche la Shoah. Il Vietnam. La Libia. La Siria. La caduta di Trump. Perché c’è chi lotta contro i soprusi spacciati per “interessi nazionali da difendere contro i superpoteri di Bruxelles” e continua a sperare nell’Europa dei valori, delle libertà, della giustizia. L’Europa agognata nel patto stretto a Visegrad il 15 febbraio del 1991. Macché. I governi di Budapest e di Varsavia hanno seppellito quel sogno, ora sfidano chi li ha aiutati. Fanno guerra alle istituzioni della Ue, non sopportano i principii fondanti dello Stato di diritto. Una guerra.
To jest wojna, “questa è una guerra”. Dovrebbe riconoscerlo Ursula von der Leyen. Invece è il grido di battaglia delle donne polacche. Protestano contro la legge entrata in vigore mercoledì 27 gennaio che limita il diritto all’aborto. Ed è guerra per difendere l’informazione sulle sponde della Vistola e su quelle del Danubio. Dove le ultime voci libere vengono zittite. Tanto che a Varsavia il 12 febbraio giornali siti e tv sono usciti con pagine e schermate tutte nere, sovrastate da una scritta: Media bez wiboru, media senza scelta. Per denunciare un progetto di legge infido e devastante, la tassa del 15 per cento sugli introiti pubblicitari che di fatto manderebbe a gambe all’aria tutti le 43 testate indipendenti (giornali, siti privati e le testate televisive) che non sono schierate con il potere. La legge prevede che i media dovranno ospitare più materiali dal “contenuto nazionale polacco”. La “ripolonizzazione” dell’informazione. Come ai tempi di Stalin, di Hitler, di Mussolini.
Il blitz del Partito Diritto e Giustizia, giustificato ufficialmente dalla necessità di reperire più fondi per la lotta contro il Covid (una bugia plateale: ci sarebbero i soldi Ue…), arriva il giorno dopo che a Budapest viene chiusa l’ultima voce libera dell’Ungheria, KlubRadio (500mila ascoltatori), emittente bloccata dal governo con la scusa di una piccola inadempienza amministrativa, un ritardo burocratico. Da qui la revoca della licenza, che ha confermato la decisione dell’ineffabile Consiglio dei Media, organismo composto solo da esponenti fedelissimi ad Orban. Lo stop alle trasmissioni ha un sapore beffardo: a mezzanotte del giorno di san Valentino…
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La Redazione
Mosca, 19 feb. (Adnkronos) - "E' necessario ripulire l'eredità dell'amministrazione Biden, che ha fatto di tutto per distruggere anche i primi accenni alle fondamenta stesse di una partnership a lungo termine tra i nostri Paesi". Lo ha detto il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov parlando alla Duma all'indomani dei colloqui di Riad, commentando la possibilità di una cooperazione strategica tra Russia e Stati Uniti e aggiungendo che potrebbero essere create le condizioni per colloqui sulla sicurezza e sulla stabilità strategica tra i Paesi.
Roma, 19 feb. (Adnkronos) - "Il partito di Giorgia Meloni é nei guai fino al collo e la maggioranza spaccata platealmente come dimostra la dissociazione di Forza Italia dalla conferenza stampa dei suoi alleati. Dagli assetti europei alla guerra in Ucraina allo spionaggio con Paragon, dalle parti di Fratelli d’Italia non sanno dove girarsi e allora attaccano l’ex presidente Conte. Era evidente fin dall’inizio l’intento da parte della destra di usare a fini politici la commissione parlamentare sul Covid, ora il re è nudo”. Così Luana Zanella, capogruppo di Avs alla Camera.
Roma, 19 feb. (Adnkronos) - “Stamane alcuni ragazzi sulle scale di Montecitorio hanno gettato dei sacchetti con del cibo che la Gdo cestina ogni giorno per richiamare la nostra attenzione sul Giusto Prezzo e sul fatto che il cibo di qualità sia un privilegio per pochi, al contrario di quello che il Ministro dell’agricoltura Lollobrigida sostiene". Così il capogruppo Pd in commissione Agricoltura e segretario di Presidenza della Camera
"Mentre solo pochi giorni fa dichiaravano sullo spreco alimentare e sull’importanza di evitarlo, oggi che fanno i Presidenti di Camera e Senato? Fontana li accusa di atti vandalici e La Russa lo ha definito un atto vile. Ma ci rendiamo conto? Questi sarebbero atti vili e vandalici? E cosa facciamo noi per alleviare le sofferenze di quei produttori che nonostante l’inflazione e il caro prezzi non ricevono soldi in più? Cosa facciamo per quei consumatori costretti a rinunciare a proteine e carboidrati, al cibo sano e sostenibile perché troppo costoso? E soprattutto cosa diciamo a dei ragazzi che ci richiamano con parole pulite e striscioni corretti a dare delle risposte concrete senza offendere nessuno?".
