Il contenimento della mutazione inglese è il nuovo fronte nella lotta alla pandemia. Vespignani: "Diventerà prevalente. In Italia raddoppierà nelle prossime due settimane". Da Ippolito (direttore scientifico dello Spallanzani) a Pregliasco (virologo dell’Università di Milano), gli esperti sottolineano che il sistema a zone del governo Conte ha portato i risultati e chiedono di adattarlo alla nuova situazione: "Parametri più rigorosi, interventi chirurgici e più misure dove c'è l'idea del liberi tutti"
Inasprire le misure per evitare che la variante inglese faccia esplodere i contagi. Le mutazioni del coronavirus sono il nuovo fronte nella lotta alla pandemia, con gli esperti italiani ed europei che chiedono ora un “rafforzamento delle restrizioni”. In Italia tra due settimane il 50% dei casi sarà positivo al ceppo inglese, che diventerà presto prevalente: è il quadro spiegato dall’epidemiologo computazionale Alessandro Vespignani. È questo il contesto di rischio che ha portato, ad esempio, il governo Draghi a decidere di fermare in extremis la ripartenza dello sci, nonostante le polemiche. Ora l’esecutivo ha poco tempo per decidere la strada da seguire, in vista del 5 marzo, scadenza del Dpcm attualmente in vigore: l’ipotesi lockdown totale per il momento resta in un cassetto, ma ci sono le richieste di ristoratori, palestre, piscine, cinema e teatri di cui tenere conto. Mario Draghi alla fine potrebbe decidere di usare lo stesso metodo di Giuseppe Conte.
Il contenimento della variante inglese deve passare sempre dalle zone a colori, magari con criteri ancora più stringenti, chiusure locali più frequenti e maggiori restrizioni anche nelle zone meno a rischio. Questo è quello che consigliano gli esperti. “Le misure di contenimento richieste dalle varianti sono le stesse del virus originario”, però “sarà necessaria una attenzione ancora più scrupolosa“, spiega al Corriere della Sera Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dello Spallanzani e membro del Comitato tecnico scientifico. Il sistema a colori ideato dal governo Conte quindi “può funzionare, anche perché consente (lo si sta facendo in Umbria e Alto Adige, per esempio) l’istituzione su specifiche porzioni del territorio di misure di contenimento ulteriormente restrittive rispetto a quelle nazionali”.
Le zone rosse, locali e regionali, sono l’arma per combattere le varianti. Anche Fabrizio Pregliasco, virologo dell’Università di Milano, in un’intervista a La Stampa sottolinea che il nostro “sistema a colori” ha funzionato, “perché siamo l’unico paese europeo a essere riuscito a flettere la curva dei contagi pur adottando misure più morbide. Ma ora serve fare di più, soprattutto rafforzando le restrizioni delle zone gialle, che così danno un po’ l’idea del liberi tutti”. Anche Pregliasco suggerisce di utilizzare “parametri più rigorosi per l’accesso alle varie fasce di colore” e auspica “gli interventi chirurgici, come le zone rosse già proclamate a fronte dei focolai di varianti in Umbria ed Abruzzo. Il lockdown generalizzato lo userei solo come ultima ratio”, sottolinea il virologo.
Agire tempestivamente chiudendo Paesi, città e intere province, ancora prima della zona rossa regionale. E poi un maggiore “rigore”, dice Ippolito, anche laddove il contagio non sembra ancora correre. Indicazioni che vanno contro le richieste dei settori più colpiti dalla pandemia, che speravano in una boccata d’ossigeno con l’arrivo della primavera. Bar e ristoranti spingono per riaprire la sera, palestre e piscine hanno nuove linee guida e la ripresa degli spettacoli dal vivo è un altro punto all’ordine del giorno. Ma l’arrivo della variante inglese ha stravolto i piani: oggi serve ”essere cauti con le riaperture”, spiega Vespignani a Repubblica. L’epidemiologo sottolinea che “Sars-Cov-2 e la variante inglese diventeranno tutt’uno“. “L’aumento della prevalenza – aggiunge – non si può frenare, è solo questione di tempo. Essendo più contagioso, il ceppo inglese tenderà a soppiantare gli altri. Ma la prevalenza è solo un numero relativo: indica quanti dei nuovi contagi sono causati dalla variante britannica. Quel che possiamo fare è ridurre il numero assoluto dei casi. Se riusciremo a tenerlo basso, la situazione resterà contenibile. Ma è importante agire adesso. Le prossime due settimane saranno quelle in cui probabilmente la prevalenza andrà dal 25% al 50%”, avverte Vespignani.
Che è sicuro di una cosa: “Il ceppo britannico ci renderà la vita più dura“. Il problema della variante inglese, aggiunge Ippolito, è la maggiore contagiosità: “Da un punto di vista epidemiologico e statistico, una variante con una trasmissibilità superiore anche solo del 20 per cento e con lo stesso tasso di letalità rispetto al ceppo originario fa più danni, in termini di ospedalizzazioni e decessi, rispetto a una variante con una letalità superiore del 50 per cento ma con la stessa trasmissibilità”. Ippolito sottolinea poi l’importanza del vaccino: “I dati che arrivano da Israele dimostrano ogni giorno di più che il vaccino funziona, le manifestazioni sintomatiche si riducono, le ospedalizzazioni diminuiscono e così i decessi. Lo stesso si sta osservando in Italia con la somministrazione quasi completata del vaccino agli operatori sanitari”. Vespignani conferma: “Non faremo in tempo a creare un’immunità di gregge prima che la variante inglese diventi prevalente, ma vaccinando le persone più fragili ridurremo casi severi e decessi“.