Nel 2016 Alex Schwazer non si è dopato: questo ha stabilito il gip del Tribunale di Bolzano, Walter Pelino, che ha disposto l’archiviazione del procedimento penale a carico del marciatore altoatesino per “non aver commesso il fatto”. Oltre al provvedimento, però, sono le motivazioni indicate del giudice ad aprire nuovi scenari: il gip, accogliendo la richiesta del pm, ha ritenuto “accertato con alto grado di credibilità” che i campioni di urina nel 2016 furono alterati. Pelino sottolinea la scarsa collaborazione di Wada e Iaaf, rispettivamente l’Agenzia mondiale antidoping e la Federazione internazionale di atletica leggera. “Hanno operato in maniera totalmente autoreferenziale non tollerando controlli dall’esterno fino al punto di produrre dichiarazioni false”, scrive il gip. Che poi sottolinea: “Lo scrivente ritiene accertato con alto grado di credibilità razionale che i campioni di urina prelevati ad Alex Schwazer il primo gennaio 2016 siano stati alterati allo scopo di farli risultare positivi e dunque di ottenere la squalifica e il discredito dell’atleta, come pure del suo allenatore Sandro Donati“. Frasi che vanno nella direzione della tesi da sempre sostenuta da Schwazer: un piano ordito ai suoi danni per impedirgli di partecipare alle Olimpiadi di Rio de Janeiro del 2016.
“Non solo l’ipotesi manipolazione consente di spiegare come e perché sia avvenuta quella anomala concentrazione del Dna, ma questa costituisce, allo stato anche l’unica spiegazione convincente”, scrive il gip Walter Pelino nell’ordinanza con cui ha disposto l’archiviazione. “Noi non abbiamo una prova diretta della manipolazione (tra l’altro non c’è stato consentito di esaminare il contenitore, come pure era stato chiesto espressamente in sede di rogatoria, per la strenua opposizione di Wada e Iaaf, che come detto e documentato hanno cercato di impedire persino la consegna del contenuto del campione B, non esitando neppure a servirsi di dichiarazioni false sulla quantità di urina ivi presente fornendo poi ulteriore dichiarazione, anch’essa ideologicamente falsa, per spiegare il presunto errore) ma abbiamo un dato, quello appunto relativo alla concentrazione del Dna, che trova allo stato adeguata e unica spiegazione proprio nell’ipotesi della manipolazione”, si legge nel provvedimento. “L’assenza di una prova diretta, della ‘pistola fumante‘, pacificamente evidenziata nel contraddittorio anche dal perito, è indubbia, ma certo tale circostanza non consente di considerare irrilevante o addirittura insussistente, come asserisce la difesa Wada, il quadro di contesto che ha prodotto numerosi, gravi e convergenti elementi indiziari – si sottolinea nell’ordinanza – che tale ipotesi sostengono in modo coerente e notevolmente significativo”.
Schwazer oggi ha 36 anni, da 5 combatte per contestare la positività al doping emersa da un controllo effettuato il 1 gennaio 2016, per il quale è stato squalificato fino al 2024, in quanto recidivo: risultò già positivo a un controllo anti-doping alla vigilia dei Giochi di Londra 2012. Dopo l’archiviazione del procedimento penale, l’atleta altoatesino può provare a presentare ricorso all’Alta Corte Federale del Tribunale Svizzero, l’unica sede dinnanzi alla quale può essere impugnato un arbitrato contro il Tas di Losanna, che gli ha inflitto la squalifica. Se dovesse avere ragione, potrebbe ancora sperare di partecipare alle Olimpiadi di Tokio, posticipate all’estate 2021 per la pandemia. “Sono stati 5 anni di battaglia durissima, e solo negli ultimi anni la Federatletica aveva assunto una posizione più distaccata, forse capendo che l’accusa era indifendibile“, commenta l’allenatore di Schwazer, Sandro Donati, parlando all’Adnkronos. Donati sottolinea “l’amarezza di aver condotto questa battaglia in solitudine. Ora è il momento che gli altri facciano le riflessioni del caso. Cosa diranno adesso? E cosa possiamo fare perché queste cose non accadano più? Anch’io in qualche modo sono stato incastrato: passato per fesso o complice, e non sono né l’uno ne l’altro”.
