Avevamo ragione noi, ce lo dicono adesso, dopo anni di lotta. I vigliacchi adesso tacciono, neppure hanno quel poco di dignità per dire: ‘Scusateci abbiamo sbagliato’. Niente. Stanno tutti in silenzio, nascosti”. È dura, tesa, rabbiosa l’omelia di Padre Maurizio Patriciello, dopo l’accertata “relazione causale tra rifiuti e tumori”.
C’è silenzio nella parrocchia di San Paolo Apostolo al Parco Verde di Caivano, non è la solita messa domenicale. La celebrazione è l’occasione per ricordare il sacrificio di Roberto Mancini e Michele Liguori, il primo investigatore della polizia, il secondo comandante dei vigili urbani di Acerra. Due uomini delle istituzioni, morti per salvare le vite. Due eroi civili.
“I sindaci, gli amministratori dovrebbero intitolargli piazze, strade, scuole. E quando i ragazzi chiederanno: Chi erano? Noi racconteremo la storia della difesa della nostra terra. Noi c’eravamo. E solo adesso ci dicono: ‘Avevate ragione’. Insomma, avevano ragione Sandro Ruotolo, Antonio Marfella, Maria la vedova di Michele Liguori, Monica la vedova di Roberto Mancini, Peppe Pagano, Vincenzo Tosti, Alessandro Cannavacciuolo e i tanti amici e volontari”.
Le parole di Don Patriciello sono pietre scagliate senza rancore. E non manca una sottolineatura rivolta al presidente della Regione, Vincenzo De Luca: “C’è il nostro governatore, verso il quale ci inchiniamo, ma che qualche anno fa disse che la ‘Terra dei Fuochi’ non esisteva. La colpa era della popolazione incivile: uomini primitivi che lasciavano la spazzatura in strada. Anzi così rovinavano l’economia e non dimostravano di amare la loro terra”.
Cala il silenzio nella parrocchia, qualcuno ha gli occhi lucidi. “Ricordo quando accompagnai al Quirinale le mamme orfane: tra loro c’era Tina del Parco Verde di Caivano. Suo figlio Antonio l’ho battezzato in questa chiesa. E chi immaginava che a 10 anni avrei celebravo il suo funerale. Poi è toccato proprio a Tina, sua mamma, aveva 49 anni. Se anche fosse venuto un angelo a raccontarmi queste cose neppure l’avrei creduto. Davanti a quest’altare quante bare bianche ho benedetto e così i miei confratelli di Giugliano, Acerra, Crispano”. “In questi anni difficili non ho mai avuto paura della cattiveria dei cattivi, ma del silenzio dei buoni – tuona don Patriciello – quando i nostri figli ci chiederanno dove siete stati, noi risponderemo: ‘Eravamo nella nostra terra, stavamo accanto Sergio Costa a scavare quella munnezza tossica e nociva’”.
È un atto d’accusa quello di Don Patriciello: “Succede sempre così: i soldi, i soldi, i soldi, i soldi. Grazie a Dio, qualche giorno, fa l’avvocato di Parete, Cipriano Chianese è stato condannato a 18 anni di carcere. Non è stato facile, si è difeso con i denti, schierando un esercito di esperti, periti, agronomi. I nostri medici, che da sempre denunciavano la relazione causale tra rifiuti e tumori, erano ridicolizzati. Dicevano: ‘I pomodori sono buoni, state sereni, si possono mangiare’. E il nostro professore Marfella spiegava che la radice dei pomodori era solo di 20 cm occorreva analizzare più sotto”. E poi l’attacco a chi sulla pelle della gente ha accumulato ingenti capitali: “Pensate ai fratelli imprenditori Pellini di Acerra, gli hanno sequestrato qualcosa come 250 milioni di euro cioè 500 miliardi delle vecchi lire. Assurdo”.
L’omelia di Don Patriciello è un sunto degli anni terribili di chi interrava rifiuti tossici e smaltiva i resti della lavorazione dei grandi gruppi industriali. “Ricordo quando andammo in delegazione a parlare con il boss pentito Carmine Schiavone: da Montecitorio uscimmo come quatto bambini scemi, non avevamo capito nulla. Sì, perché i camorristi sono camorristi, non vogliono bene a nessuno, neppure a loro stessi, ma mi chiedo: chi doveva tutelarci, chi doveva proteggere i vostri figli, chi doveva difendere questa terra?”. E con parole affilate aggiunge: “Finché si parlava dei camorristi ancora ancora… quando si è alzato il tiro, ci si imbatteva in persone feroci”.
È una requisitoria quella del prete della Terra dei Fuochi: “È facile mettere a tacere un uomo, basta un colpo di pistola come fu per Don Peppe Diana. Loro però hanno capito che molto di più di un colpo di pistola può fare la calunnia, il ridicolizzare come negli anni è stata fatto contro i medici e chi era in prima linea”. Si congeda Don Patriciello, salutato da un corale e liberatorio applauso, quando con un filo di voce aggiunge: “Il pronunciamento dell’Istituto superiore di sanità non ci ha dato nessuna soddisfazione, solo tanta sofferenza. Ecco perché è giusto ricordare adesso Michele Liguori e Roberto Mancini, morti per dovere, a loro dico grazie”.