"La maggioranza e il governo, il ministro Lollobrigida che oggi attendiamo in Aula dovrebbero rispondere su questo non offendere dei giovani innocenti che si preoccupano giustamente del nostro e loro futuro!”.
Roma, 19 feb. (Adnkronos) - "Picierno è una signora che ogni mattina si sveglia pensando a una sciocchezza da dire sul Movimento 5 Stelle. Picierno è un'infiltrata dei fascisti nella sinistra. Chiede più guerra, più armi, più povertà, più morti: non ha nulla a che vedere con la sinistra. E' un'infiltrata dei fascisti. Cosa ha in comune con la sinistra chi chiede più armi e più povertà? Picierno lo chiede in ogni situazione". Lo ha detto l'eurodeputato M5S, Gaetano Pedullà, a L'Aria che Tira su La7.
Palermo, 19 feb. (Adnkronos) - E' stato solo momentaneo lo stop della colata lavica di ieri pomeriggio sull'Etna. Come conferma all'Adnkronos Giuseppe Salerno, dell'Osservatorio etneo dell'Istituto nazionale di Geofisica e Vulcanologia, "la colata lavica è attiva" e prosegue, "e attualmente c'è una eruzione in corso". La colata lavica continua così ad avanzare lentamente lungo il fianco occidentale dell'Etna in direzione Sud-Ovest, attestandosi intorno a 1.800 metri di quota.
Intanto, sui paesini intorno al vulcano continua a 'piovere' cenere lavica. È l'effetto dell'eruzione sommitale in corso sul vulcano attivo più alto d'Europa con una bocca effusiva che si è aperta, l'8 febbraio scorso, a quota 3.050 metri, alla base del cratere Bocca Nuova.
Roma, 19 feb. (Adnkronos) - "Non so se è chiara la gravità di quello che sta accadendo, ma temo proprio di no. Provo a mettere brevemente in fila i fatti per spiegarlo". Lo scrive Matteo Orfini del Pd sui social.
"Come noto, un software spia (Graphite, prodotto dalla azienda Paragon) è stato utilizzato per spiare attivisti politici e giornalisti come il direttore di Fanpage, Francesco Cancellato. Quando è emersa la notizia il governo ha negato ogni responsabilità. Ul Guardian ha scritto che a causa dell'uso improprio l'azienda Paragon aveva sospeso il contratto col nostro paese. Il ministro Ciriani ha detto in parlamento che non era vero, e che il software era ancora pienamente operativo. Due giorni dopo le dichiarazioni di Ciriani una nota del governo comunicava la sospensione dell'uso del software stabilita d'intesa con la società che lo produce per consentire approfondimenti sulle violazioni. In realtà a quanto pare la sospensione è stata voluta dalla società produttrice a fronte di un uso improprio del software (quindi Ciriani aveva mentito al Parlamento)".
"Ma chi è in possesso del software? I servizi segreti e le varie polizie giudiziarie che operano per conto delle procure. I servizi hanno smentito risolutamente di aver utilizzato illegalmente il software per spiare giornalisti. Le procure possono utilizzarlo solo per reati gravissimi e onestamente pare assai poco realistico che il direttore di Fanpage sia sotto indagine per terrorismo internazionale. Resta dunque una sola ipotesi, ovvero che sia stato utilizzato illegalmente e autonomamente da un corpo di polizia giudiziaria. Ma quale? Praticamente tutti i corpi di polizia hanno smentito di aver utilizzato lo spyware per intercettare giornalisti e attivisti. A parte uno: la polizia penitenziaria".
"Le opposizioni hanno chiesto chiarimenti al governo che non ha risposto. Oggi alla Camera era previsto il question time, ovvero la sessione in cui i gruppi parlamentari interrogano il governo e i ministri hanno l'obbligo di rispondere. Pd e Iv avevano previsto di chiedere se la polizia penitenziaria avesse accesso o meno allo spyware in questione. Il quesito era stato ritenuto ammissibile dalla presidenza della Camera. Ieri il governo ha fatto sapere che non intende rispondere perché le informazioni sono "classificate", ovvero non divulgabili".
