Era conosciuto in tutta Italia come il primario dei bambini ammalati di tumore. Nella sua carriera ne ha salvati a centinaia grazie alla clinica di oncoematologia pediatrica e alla Città della Speranza dell’ospedale di Padova. Dopo quaranta giorni di ricovero in terapia intensiva, si è arreso al Covid il professor Giuseppe Basso, senza mai essere uscito dalla rianimazione. L’annuncio è stato dato da Rosario Rizzuto, rettore dell’Università di Padova: “Il Covid-19 ha portato via Beppe Basso, per molti anni pediatra oncologo del nostro Ateneo. Scienziato di valore e medico appassionato, il professor Basso con competenza e determinazione ha applicato i progressi della scienza alla cura dei giovanissimi pazienti, che nei momenti difficili della malattia in lui hanno trovato le terapie più efficaci ed un sorriso amico. Intelligente, critico, ironico, mai banale, di lui ricordo tante discussioni accese, animate dalla comune passione per la scienza e da una profonda stima reciproca. Mancherà a tutti noi”.
Si era laureato in Medicina nel 1974 a Padova, poi si era specializzato in Ematologia clinica e di laboratorio, nonché in Clinica pediatrica. Come docente universitario, è stato professore ordinario di Pediatria, ma il suo nome è legato soprattutto alla Città della Speranza, che è sorta negli anni Novanta del secolo scorso grazie anche ai contributi di imprenditori veneti che finanziarono la crescita dei padiglioni, in un angolo del parco dell’ospedale. Non a caso, lui amava ripetere a visitatori e giornalisti: “Questo è un centro di eccellenza con le pezze sul sedere”.
Basso, 73 anni compiuti il 10 gennaio scorso, è stato anche direttore del Dipartimento Salus Pueri e presidente del corso di laurea in Infermieristica pediatrica. È stato uno dei protagonisti del caso di Eleonora Bottaro, la giovane padovana che è morta di leucemia a 18 anni dopo che i genitori avevano rifiutato di sottoporla alle cure in chemioterapia. Da oncologo, aveva sempre sostenuto che la ragazza avrebbe avuto una buona probabilità di salvarsi se fosse stata affidata alle cure tradizionali. Tre anni fa è andato in pensione, passando il testimone ad Alessandra Biffi. Aveva poi spostato la sua attività in Piemonte, nominato direttore dell’Italian Institute for Genomic Medicine di Torino, una fondazione privata creata nel 2007 da Compagnia di San Paolo, Università e Politecnico di Torino.
Sul sito della Città della Speranza, il medico è stato ricordato con gratitudine riproponendo un video in cui tracciava un bilancio dell’attività svolta. “Lavorare con questi pazienti è un grandissimo privilegio, vedere morire dei bambini è una cosa difficilissima. Quando ho cominciato a lavorare in questo campo, il fatto di guarire da una malattia di questo tipo era una cosa aneddotica. Vedevamo delle tossicità spaventose e bambini che dopo qualche mese finivano la loro vita. Oggi le cose sono profondamente cambiate, tanto che l’Ente regolatore americano per la medicina considera l’oncologia pediatrica come uno dei più grandi successi che la medicina abbia ottenuto negli ultimi 40 anni. Oggi più dell’85% dei bambini che si ammalano di tumore diventeranno grandi, avranno una vita normale, qualche volta un po’ più che normale, potranno avere dei figli, si potranno ricordare come un episodio del passato il fatto di avere avuto un tumore”.
Il primo cruccio del professor Basso è sempre stato quel 15% che non si salva. Il secondo, la possibilità di assicurare diagnosi e cure a tutti. “Da quando siamo partiti, all’inizio degli Anni 90, avevamo deciso che non era giusto che a Padova i bambini venissero diagnosticati in maniera estremamente precisa e nel resto d’Italia no. Abbiamo deciso di rendere l’Italia tutta uguale, per cui abbiamo fatto uno sforzo organizzativo e anche finanziario veramente importante, grazie alle fondazioni o associazioni che ci sostenevano. Così noi riceviamo la parte biologica di questo bambino o il midollo, il sangue periferico e facciamo la biopsia. Poi facciamo tutto quello che oggi è al top della classifica mondiale, in 24 ore restituiamo la diagnosi finale e poi seguiremo ancora questo bambino durante il proseguo della terapia. Per questo abbiamo detto che abbiamo reso l’Italia tutta uguale, perché ogni bambino che si ammala in una realtà periferica ha le stesse possibilità di quello che si ammala in un grande centro”.