LE TAPPE DEL CASO SCHWAZER
Dalla prima positività di Schwazer bisogna partire per spiegare uno dei casi più intricati della storia dello sport italiano. Trovato positivo all’Epo, il marciatore oro olimpico nel 2008 decide di patteggiare la pena e collaborare con la giustizia, affidandosi all’allenatore Sandro Donati, simbolo della lotta al doping, per preparare il suo ritorno alle gare per i Giochi di Rio. Schwazer parla dei medici della Federazione italiana di atletica leggera, Pierluigi Fiorella e Giuseppe Fischetto, poi assolti in appello dall’accusa di favoreggiamento nei suoi confronti. Proprio nell’ambito dell’inchiesta sul doping del marciatore altoatesino, la Procura di Bolzano sequestra a Fischetto un database con una lista di circa 12.365 test ematici su 5mila atleti effettuati tra il 2001 e il 2012: quel database farà definitivamente deflagrare il caso del doping di Stato da parte della Russia. Sia Schwazer che Donati, infine, hanno denunciato anche il ruolo del vecchio presidente della Iaaf, Amine Diack.
Il 16 dicembre 2015 Schwazer fa una nuova deposizione in sede processuale, parla ancora di Fiorella e Fischetto. Lo stesso giorno la Iaaf dispone un controllo a sorpresa nei suoi confronti per il primo gennaio 2016. La notizia della positività viene diffusa solo il 21 giugno 2016, più di 5 mesi dopo: il tempo per presentare un ricorso e partecipare alle Olimpiadi è pochissimo. La positività rilevata dal laboratorio di Colonia sull’urina di Schwazer viene motivata dall’accusa con la presenza di testosterone sintetico nel campione. La difesa del marciatore ha sempre sostenuto però che a Stoccarda vi siano state delle gravi interruzioni nella catena di custodia della provetta. I dubbi sollevati in questi anni dalla difesa sono anche altri: ad esempio, come mai l’urina di Schwazer è stata inviata al laboratorio di Colonia con l’indicazione Racines? Le analisi dovrebbero essere anonime, ma Racines è la località in provincia di Bolzano dove è nato Schwazer. Nel report del 13 maggio 2016, il laboratorio di Colonia scrive “provenienza non nota”, mentre sul verbale di accompagnamento della provetta è appunto scritto Racines.
L’ipotesi di una manomissione, per la difesa, è dimostrata anche dalla concentrazione anomala di Dna: “I dati confermano un’anomalia“, è stato il risultato comunicato dal comandante del Ris dei carabinieri di Parma, Giampietro Lago, dopo la sua sua terza perizia sull’elevata concentrazione di Dna nelle urine di Schwazer. “La concentrazione non corrisponde ad una fisiologia umana”, ha spiegato chiaramente Lago lo scorso settembre. La perizia ha escluso, tra le varie cose, che l’aumento del valore sia stato dovuto al superallenamento. Lasciando spazio all’ipotesi da sempre sostenuta dal marciatore altoatesino e dal suo legale, quella del complotto.
Lo studio di Lago è basato sui dati completi di 37 atleti tesserati della Fidal di specialità di lunghe distanze. Inizialmente erano state raccolte le disponibilità di 60 atleti, poi però – complice il coronavirus – il numero è stato ridotto. Il giudice Pelino aveva disposto il supplemento di perizia, spiegando nella sua ordinanza che “l’ipotesi della manipolazione rimane in campo ed è l’unica suffragata da elementi indiziari“. Nel corso dell’inchiesta, gli inquirenti hanno analizzato anche le email tra Iaaf e Wada, recuperate dagli hacker russi di Fancy Bears: nei messaggi tra il responsabile dell’antidoping della Iaaf (oggi World Athletics), Thomas Capdevielle, e il legale della stessa federazione mondiale di atletica, Ross Wenzel, erano state scritte la parola “complotto” e “A.S.”, che sono anche le iniziali dell’ex campione di marcia.
Nelle sue motivazione, il gip Walter Pelino fa riferimento anche all’ostruzionismo di Wada e Iaaf: un altro capitolo del mistero riguarda infatti il comportamento del laboratorio di Colonia nel 2017, quando il giudice bolzanino chiese di consegnare le provette per permetterne l’analisi da parte del Ris di Parma. L’attesa durò fino al febbraio 2018: “Esistono forti evidenze del fatto che nel tentativo di impedire l’accertamento del predetto reato siano stati commessi una serie di reati“, ha scritto Pelino in un altro passaggio delle motivazioni. Ora bisognerà capire se verranno aperti altri fascicoli di indagine proprio per seguire la pista del complotto sostenuta dalla difesa di Schwazer. Per il marciatore invece la battaglia torna in ambito sportivo, per sperare in un incredibile ritorno a 36 anni.