"E' falso -prosegue Orfini-, perché non c'è nulla di classificato nel rispondere si o no a una domanda semplice e trasparente come quella che abbiamo fatto. Sapere se la penitenziaria ha in dotazione il software è una domanda lecita a cui basta rispondere si o no. La polizia penitenziaria dipende dal ministero di giustizia di Nordio. E la delega specifica la ha Delmastro. Voi capite che visti i precedenti dei due la vicenda diventa ancora più inquietante. Un software in dotazione al governo è stato utilizzato illegalmente per spiare giornalisti e attivisti".
"Il governo invece di fare chiarezza e difendere chi è stato spiato illegalmente, sta utilizzando tutti gli strumenti possibili per insabbiare questa vicenda gravissima. E per evitare di rispondere. Il che, in tutta onestà, non fa che aumentare i dubbi e i sospetti. Ah, ovviamente la Meloni è sparita anche in questo caso".
Seul, 19 feb. (Adnkronos/Dpa/Europa Press) - Le autorità di Seul si sono dette disponibili ad accogliere i soldati nordcoreani che sono stati catturati sul territorio ucraino mentre combattevano assieme alle truppe russe e che intendono disertare. Lo ha annunciato il ministero degli Esteri della Corea del Sud in un comunicato in cui precisa che "i soldati nordcoreani sono cittadini sudcoreani secondo la Costituzione. Rispettare la volontà di questi individui è conforme al diritto internazionale".
Secondo le ultime informazioni, numerosi soldati nordcoreani sono rimasti feriti durante il conflitto, dopo essere stati schierati a sostegno della Russia nel quadro dell’accordo di difesa strategica raggiunto l’anno scorso tra il presidente russo Vladimir Putin e il leader nordcoreano Kim Jong Un. Le autorità ucraine hanno annunciato la cattura di due soldati nordcoreani che combattevano a fianco delle truppe russe nella provincia russa di Kursk, dove Kiev ha lanciato un'operazione militare l'estate scorsa. Il governo di Kiev ha proposto di restituirli alla Corea del Nord nel caso Pyongyang fosse disposta a facilitare uno scambio con i soldati ucraini attualmente detenuti in Russia.
Da parte sua, il presidente dell'Ucraina, Volodymyr Zelensky, ha stimato che circa 4.000 soldati nordcoreani siano stati uccisi o feriti a Kursk, anche se il numero non è stato verificato. L'annuncio del governo sudcoreano arriva dopo che un soldato ha dichiarato in un'intervista al quotidiano 'Chosun Ilbo' l'intenzione di chiedere asilo alla Corea del Sud. Il ministero sostiene adesso che "non dovrebbero essere rimandati in un luogo dove potrebbero essere perseguitati".
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Leonardo Coen
Giornalista e scrittore
Mondo - 15 Febbraio 2021
Visegrad, 30 anni fa. Così Budapest e Varsavia hanno seppellito il sogno europeista e ora sfidano chi li ha aiutati
Lunedì 15 febbraio ricorrono trent’anni dalla nascita del Patto di Visegrad, sono sicuro che l’evento verrà celebrato molto discretamente. Perché è un anniversario tristanzuolo. Lo festeggeranno infatti i sovranisti e i nemici dei diritti, delle libertà e della democrazia che si sono impossessati del potere in Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia (queste ultime due a quel tempo ancora Cecoslovacchia). Eppure, le premesse erano state ben diverse.
Spirava nel cuore dell’Europa appena liberata dal giogo del comunismo un vento libertario, che voleva spazzar via il lungo sonno dei regimi fedeli al Cremlino. La caduta del Muro di Berlino aveva alimentato grandissime speranze ed altrettante aspettative nei Paesi del cosiddetto “Blocco di Varsavia” che avevano cacciato i governi fantoccio di Mosca ed avevano tantissima voglia d’Occidente. La Grande Aspettativa viene intercettata dai nuovi leader di Praga, Varsavia e Budapest. Tant’è che Lech Walesa, l’eroe di Solidarnosc diventato presidente polacco, come il suo omologo Vaclav Havel, l’eroe della Primavera di Praga, presidente di un’ambiziosa Cecoslovacchia convincono Joszef Antall, il premier ungherese, a creare una struttura informale con lo scopo dichiarato di “cooperazione” per raggiungere l’integrazione europea quanto prima. Hanno l’appoggio dichiarato della Germania, che vede ottime prospettive di penetrazione finanziaria ed economica. C’è l’assenso di Francia e Italia. Insomma, le prospettive sono positive.
