L'INTERVISTA - L'ex direttore del Dipartimento di Malattie infettive dell'Iss: "Il Covid circola ancora in modo diffuso e noi vacciniamo troppo poco. Così si selezionano varianti virali non solo più trasmissibili come quella inglese, ma anche capaci di eludere almeno in parte la risposta immunitaria data dagli anticorpi"
Le varianti di Sars-Cov2 preoccupano. E quella inglese non solo è più contagiosa, ma secondo un’inchiesta scientifica voluta dal governo Usa e alcuni governi europei “uccide di più”. Così il Comitato tecnico scientifico e l’Istituto superiore di sanità chiedono al governo “misure più severe. Come in altri Paesi dell’Ue”, mentre il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie ha innalzato il livello di rischio in Europa. In questa situazione “il virus circola ancora efficientemente e noi vacciniamo ancora poco e lentamente” dice Antonio Cassone, già direttore del Dipartimento di Malattie Infettive dell’Istituto Superiore di Sanità, e membro dell’American Academy of Microbiology. Non solo. I tre vaccini approvati “soffrono una rimarchevole riduzione di efficacia contro le varianti sudafricana e brasiliana. Tanto che si sta già seriamente pensando alla modifica dei vaccini”. In un contesto del genere “si selezionano varianti virali non solo più trasmissibili come quella inglese ma anche capaci di eludere almeno in parte la risposta immunitaria e non farsi neutralizzare dagli anticorpi che generiamo con l’infezione e la stessa vaccinazione”. Una “variante aggressiva” non si può escludere né che il virus diventi endemico e quindi si ripresenti ogni anno dopo la vaccinazione di massa.
In questa fase, in cui la maggior parte delle Regioni sono gialle, dobbiamo mantenere alta la soglia di precauzione?
Direi più che alta. In una fase come questa in cui il virus ancora circola tanto efficacemente da contagiare qualche decina di migliaia di persone ogni giorno. Le precauzioni sono ancora tutte dovute, ricordandoci che l’evidenza scientifica ci racconta che mascherine e distanziamento sono entrambi essenziali per limitare il contagio.
Il virus avrà lo stesso andamento dell’anno scorso, verso maggio giugno e nei mesi estivi si ridurrà la circolazione?
Questo virus ci sorprende sempre, soprattutto la sua risposta alla stagionalità è alquanto imprevedibile basti vedere cosa è successo l’estate scorsa con il quasi libera tutti. Rimane comunque possibile che in estate la circolazione del virus e la sua contagiosità diminuiscano visto che la gran parte dei contagi avvengono in famiglia, all’interno delle abitazioni ed in estate si tende a stare più all’aperto. Si è molto parlato anche del ruolo dei raggi solari e dei raggi ultravioletti, ma a tutto quanto sopra non farei molto affidamento ed userei tutte le precauzioni per evitare il contagio anche nella prossima estate.
Cosa la preoccupa maggiormente? Le varianti del virus? Il raggiungimento dell’immunità di gregge troppo lento? Gli atteggiamenti superficiali che spesso adottiamo?
Sono certo preoccupanti la superficialità nell’uso delle mascherine e la non adesione alle norme di distanziamento ed igiene, ma come microbiologo temo in particolare l’evoluzione del virus in una situazione quale quella attuale in cui il coronavirus circola ancora efficientemente e noi vacciniamo ancora poco e lentamente: è la situazione classica in cui si selezionano varianti virali non solo più trasmissibili come quella inglese ma anche capaci di eludere almeno in parte la risposta immunitaria e non farsi neutralizzare dagli anticorpi che generiamo con l’infezione e la stessa vaccinazione. I tre vaccini che stiamo usando soffrono una rimarchevole riduzione di efficacia contro le varianti sudafricana e brasiliana. Tanto che si sta già seriamente pensando alla modifica dei vaccini.
Se il virus diventasse endemico ma non riducesse la sua pericolosità significherebbe che dovremmo fare il vaccino ogni anno (sulle varianti, come per l’influenza), per evitare che possa scatenarsi polmonite e tempesta di citochine?
È opinione condivisa nella comunità scientifica, da molti esperti, che considerano molto realistica la possibilità che il virus diventi endemico (si presenti ogni anno) e questo possa quindi comportare la necessità di rivaccinarsi ogni anno od altro tempo. La difficoltà di una effettiva vaccinazione di massa mondiale, la possibile perdita di immunità a distanza relativamente breve (uno-due anni) dalla vaccinazione ed ormai la dimostrata plasticità genetica del coronavirus con le sue varianti rendono plausibile questa ipotesi, anche con una variante aggressiva. In linea generale, l’evoluzione virale in presenza di vaccini e, spero quanto prima, di efficaci antivirali è imprevedibile ma in genere dovrebbe tendere ad un adattamento all’infezione lieve-moderata, simil-influenzale piuttosto che quella grave e letale ma in quanto tempo e con quali modalità non è da nessuno prevedibile. In questo quadro, potrebbe avere un peso la possibilità che una variante del virus possa adattarsi ad altri animali.
Sul fronte dei nuovi farmaci, da poco sono stati pubblicati risultati preliminari di uno studio canadese sulla Colchicina e in Israele è partita la sperimentazione con EXO-CD24. Cosa ne pensa?
Sia per la colchicina (antireumatico, ndr) che per il CD24 si tratta di dati assolutamente preliminari. Darei un maggior peso alla sperimentazione del CD24 perché si tratta di un approccio farmacologico già in uso per la terapia di pazienti con patologia autoimmunitaria ed è noto che nei pazienti con queste patologie il decorso di Covid è generalmente grave. Si tratta di terapia immunosoppressiva ed antinfiammatoria che, ad un certo stadio di Covid può essere utile, come lo è, negli ultimi studi, il tolicizumab, l’inibitore dell’IL-6. Tuttavia, sono necessarie casistiche più ampie prima di capire se ci possa essere un posto per questo immunosoppressore nella terapia anche in soggetti senza autoimmunità. Da ricordare comunque che sia la colchicina che CD24 dovrebbero in ogni caso essere usati con grande prudenza in quanto si tratta di sostanze con un notevole profilo di potenziale tossicità.