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Alex Schwazer, archiviata l’accusa di doping. Gip: “Unica spiegazione è manipolazione delle provette. Da Wada e Iaaf dichiarazioni false”
Nel 2016 il marciatore altoatesino non si è dopato: questo ha stabilito il giudice del tribunale di Bolzano, scrivendo nelle motivazioni che ritiene "accertato con alto grado di credibilità" che i suoi campioni di urina furono alterati. Tirate in ballo anche Wada e Iaaf: "Prodotte dichiarazioni false”. Tutte le tappe del caso - Dai legami con il doping russo al comportamento del laboratorio di Colonia
Nel 2016 Alex Schwazer non si è dopato: questo ha stabilito il gip del Tribunale di Bolzano, Walter Pelino, che ha disposto l’archiviazione del procedimento penale a carico del marciatore altoatesino per “non aver commesso il fatto”. Oltre al provvedimento, però, sono le motivazioni indicate del giudice ad aprire nuovi scenari: il gip, accogliendo la richiesta del pm, ha ritenuto “accertato con alto grado di credibilità” che i campioni di urina nel 2016 furono alterati. Pelino sottolinea la scarsa collaborazione di Wada e Iaaf, rispettivamente l’Agenzia mondiale antidoping e la Federazione internazionale di atletica leggera. “Hanno operato in maniera totalmente autoreferenziale non tollerando controlli dall’esterno fino al punto di produrre dichiarazioni false”, scrive il gip. Che poi sottolinea: “Lo scrivente ritiene accertato con alto grado di credibilità razionale che i campioni di urina prelevati ad Alex Schwazer il primo gennaio 2016 siano stati alterati allo scopo di farli risultare positivi e dunque di ottenere la squalifica e il discredito dell’atleta, come pure del suo allenatore Sandro Donati“. Frasi che vanno nella direzione della tesi da sempre sostenuta da Schwazer: un piano ordito ai suoi danni per impedirgli di partecipare alle Olimpiadi di Rio de Janeiro del 2016.
“Non solo l’ipotesi manipolazione consente di spiegare come e perché sia avvenuta quella anomala concentrazione del Dna, ma questa costituisce, allo stato anche l’unica spiegazione convincente”, scrive il gip Walter Pelino nell’ordinanza con cui ha disposto l’archiviazione. “Noi non abbiamo una prova diretta della manipolazione (tra l’altro non c’è stato consentito di esaminare il contenitore, come pure era stato chiesto espressamente in sede di rogatoria, per la strenua opposizione di Wada e Iaaf, che come detto e documentato hanno cercato di impedire persino la consegna del contenuto del campione B, non esitando neppure a servirsi di dichiarazioni false sulla quantità di urina ivi presente fornendo poi ulteriore dichiarazione, anch’essa ideologicamente falsa, per spiegare il presunto errore) ma abbiamo un dato, quello appunto relativo alla concentrazione del Dna, che trova allo stato adeguata e unica spiegazione proprio nell’ipotesi della manipolazione”, si legge nel provvedimento. “L’assenza di una prova diretta, della ‘pistola fumante‘, pacificamente evidenziata nel contraddittorio anche dal perito, è indubbia, ma certo tale circostanza non consente di considerare irrilevante o addirittura insussistente, come asserisce la difesa Wada, il quadro di contesto che ha prodotto numerosi, gravi e convergenti elementi indiziari – si sottolinea nell’ordinanza – che tale ipotesi sostengono in modo coerente e notevolmente significativo”.
Schwazer oggi ha 36 anni, da 5 combatte per contestare la positività al doping emersa da un controllo effettuato il 1 gennaio 2016, per il quale è stato squalificato fino al 2024, in quanto recidivo: risultò già positivo a un controllo anti-doping alla vigilia dei Giochi di Londra 2012. Dopo l’archiviazione del procedimento penale, l’atleta altoatesino può provare a presentare ricorso all’Alta Corte Federale del Tribunale Svizzero, l’unica sede dinnanzi alla quale può essere impugnato un arbitrato contro il Tas di Losanna, che gli ha inflitto la squalifica. Se dovesse avere ragione, potrebbe ancora sperare di partecipare alle Olimpiadi di Tokio, posticipate all’estate 2021 per la pandemia. “Sono stati 5 anni di battaglia durissima, e solo negli ultimi anni la Federatletica aveva assunto una posizione più distaccata, forse capendo che l’accusa era indifendibile“, commenta l’allenatore di Schwazer, Sandro Donati, parlando all’Adnkronos. Donati sottolinea “l’amarezza di aver condotto questa battaglia in solitudine. Ora è il momento che gli altri facciano le riflessioni del caso. Cosa diranno adesso? E cosa possiamo fare perché queste cose non accadano più? Anch’io in qualche modo sono stato incastrato: passato per fesso o complice, e non sono né l’uno ne l’altro”.