Walesa, Havel e Antalla scelgono un luogo per nulla casuale dove sancire il loro accordo: il castello reale di Visegrad. Qui, nel 1335 i re di Ungheria, Boemia e Polonia strinsero un’alleanza divenuta secoli dopo simbolica e spiritualmente significativa. Rappresentava la volontà di dar corpo e sostanza alla pulsione “europeista”. L’affiliazione culturale e politica ai valori fondanti del Vecchio Continente. Dopo la separazione pacifica di Bratislava da Praga, il Gruppo di Visegrad si ritrovò formato da quattro Paesi, un blocco geopolitico che sembra far da cuscinetto tra Ovest ed Est. Ogni anno, i Quattro di Visegrad decidono di tenere un summit, sotto la presidenza di uno di loro, a turno, per confrontare gli sviluppi del lavorìo diplomatico e di controllare l’ascesa inevitabile dei nazionalismi che già serpeggiavano.
In verità, tra il 1994 e il 1998 non è che tra i Quattro le cose andassero per il meglio. La solidarietà resta appesa alle parole. Ognuno cerca di arrangiarsi, nella perigliosa rincorsa all’Europa. La strategia, appunto, è quella del “cavaliere solitario”. Inoltre Varsavia, Budapest e Praga snobbano Bratislava, anche perché in Slovacchia si è intanto affermato Vladimir Meciar, un premier nazionalista – e questo passi – ma soprattutto filo russo, e questo inquieta i soci, e pure Bruxelles. Via Meciar e l’euroscettico Havel, il Gruppo di Visegrad comincia a ricompattarsi. Ed agisce in modo unitario. Con successo. Scombinano le carte, preoccupano Mosca, perché nel 1999 Polonia, Ungheria e Cechia raggiungono la Nato. E’ il passo decisivo che gli spiana la strada verso l’Europa. Che li accoglie nel 2004. Compresa la Slovacchia che raggiunge i soci pure nella Nato (era, questa una condizione necessaria, ma sottaciuta).
La doppia integrazione è dunque la vittoria del Gruppo di Visegrad. Ma è anche una sconfitta: perché così perde la sua primitiva ragione d’essere. Da quel momento, comincia tutta un’altra storia. E non è una bella storia. L’Unione Europea vuol dire, per esempio, armonizzazione delle fiscalizzazioni. I Quattro non ci stanno. Anzi. Pretendono una maggiore mobilità nel mercato e del lavoro (ossia vogliono sfruttare i minori costi e certe disinvolture sul piano della normativa). Attingono comunque a piene mani dai fondi sociali e strutturali europei. I risultati sono impressionanti. Tra il 1994 e il 2018 la crescita annuale del loro Pil è mediamente del 3,4%, sia pure modulato su piani differenti (dal 2,5% dell’Ungheria al 4,2% della Polonia). Un ritmo superiore al resto dell’Europa, in cui parecchi fattori hanno giocato, a cominciare dalla qualità delle riforme economiche e alla gran voglia di recuperare lo svantaggio che li separava dai Paesi più progrediti.
L’indice più interessante, però, è quello relativo agli investimenti diretti stranieri. Sono la cartina di tornasole della salute economica e finanziaria di ogni Paese. Ebbene, la crescita annuale è del 16% (dall’11% dell’Ungheria al 19% della Polonia). Per intenderci, la Cina nello stesso periodo ha fatto peggio (+14%). Cosa vuol dire? Che l’attrattività dei Quattro di Visegrad è molto elevata. Perché si realizza una montagna di quattrini, un vero Far West. O meglio, Far East… Poi, perché in Polonia, Ungheria e Cechia c’è piena occupazione, tranne in Slovacchia, dove il tasso di disoccupazione è del 7%.
