I pm Eugenio Albamonte e Francesco Cascini contestano, a vario titolo, danneggiamento, sequestro di persona, rapina e devastazione
Un intero piano del carcere devastato. Incendi, vetrate spaccate, bidoni della spazzatura dati alle fiamme e anche un tentativo di sfondare un cancello con un ariete. Una rivolta in piena regola, avvenuta fra il 7 e il 9 marzo. Oggi la procura di Roma ha chiesto il rinvio a giudizio per una cinquantina di detenuti del carcere di Rebibbia per i disordini avvenuti all’interno del penitenziario il 9 marzo del 2020 a seguito delle misure disposte per contenere la diffusione del Covid.
I pm Eugenio Albamonte e Francesco Cascini contestano, a vario titolo, danneggiamento, sequestro di persona, rapina e devastazione. Per questa vicenda, il 24 novembre scorso, erano state emesse nove misure cautelari in carcere nei confronti di alcuni detenuti coinvolti nelle rivolte. In base a quanto accertato dalla polizia Penitenziaria la sommossa è scoppiata prima nel reparto G11 per poi estendersi ad altri settori del complesso penitenziario.
Nove, in totale, i detenuti colpiti da ordinanza cautelare a novembre perché considerati i promotori dei disordini. Non ci furono solo danni e violenza, furono aperte le celle, rubati farmaci dalla infermeria. La rivolta al reparto G11 si èeratradotta anche in violenze nei confronti degli agenti penitenziari. I detenuti in “fuga” sul piano, infatti, a un certo punto avevano “accerchiato e aggredito, colpendo con calci e pugni, l’assistente Patrick Menicucci, facendolo cadere a terra”. Una volta sottratte le chiavi al poliziotto, i detenuti avrebbero poi “sequestrato” altri agenti chiudendo il cancello del reparto alle loro spalle. Gli agenti avevano subito traumi di varia natura, fra cui contusioni e, per un poliziotto, la rottura del legamento crociato.