LE TAPPE DEL CASO SCHWAZER
Dalla prima positività di Schwazer bisogna partire per spiegare uno dei casi più intricati della storia dello sport italiano. Trovato positivo all’Epo, il marciatore oro olimpico nel 2008 decide di patteggiare la pena e collaborare con la giustizia, affidandosi all’allenatore Sandro Donati, simbolo della lotta al doping, per preparare il suo ritorno alle gare per i Giochi di Rio. Schwazer parla dei medici della Federazione italiana di atletica leggera, Pierluigi Fiorella e Giuseppe Fischetto, poi assolti in appello dall’accusa di favoreggiamento nei suoi confronti. Proprio nell’ambito dell’inchiesta sul doping del marciatore altoatesino, la Procura di Bolzano sequestra a Fischetto un database con una lista di circa 12.365 test ematici su 5mila atleti effettuati tra il 2001 e il 2012: quel database farà definitivamente deflagrare il caso del doping di Stato da parte della Russia. Sia Schwazer che Donati, infine, hanno denunciato anche il ruolo del vecchio presidente della Iaaf, Amine Diack.
Il 16 dicembre 2015 Schwazer fa una nuova deposizione in sede processuale, parla ancora di Fiorella e Fischetto. Lo stesso giorno la Iaaf dispone un controllo a sorpresa nei suoi confronti per il primo gennaio 2016. La notizia della positività viene diffusa solo il 21 giugno 2016, più di 5 mesi dopo: il tempo per presentare un ricorso e partecipare alle Olimpiadi è pochissimo. La positività rilevata dal laboratorio di Colonia sull’urina di Schwazer viene motivata dall’accusa con la presenza di testosterone sintetico nel campione. La difesa del marciatore ha sempre sostenuto però che a Stoccarda vi siano state delle gravi interruzioni nella catena di custodia della provetta. I dubbi sollevati in questi anni dalla difesa sono anche altri: ad esempio, come mai l’urina di Schwazer è stata inviata al laboratorio di Colonia con l’indicazione Racines? Le analisi dovrebbero essere anonime, ma Racines è la località in provincia di Bolzano dove è nato Schwazer. Nel report del 13 maggio 2016, il laboratorio di Colonia scrive “provenienza non nota”, mentre sul verbale di accompagnamento della provetta è appunto scritto Racines.
L’ipotesi di una manomissione, per la difesa, è dimostrata anche dalla concentrazione anomala di Dna: “I dati confermano un’anomalia“, è stato il risultato comunicato dal comandante del Ris dei carabinieri di Parma, Giampietro Lago, dopo la sua sua terza perizia sull’elevata concentrazione di Dna nelle urine di Schwazer. “La concentrazione non corrisponde ad una fisiologia umana”, ha spiegato chiaramente Lago lo scorso settembre. La perizia ha escluso, tra le varie cose, che l’aumento del valore sia stato dovuto al superallenamento. Lasciando spazio all’ipotesi da sempre sostenuta dal marciatore altoatesino e dal suo legale, quella del complotto.
Lo studio di Lago è basato sui dati completi di 37 atleti tesserati della Fidal di specialità di lunghe distanze. Inizialmente erano state raccolte le disponibilità di 60 atleti, poi però – complice il coronavirus – il numero è stato ridotto. Il giudice Pelino aveva disposto il supplemento di perizia, spiegando nella sua ordinanza che “l’ipotesi della manipolazione rimane in campo ed è l’unica suffragata da elementi indiziari“. Nel corso dell’inchiesta, gli inquirenti hanno analizzato anche le email tra Iaaf e Wada, recuperate dagli hacker russi di Fancy Bears: nei messaggi tra il responsabile dell’antidoping della Iaaf (oggi World Athletics), Thomas Capdevielle, e il legale della stessa federazione mondiale di atletica, Ross Wenzel, erano state scritte la parola “complotto” e “A.S.”, che sono anche le iniziali dell’ex campione di marcia.
Nelle sue motivazione, il gip Walter Pelino fa riferimento anche all’ostruzionismo di Wada e Iaaf: un altro capitolo del mistero riguarda infatti il comportamento del laboratorio di Colonia nel 2017, quando il giudice bolzanino chiese di consegnare le provette per permetterne l’analisi da parte del Ris di Parma. L’attesa durò fino al febbraio 2018: “Esistono forti evidenze del fatto che nel tentativo di impedire l’accertamento del predetto reato siano stati commessi una serie di reati“, ha scritto Pelino in un altro passaggio delle motivazioni. Ora bisognerà capire se verranno aperti altri fascicoli di indagine proprio per seguire la pista del complotto sostenuta dalla difesa di Schwazer. Per il marciatore invece la battaglia torna in ambito sportivo, per sperare in un incredibile ritorno a 36 anni.