Il successo, però, va a vantaggio dei regimi politici, ed ha un grosso prezzo: cela fragilità economiche ed istituzionali. Per esempio, l’invecchiamento delle popolazioni (con i maggiori costi sociali e previdenziali). La riduzione dei fondi europei. La dipendenza nei confronti degli investitori stranieri, soprattuto tedeschi. L’Ungheria, in particolare, è l’anello debole dei Quattro: patisce un debito elevato, rispetto agli altri tre soci (70% del Pil), e ha un cronico deficit di bilancio. Il che favorisce la radicalizzazione delle politiche interne e lo sviluppo dei nuovi nazionalismi secondo la cifra esasperata del sovranismo. Malattia da cui debolmente sta cercando di guarire la Slovacchia (peraltro, l’unica ad aver adottato l’Euro), alle prese con un nuovo governo più attento e disponibile alle riforme (vedi di recente il dietrofront sull’impopolare dossier delle pensioni) e alla lotta contro la corruzione e i gruppi di potere collusi con le mafie.
Già. Corruzione. Assalto allo stato di diritto. Indipendenza del sistema giudiziario sempre più precaria. Mancanza di libertà di stampa ed opposizioni zittite sono i principali ostacoli sulla via che da Visegrad doveva portare a Bruxelles ed invece sta portando a derive insopportabili. Quelle di Ungheria e Polonia che hanno attuato una pesante politica di repressione del dissenso e di violazione dei diritti, ferendo gravemente il corpo dei valori fondamentali di ogni democrazia, travalicando il confine che separa il potere giudiziario da quello esecutivo. L’anomalia è presente nelle cronache di tutti i giorni.
E allora, perché ricordarne i trent’anni? Perché ricordiamo anche la Shoah. Il Vietnam. La Libia. La Siria. La caduta di Trump. Perché c’è chi lotta contro i soprusi spacciati per “interessi nazionali da difendere contro i superpoteri di Bruxelles” e continua a sperare nell’Europa dei valori, delle libertà, della giustizia. L’Europa agognata nel patto stretto a Visegrad il 15 febbraio del 1991. Macché. I governi di Budapest e di Varsavia hanno seppellito quel sogno, ora sfidano chi li ha aiutati. Fanno guerra alle istituzioni della Ue, non sopportano i principii fondanti dello Stato di diritto. Una guerra.
To jest wojna, “questa è una guerra”. Dovrebbe riconoscerlo Ursula von der Leyen. Invece è il grido di battaglia delle donne polacche. Protestano contro la legge entrata in vigore mercoledì 27 gennaio che limita il diritto all’aborto. Ed è guerra per difendere l’informazione sulle sponde della Vistola e su quelle del Danubio. Dove le ultime voci libere vengono zittite. Tanto che a Varsavia il 12 febbraio giornali siti e tv sono usciti con pagine e schermate tutte nere, sovrastate da una scritta: Media bez wiboru, media senza scelta. Per denunciare un progetto di legge infido e devastante, la tassa del 15 per cento sugli introiti pubblicitari che di fatto manderebbe a gambe all’aria tutti le 43 testate indipendenti (giornali, siti privati e le testate televisive) che non sono schierate con il potere. La legge prevede che i media dovranno ospitare più materiali dal “contenuto nazionale polacco”. La “ripolonizzazione” dell’informazione. Come ai tempi di Stalin, di Hitler, di Mussolini.
Il blitz del Partito Diritto e Giustizia, giustificato ufficialmente dalla necessità di reperire più fondi per la lotta contro il Covid (una bugia plateale: ci sarebbero i soldi Ue…), arriva il giorno dopo che a Budapest viene chiusa l’ultima voce libera dell’Ungheria, KlubRadio (500mila ascoltatori), emittente bloccata dal governo con la scusa di una piccola inadempienza amministrativa, un ritardo burocratico. Da qui la revoca della licenza, che ha confermato la decisione dell’ineffabile Consiglio dei Media, organismo composto solo da esponenti fedelissimi ad Orban. Lo stop alle trasmissioni ha un sapore beffardo: a mezzanotte del giorno di san Valentino…
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Mosca, 19 feb. (Adnkronos) - "E' necessario ripulire l'eredità dell'amministrazione Biden, che ha fatto di tutto per distruggere anche i primi accenni alle fondamenta stesse di una partnership a lungo termine tra i nostri Paesi". Lo ha detto il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov parlando alla Duma all'indomani dei colloqui di Riad, commentando la possibilità di una cooperazione strategica tra Russia e Stati Uniti e aggiungendo che potrebbero essere create le condizioni per colloqui sulla sicurezza e sulla stabilità strategica tra i Paesi.
