di Renato Turturro *
“Oltre 14 milioni di persone in Italia convivono con una patologia cronica e di questi 8,4 milioni sono ultra 65enni” sorride amaramente Franca, dopo aver letto, e pensa perturbata alla distanza che si crea tra le persone e i numeri.
Eppure in questa cifra così grande c’è anche lei. Se metti in fila tutte quelle persone non riesci a vedere il capo e la coda di questo serpente umano. Pensando a questi numeri ci si perde, come di fronte alle costellazioni, ma ogni numero rappresenta una persona e se li metti insieme sono le vite di ognuno. E ancora, se moltiplichi ogni vita per il numero di relazioni, gesti, pensieri, incontri, emozioni che si hanno e compiono, non riesci più a immaginare la cifra finale, il totale, la sua vastità.
“Siamo un esercito. Pensa se ci incazzassimo tutti contemporaneamente?… Sì, ma non siamo proprio un esempio di esercito convenzionale, diciamo che potremmo essere il primo esercito anti-abilista della Storia se ci organizzassimo”, sghignazza e si avvia verso la postazione di lavoro. Accende il computer e intanto mette su il caffè. Da aprile 2020 la sua casa è il suo luogo di lavoro, da allora ha smesso di vedere e accogliere tutte quelle persone ogni giorno, tutti quei contatti diretti ora si sono trasformati in rade e sterili telefonate, mail, videochiamate.
È sempre stata critica verso i modelli di lavoro efficientisti, verso la pretesa dell’uomo di dominare su tutto e di rifiutare un approccio diverso, di equilibrio, di dotarsi di nuovi occhi con cui entrare in contatto con le cose del mondo, ma nella mansione che ormai ricopre da anni è la relazione che la tiene viva, perché riesce a vedere qualcosa oltre il lavoro stesso, oltre lo scambio tempo/salario, soprattutto in questi lunghi mesi tutto ciò inizia a mancargli. Che paradosso! pensa tra sé e sé.
Vive da sola, condivide questo spazio con il suo corpo, qualcosa alla nascita non ha funzionato e poi con il lavoro che faceva prima anche il respiro ha smesso di garantire gli scambi gassosi necessari per essere classificato nella norma. Da sempre rifiuta l’assistenzialismo e il pietismo rivolto verso quelli che arrogantemente vengono classificati come “disabili” e da qualche mese in aggiunta “fragili”, riducendo le persone a categorie tassonomiche.
In questi mesi le sue giornate si sono stratificate, fino a spalmarsi in un monotono piattume. Escluso qualche periodo in cui le misure anti-covid sono state più leggere e ha potuto così vivere un minimo di socialità, il suo tempo è stato totalmente scandito da faccende lavorative a distanza, soddisfacimento dei bisogni primari e attesa per i soliti controlli medici. Alla preoccupazione per il suo stato di salute si è aggiunto il peso dell’isolamento. Non una solitudine ricercata, che permette riflessioni profonde, di spogliarsi per rinascere e mutare, ma una piccola violenza subdola, lenta, passiva.
E ora, il tema dei vaccini, così complesso, la sta assorbendo, perché ha grosse aspettative e si scoraggia quando viene affrontato con superficialità. Nonostante ci siano infiniti aspetti critici sui brevetti, sul profitto, sulla compravendita, e una delusione per via dell’ennesima occasione mancata per affrontare globalmente un problema che riguarda l’intera umanità e il suo modello di vita, si scoraggia quando legge e sente dichiarazioni dove si ignorano completamente quelle persone come lei che vivono condizioni specifiche. Ancora una volta sono gli occhi dei corpi considerati sani, i prestanti corpi produttivi e performanti che decidono per se stessi, senza considerare l’altro.
Franca è una persona curiosa, legge e si informa continuamente, sa che mancando una legge chiara sul vaccino il campo da gioco è lasciato anche qui al più forte. “Non si può usare un problema di salute pubblica e collettiva per minacciare licenziamenti, non può una misura preventiva e sanitaria trasformarsi in uno strumento coercitivo e minaccioso” dice a un amico al telefono, e continua “è con la coscienza data dal sapere, non con il moralismo, che si intraprendono le scelte più eque”.
Adesso è sera, ha appena spento il computer, prende tra le mani il taccuino dove annota tutto ciò che pensa o che la colpisce. Il mese scorso ha trascritto un passo di un articolo letto per caso su internet. Sono parole che hanno aperto un cunicolo profondo, dove ritrova ogni volta nuova linfa per continuare questo duro mestiere di vivere e immaginare un oltre.
Con voce lieve legge: “Sarebbe stato bello per una volta cercare un senso più nobile in un momento effettivamente speciale. Forse si sarebbe creato un precedente illuminato, forse la cura di sé e degli altri avrebbe veramente occupato per qualche tempo il centro del mondo. E siccome sto facendo un gioco di fantasia mi piace spingermi oltre e pensare che forse il capitalismo avrebbe tremato vedendo vacillare i suoi finti corpi immortali e prestanti. Saremmo stati tutti fragili e noi, che la fragilità la conosciamo da sempre, giuro che ci saremmo presi cura di voi. Ma non è accaduto niente di tutto questo. Avremmo potuto navigare insieme, invece ognuno è rimasto ancorato al suo scoglio e alla riflessione collettiva si è preferita la consolazione più immediata”.
* Tecnico della prevenzione ASL. Mi occupo di salute e sicurezza sul lavoro con tutta la passione che questo tema merita. Sono cresciuto tra racconti ed esperienze dirette di migrazioni, storie del movimento operaio e bracciantile. Scrivo articoli e racconti sul mondo del lavoro, perché solo la potenza della forza lavoro, spesso invisibile, può liberarlo dalle ingiustizie.