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Milano, 21 feb. (Adnkronos) - Con una produzione dal valore di 277 milioni di euro nel 2023, la Lombardia è la quarta regione italiana più rilevante nel comparto florovivaistico. E' quanto afferma la Coldiretti regionale, sulla base del primo Rapporto nazionale sul settore realizzato dal centro studi Divulga e da Ixe’ con Coldiretti, in occasione della giornata conclusiva di Myplant&Garden, una delle più importanti manifestazioni internazionali per i professionisti delle filiere del verde in corso a Rho Fiera Milano.
In Lombardia, precisa la Coldiretti regionale su dati Registro delle Imprese, sono oltre 2.500 le aziende florovivaistiche, a cui vanno aggiunte quelle che si dedicano alla cura e alla manutenzione del paesaggio, per una filiera del verde lombarda che in totale può contare su più di 7.900 imprese. Sulla base del rapporto Divulga/Ixè, nel 2024 il florovivaismo Made in Italy ha raggiunto il valore massimo di sempre a quota 3,3 miliardi di euro, grazie anche al traino dell’export che chiuderà l’anno a 1,3 miliardi, ma sulle aziende nazionali pesa oggi la difficile situazione internazionale, a partire dalla guerra in Ucraina. Proprio a causa del conflitto, le aziende hanno subito un aumento dei costi del +83% per i prodotti energetici e del +45% per i fertilizzanti rispetto al 2020, oltre a un +29% per altri input produttivi quali sementi e piantine.
Costi in progressivo aumento, che ancora fanno fatica ad essere riassorbiti, tanto più se si considera la concorrenza sleale che pesa sulle imprese tricolori a causa delle importazioni a basso costo dall’estero, dove non si rispettano le stesse regole in termini di utilizzo dei prodotti fitosanitari, ma anche di tutela dei diritti dei lavoratori e dell’ambiente.
Non va poi trascurato, avverte Coldiretti, l’impatto dei cambiamenti climatici: secondo il rapporto Divulga/Ixe’ due aziende agricole su tre (66%) hanno subito danni nell’ultimo triennio a causa di eventi estremi, tra grandinate, trombe d’aria, alluvioni e siccità che a più riprese hanno interessato il territorio nazionale. Il risultato di tutti questi fattori è che più di un terzo delle aziende florovivaistiche italiane denuncia difficoltà economiche.
Un quadro dinanzi al quale Coldiretti chiede misure di sostegno alle imprese per contrastare i cambiamenti climatici che, oltre agli eventi estremi, hanno moltiplicato le malattie che colpiscono le piante, spesso peraltro diffuse a causa delle importazioni di prodotti stranieri.
Ma serve anche puntare sulla promozione dei prodotti 100% Made in Italy, mettendone in risalto l’elevato valore ambientale, oltre che gli effetti positivi dal punto di vista della salute e della lotta all’inquinamento. Importante anche una maggiore considerazione per il settore all’interno della Politica agricola europea e, di riflesso, nelle politiche di sviluppo rurale.
Milano, 21 feb. (Adnkronos) - Con una produzione dal valore di 277 milioni di euro nel 2023, la Lombardia è la quarta regione italiana più rilevante nel comparto florovivaistico. E' quanto afferma la Coldiretti regionale, sulla base del primo Rapporto nazionale sul settore realizzato dal centro studi Divulga e da Ixe’ con Coldiretti, in occasione della giornata conclusiva di Myplant&Garden, una delle più importanti manifestazioni internazionali per i professionisti delle filiere del verde in corso a Rho Fiera Milano.
In Lombardia, precisa la Coldiretti regionale su dati Registro delle Imprese, sono oltre 2.500 le aziende florovivaistiche, a cui vanno aggiunte quelle che si dedicano alla cura e alla manutenzione del paesaggio, per una filiera del verde lombarda che in totale può contare su più di 7.900 imprese. Sulla base del rapporto Divulga/Ixè, nel 2024 il florovivaismo Made in Italy ha raggiunto il valore massimo di sempre a quota 3,3 miliardi di euro, grazie anche al traino dell’export che chiuderà l’anno a 1,3 miliardi, ma sulle aziende nazionali pesa oggi la difficile situazione internazionale, a partire dalla guerra in Ucraina. Proprio a causa del conflitto, le aziende hanno subito un aumento dei costi del +83% per i prodotti energetici e del +45% per i fertilizzanti rispetto al 2020, oltre a un +29% per altri input produttivi quali sementi e piantine.
Costi in progressivo aumento, che ancora fanno fatica ad essere riassorbiti, tanto più se si considera la concorrenza sleale che pesa sulle imprese tricolori a causa delle importazioni a basso costo dall’estero, dove non si rispettano le stesse regole in termini di utilizzo dei prodotti fitosanitari, ma anche di tutela dei diritti dei lavoratori e dell’ambiente.