Roma, 19 feb. (Adnkronos) - "Il partito di Giorgia Meloni é nei guai fino al collo e la maggioranza spaccata platealmente come dimostra la dissociazione di Forza Italia dalla conferenza stampa dei suoi alleati. Dagli assetti europei alla guerra in Ucraina allo spionaggio con Paragon, dalle parti di Fratelli d’Italia non sanno dove girarsi e allora attaccano l’ex presidente Conte. Era evidente fin dall’inizio l’intento da parte della destra di usare a fini politici la commissione parlamentare sul Covid, ora il re è nudo”. Così Luana Zanella, capogruppo di Avs alla Camera.
Roma, 19 feb. (Adnkronos) - “Stamane alcuni ragazzi sulle scale di Montecitorio hanno gettato dei sacchetti con del cibo che la Gdo cestina ogni giorno per richiamare la nostra attenzione sul Giusto Prezzo e sul fatto che il cibo di qualità sia un privilegio per pochi, al contrario di quello che il Ministro dell’agricoltura Lollobrigida sostiene". Così il capogruppo Pd in commissione Agricoltura e segretario di Presidenza della Camera
"Mentre solo pochi giorni fa dichiaravano sullo spreco alimentare e sull’importanza di evitarlo, oggi che fanno i Presidenti di Camera e Senato? Fontana li accusa di atti vandalici e La Russa lo ha definito un atto vile. Ma ci rendiamo conto? Questi sarebbero atti vili e vandalici? E cosa facciamo noi per alleviare le sofferenze di quei produttori che nonostante l’inflazione e il caro prezzi non ricevono soldi in più? Cosa facciamo per quei consumatori costretti a rinunciare a proteine e carboidrati, al cibo sano e sostenibile perché troppo costoso? E soprattutto cosa diciamo a dei ragazzi che ci richiamano con parole pulite e striscioni corretti a dare delle risposte concrete senza offendere nessuno?".
"La maggioranza e il governo, il ministro Lollobrigida che oggi attendiamo in Aula dovrebbero rispondere su questo non offendere dei giovani innocenti che si preoccupano giustamente del nostro e loro futuro!”.
Roma, 19 feb. (Adnkronos) - "Picierno è una signora che ogni mattina si sveglia pensando a una sciocchezza da dire sul Movimento 5 Stelle. Picierno è un'infiltrata dei fascisti nella sinistra. Chiede più guerra, più armi, più povertà, più morti: non ha nulla a che vedere con la sinistra. E' un'infiltrata dei fascisti. Cosa ha in comune con la sinistra chi chiede più armi e più povertà? Picierno lo chiede in ogni situazione". Lo ha detto l'eurodeputato M5S, Gaetano Pedullà, a L'Aria che Tira su La7.
Palermo, 19 feb. (Adnkronos) - E' stato solo momentaneo lo stop della colata lavica di ieri pomeriggio sull'Etna. Come conferma all'Adnkronos Giuseppe Salerno, dell'Osservatorio etneo dell'Istituto nazionale di Geofisica e Vulcanologia, "la colata lavica è attiva" e prosegue, "e attualmente c'è una eruzione in corso". La colata lavica continua così ad avanzare lentamente lungo il fianco occidentale dell'Etna in direzione Sud-Ovest, attestandosi intorno a 1.800 metri di quota.
Intanto, sui paesini intorno al vulcano continua a 'piovere' cenere lavica. È l'effetto dell'eruzione sommitale in corso sul vulcano attivo più alto d'Europa con una bocca effusiva che si è aperta, l'8 febbraio scorso, a quota 3.050 metri, alla base del cratere Bocca Nuova.
Roma, 19 feb. (Adnkronos) - "Non so se è chiara la gravità di quello che sta accadendo, ma temo proprio di no. Provo a mettere brevemente in fila i fatti per spiegarlo". Lo scrive Matteo Orfini del Pd sui social.
"Come noto, un software spia (Graphite, prodotto dalla azienda Paragon) è stato utilizzato per spiare attivisti politici e giornalisti come il direttore di Fanpage, Francesco Cancellato. Quando è emersa la notizia il governo ha negato ogni responsabilità. Ul Guardian ha scritto che a causa dell'uso improprio l'azienda Paragon aveva sospeso il contratto col nostro paese. Il ministro Ciriani ha detto in parlamento che non era vero, e che il software era ancora pienamente operativo. Due giorni dopo le dichiarazioni di Ciriani una nota del governo comunicava la sospensione dell'uso del software stabilita d'intesa con la società che lo produce per consentire approfondimenti sulle violazioni. In realtà a quanto pare la sospensione è stata voluta dalla società produttrice a fronte di un uso improprio del software (quindi Ciriani aveva mentito al Parlamento)".