Non va poi trascurato, avverte Coldiretti, l’impatto dei cambiamenti climatici: secondo il rapporto Divulga/Ixe’ due aziende agricole su tre (66%) hanno subito danni nell’ultimo triennio a causa di eventi estremi, tra grandinate, trombe d’aria, alluvioni e siccità che a più riprese hanno interessato il territorio nazionale. Il risultato di tutti questi fattori è che più di un terzo delle aziende florovivaistiche italiane denuncia difficoltà economiche.
Un quadro dinanzi al quale Coldiretti chiede misure di sostegno alle imprese per contrastare i cambiamenti climatici che, oltre agli eventi estremi, hanno moltiplicato le malattie che colpiscono le piante, spesso peraltro diffuse a causa delle importazioni di prodotti stranieri.
Ma serve anche puntare sulla promozione dei prodotti 100% Made in Italy, mettendone in risalto l’elevato valore ambientale, oltre che gli effetti positivi dal punto di vista della salute e della lotta all’inquinamento. Importante anche una maggiore considerazione per il settore all’interno della Politica agricola europea e, di riflesso, nelle politiche di sviluppo rurale.
Milano, 21 feb. (Adnkronos) - Con una produzione dal valore di 277 milioni di euro nel 2023, la Lombardia è la quarta regione italiana più rilevante nel comparto florovivaistico. E' quanto afferma la Coldiretti regionale, sulla base del primo Rapporto nazionale sul settore realizzato dal centro studi Divulga e da Ixe’ con Coldiretti, in occasione della giornata conclusiva di Myplant&Garden, una delle più importanti manifestazioni internazionali per i professionisti delle filiere del verde in corso a Rho Fiera Milano.
In Lombardia, precisa la Coldiretti regionale su dati Registro delle Imprese, sono oltre 2.500 le aziende florovivaistiche, a cui vanno aggiunte quelle che si dedicano alla cura e alla manutenzione del paesaggio, per una filiera del verde lombarda che in totale può contare su più di 7.900 imprese. Sulla base del rapporto Divulga/Ixè, nel 2024 il florovivaismo Made in Italy ha raggiunto il valore massimo di sempre a quota 3,3 miliardi di euro, grazie anche al traino dell’export che chiuderà l’anno a 1,3 miliardi, ma sulle aziende nazionali pesa oggi la difficile situazione internazionale, a partire dalla guerra in Ucraina. Proprio a causa del conflitto, le aziende hanno subito un aumento dei costi del +83% per i prodotti energetici e del +45% per i fertilizzanti rispetto al 2020, oltre a un +29% per altri input produttivi quali sementi e piantine.
Costi in progressivo aumento, che ancora fanno fatica ad essere riassorbiti, tanto più se si considera la concorrenza sleale che pesa sulle imprese tricolori a causa delle importazioni a basso costo dall’estero, dove non si rispettano le stesse regole in termini di utilizzo dei prodotti fitosanitari, ma anche di tutela dei diritti dei lavoratori e dell’ambiente.
Non va poi trascurato, avverte Coldiretti, l’impatto dei cambiamenti climatici: secondo il rapporto Divulga/Ixe’ due aziende agricole su tre (66%) hanno subito danni nell’ultimo triennio a causa di eventi estremi, tra grandinate, trombe d’aria, alluvioni e siccità che a più riprese hanno interessato il territorio nazionale. Il risultato di tutti questi fattori è che più di un terzo delle aziende florovivaistiche italiane denuncia difficoltà economiche.
Un quadro dinanzi al quale Coldiretti chiede misure di sostegno alle imprese per contrastare i cambiamenti climatici che, oltre agli eventi estremi, hanno moltiplicato le malattie che colpiscono le piante, spesso peraltro diffuse a causa delle importazioni di prodotti stranieri.
Ma serve anche puntare sulla promozione dei prodotti 100% Made in Italy, mettendone in risalto l’elevato valore ambientale, oltre che gli effetti positivi dal punto di vista della salute e della lotta all’inquinamento. Importante anche una maggiore considerazione per il settore all’interno della Politica agricola europea e, di riflesso, nelle politiche di sviluppo rurale.
Gaza, 22 feb. (Adnkronos) - Gli ostaggi israeliani Eliya Cohen, Omer Shem Tov e Omer Wenkert sono stati trasferiti alla Croce Rossa Internazionale dopo essere saliti sul palco a Nuseirat, nel centro di Gaza, prima del rilascio da parte di Hamas.
Roma, 22 feb. (Adnkronos Salute) - "In Italia sono sempre più giovani medici attratti dalla ginecologia oncologica: questa specializzazione conta bravi chirurghi intorno ai 45 anni, in Italia sono circa 50, tra cui molte donne. E loro saranno tra i protagonisti domani del simposio 'Innovation in Gyn Onc', appuntamento voluto dalla Società italiana di ginecologia e ostetricia all’interno di Esgo", European Gynaecological Oncology Congress, in corso fino a domenica a Roma (Hotel dei Congressi all’Eur). Così all’Adnkronos Salute Vito Trojano, presidente di Sigo alla vigilia del meeting all’interno del Congresso Esgo 2025, un'esperienza formativa con oltre 50 sessioni scientifiche che in questa tre giorni di lavori presentano gli ultimi sviluppi medici e scientifici nella ricerca, nel trattamento e nella cura dei tumori ginecologici, tenuti da esperti di fama mondiale.
"Sarà una giornata molto importante perché non solo è un connubio fra la Società europea di ginecologia oncologica e la Sigo – spiega Trojano – ma perché dedicata alle nuove generazioni. Obiettivo: poter fare in modo che la Ginecologia oncologica sia sempre più attrattiva e di interesse per i giovani che aspirano a fare i medici".
Tra i temi al centro del simposio, nuove proposte per la vaccinazione e lo screening del cancro cervicale, prevenzione del cancro ovarico oltre la chirurgia, medicina di precisione in oncologia ginecologica, novità dalla biopsia liquida, algoritmi terapeutici nel carcinoma ovarico di prima linea, efficacia e sopravvivenza a lungo termine con gli inibitori di Parp. E ancora: la salute digitale in oncologia ginecologica, telechirurgia, telesonografia, teleconsulenza e Hipec (chemioterapia ipertermica intraperitoneale) in oncologia ginecologica. "Ampio spazio sarà dato ovviamente alle nuove terapie mediche, alle tecniche chirurgiche e all’Intelligenza artificiale con cui i futuri chirurghi si addestrano e si formano", conclude Trojano.
Gaza, 22 feb. (Adnkronos) - A Nuseirat, nel centro della Striscia di Gaza, verranno rilasciati tre ostaggi (Omer Shem Tov, Eliya Cohen e Omer Wenkert) rapiti il 7 ottobre, anziché quattro come si pensava in precedenza. Il quarto ostaggio, Hisham al-Sayed, rapito nel 2015, verrà liberato in un altro luogo e senza una cerimonia pubblica. I veicoli della Croce Rossa sono presenti a Nuseirat, ma sembra che ci potrebbe essere ritardo nella consegna.
Roma, 22 feb. (Adnkronos Salute) - Ansia e depressione, nei pazienti con cancro, peggiorano la risposta alle cure e riducono la sopravvivenza. Lo evidenziano i risultati di uno studio (Stress Lung) pubblicato su 'Nature Medicine' e condotto su 227 pazienti con tumore del polmone non a piccole cellule in stadio avanzato e trattati in prima linea con farmaci immunoterapici. A 2 anni, solo il 46% dei pazienti con distress emozionale, in particolare ansia e depressione, era vivo rispetto al 65% delle persone colpite dal carcinoma polmonare, ma senza segni di disagio psicologico. In Italia lo psicologo dedicato all'oncologia è presente, sulla carta, in circa la metà dei centri, in realtà solo il 20% delle strutture dispone di professionisti formati per affrontare il disagio mentale determinato dal cancro. Per contribuire a colmare questa lacuna nasce 'In buona salute', la prima piattaforma online di psiconcologia in Italia (inbuonasalute.eu), presentata ieri a Milano, in un incontro con la stampa. Si tratta di un luogo sicuro, accessibile e altamente professionale - riporta una nota - dove pazienti, caregiver e operatori sanitari possono ricevere un aiuto qualificato, senza limiti di tempo o spazio.
"Si stima che più del 50% dei pazienti oncologici sviluppi livelli significativi di distress emozionale che hanno un impatto negativo sulla qualità di vita, sull'adesione ai trattamenti e, quindi, sulla sopravvivenza - spiega Gabriella Pravettoni, responsabile scientifico di 'In buona salute', direttrice della divisione di Psiconcologia dell'Istituto europeo di oncologia e professoressa di Psicologia delle decisioni all'Università degli Studi di Milano - Il sostegno psiconcologico è fondamentale prima, durante e dopo le cure. Sono contenta che ci siano iniziative di questo genere dove si possa offrire un supporto concreto e personalizzato a chi affronta il tumore, attraverso un percorso di cura psicologica mirato e focalizzato al miglioramento del benessere mentale durante ogni fase della malattia".