"Ma chi è in possesso del software? I servizi segreti e le varie polizie giudiziarie che operano per conto delle procure. I servizi hanno smentito risolutamente di aver utilizzato illegalmente il software per spiare giornalisti. Le procure possono utilizzarlo solo per reati gravissimi e onestamente pare assai poco realistico che il direttore di Fanpage sia sotto indagine per terrorismo internazionale. Resta dunque una sola ipotesi, ovvero che sia stato utilizzato illegalmente e autonomamente da un corpo di polizia giudiziaria. Ma quale? Praticamente tutti i corpi di polizia hanno smentito di aver utilizzato lo spyware per intercettare giornalisti e attivisti. A parte uno: la polizia penitenziaria".
"Le opposizioni hanno chiesto chiarimenti al governo che non ha risposto. Oggi alla Camera era previsto il question time, ovvero la sessione in cui i gruppi parlamentari interrogano il governo e i ministri hanno l'obbligo di rispondere. Pd e Iv avevano previsto di chiedere se la polizia penitenziaria avesse accesso o meno allo spyware in questione. Il quesito era stato ritenuto ammissibile dalla presidenza della Camera. Ieri il governo ha fatto sapere che non intende rispondere perché le informazioni sono "classificate", ovvero non divulgabili".
"E' falso -prosegue Orfini-, perché non c'è nulla di classificato nel rispondere si o no a una domanda semplice e trasparente come quella che abbiamo fatto. Sapere se la penitenziaria ha in dotazione il software è una domanda lecita a cui basta rispondere si o no. La polizia penitenziaria dipende dal ministero di giustizia di Nordio. E la delega specifica la ha Delmastro. Voi capite che visti i precedenti dei due la vicenda diventa ancora più inquietante. Un software in dotazione al governo è stato utilizzato illegalmente per spiare giornalisti e attivisti".
"Il governo invece di fare chiarezza e difendere chi è stato spiato illegalmente, sta utilizzando tutti gli strumenti possibili per insabbiare questa vicenda gravissima. E per evitare di rispondere. Il che, in tutta onestà, non fa che aumentare i dubbi e i sospetti. Ah, ovviamente la Meloni è sparita anche in questo caso".
Seul, 19 feb. (Adnkronos/Dpa/Europa Press) - Le autorità di Seul si sono dette disponibili ad accogliere i soldati nordcoreani che sono stati catturati sul territorio ucraino mentre combattevano assieme alle truppe russe e che intendono disertare. Lo ha annunciato il ministero degli Esteri della Corea del Sud in un comunicato in cui precisa che "i soldati nordcoreani sono cittadini sudcoreani secondo la Costituzione. Rispettare la volontà di questi individui è conforme al diritto internazionale".
Secondo le ultime informazioni, numerosi soldati nordcoreani sono rimasti feriti durante il conflitto, dopo essere stati schierati a sostegno della Russia nel quadro dell’accordo di difesa strategica raggiunto l’anno scorso tra il presidente russo Vladimir Putin e il leader nordcoreano Kim Jong Un. Le autorità ucraine hanno annunciato la cattura di due soldati nordcoreani che combattevano a fianco delle truppe russe nella provincia russa di Kursk, dove Kiev ha lanciato un'operazione militare l'estate scorsa. Il governo di Kiev ha proposto di restituirli alla Corea del Nord nel caso Pyongyang fosse disposta a facilitare uno scambio con i soldati ucraini attualmente detenuti in Russia.
Da parte sua, il presidente dell'Ucraina, Volodymyr Zelensky, ha stimato che circa 4.000 soldati nordcoreani siano stati uccisi o feriti a Kursk, anche se il numero non è stato verificato. L'annuncio del governo sudcoreano arriva dopo che un soldato ha dichiarato in un'intervista al quotidiano 'Chosun Ilbo' l'intenzione di chiedere asilo alla Corea del Sud. Il ministero sostiene adesso che "non dovrebbero essere rimandati in un luogo dove potrebbero essere perseguitati".