Dopo aver completato un questionario online, la piattaforma suggerisce lo specialista più in linea con le necessità di ogni persona. E' infatti disponibile un team di psiconcologi certificati, impegnati a fornire un aiuto prezioso a pazienti, caregiver e operatori sanitari. Nella piattaforma è possibile trovare risorse, supporto emotivo e informazioni affidabili. E' consigliato un ciclo di 10 sedute online di 50 minuti.
"Troppo spesso i risvolti psicologici di una diagnosi di cancro sono lasciati in seconda linea, rispetto ai bisogni strettamente clinici - continua Pravettoni - Vanno considerate le difficoltà dei medici a discutere di questi argomenti durante la visita, anche per mancanza di tempo, e la riluttanza dei pazienti a confidarli, talvolta per lo stigma ancora associato ai problemi legati alla salute mentale. Anche quando i problemi psicologici vengono riconosciuti, non è facile gestirli nella pratica clinica. Non esiste, infatti, un modello di valutazione e intervento adatto a tutte le circostanze. Anche il supporto psiconcologico deve adeguarsi e rispondere ai bisogni dei pazienti, adottando tutti gli strumenti utili, incluse le sedute online".
Nel 2024, nel nostro Paese, sono stati stimati 390.100 nuovi casi di tumore. Grazie ai programmi di screening e ai progressi nelle terapie, aumenta il numero di persone che vivono dopo la diagnosi: nel 2024 erano circa 3,7 milioni. "La cura a 360 gradi di questi cittadini deve implicare una maggiore attenzione alle conseguenze psicologiche della malattia - afferma Lucia Del Mastro, professore ordinario e direttore della Clinica di Oncologia medica dell'Irccs Ospedale policlinico San Martino, Università di Genova - Il distress emozionale nelle persone colpite dal cancro è una condizione frequente, che ha un impatto negativo sulla qualità della vita e sulla sopravvivenza. I pazienti oncologici con sintomi depressivi mostrano, inoltre, una minor aderenza ai protocolli terapeutici. Uno studio retrospettivo ha indagato il grado di accettazione della chemioterapia adiuvante in donne con carcinoma della mammella: tra le pazienti con depressione che non hanno richiesto aiuto psicologico, solo il 51% ha accettato di sottoporsi alla chemioterapia. L'associazione tra sintomi depressivi e riduzione della sopravvivenza può essere dovuta non solo alla mancata aderenza terapeutica, ma anche alla risposta allo stress cronico e ai meccanismi immunitari implicati".
Per garantire "servizi adeguati di psiconcologia - prosegue Del Mastro - serve non solo un potenziamento delle risorse, ma anche riconoscere il ruolo dello psiconcologo all'interno del team multidisciplinare. Inoltre, i pazienti devono essere informati di più e meglio sull'opportunità di beneficiare di questi servizi. Ad esempio, la norma che ha istituito in Italia le Breast unit ha stabilito che, all'interno dei team multidisciplinari, siano inclusi gli psiconcologi, ma troppo spesso nei centri di senologia mancano professionisti strutturati, sostituiti da figure che lavorano con contratti precari. Ecco perché sono importanti progetti come 'In buona salute', che possono rispondere alle esigenze di supporto emotivo dei pazienti. Va considerata anche la facilità di accesso al servizio online, perché non è necessario spostarsi per accedere alle strutture, vantaggio importante soprattutto quando si tratta di pazienti fragili in trattamento".
Aggiunge Rosanna D'Antona, presidente di Europa Donna Italia: "Già dalla diagnosi la donna si trova a affrontare una serie di problematiche che afferiscono all'ambito psicologico. Stress, disturbi d'ansia, depressione, immagine corporea alterata, difficoltà nella sfera emotiva, familiare e di coppia, sono le più comuni di un elenco purtroppo molto lungo. Grazie anche all'aiuto dello psiconcologo, è possibile per la paziente sviluppare una capacità di adattamento e di autogestione di fronte alla malattia, arrivare cioè a quello stato di resilienza necessario a superare le difficoltà nel percorso di cura. Lo psiconcologo dovrebbe essere presente, insieme all'oncologo medico, fin dall'inizio, ad ogni colloquio, anche se siamo ben consapevoli della carenza di personale dedicato e della precarietà degli incarichi".
"Mentre ci impegniamo con forza affinché questi limiti vengano superati e si rispettino le linee guida europee che prevedono la presenza dello psiconcologo in tutte le Breast Unit, accogliamo con favore la disponibilità di una piattaforma online con figure specializzate - conclude - a cui pazienti e familiari possano rivolgersi con la certezza di trovare un supporto qualificato".