Le accuse di Ciwf Italia, Essere Animali, Lav e Legambiente dopo l'incontro organizzato da Accredia, ministero delle Politiche Agricole e della Salute sul nuovo sistema: "Ci hanno mostrato solo alcune slide e non le bozze del progetto. E da ciò che vediamo ci sono molte storture che danneggiano animali e consumatori"
Il sistema di qualità nazionale ‘Benessere animale’, che dovrebbe certificare con un apposito logo volontario i prodotti che derivano da allevamenti convenzionali, ma più attenti alle condizioni degli animali, rischia di partire con il piede sbagliato. È il timore manifestato da Compassion In World Farming (Ciwf) Italia, Essere Animali, Lega Antivivisezione (Lav) e Legambiente, dopo aver partecipato a un incontro di presentazione organizzato da Accredia, ministero delle Politiche Agricole e ministero della Salute, sul nuovo sistema alla cui realizzazione si lavora già da tempo. Durante la riunione, infatti, nonostante sia stato chiesto a più riprese, non sono state condivise le bozze dei documenti che descrivono le condizioni richieste agli allevamenti per essere certificati in tema di benessere animale. Per le associazioni si tratta di un “evidente problema di trasparenza nel processo di scrittura degli standard, che sono in attesa di essere approvati con decreto interministeriale”. Standard che saranno alla base della certificazione nazionale che dovrebbe avere come obiettivo quello di impedire operazioni di greenwashing e che siano finanziate mere operazioni di maquillage di allevamenti intensivi. “Con i soldi dei cittadini derivanti dalla Politica Agricola Comune e dal Next Generation EU – sostengono le associazioni – la certificazione dovrà invece efficacemente aiutare le scelte consapevoli dei cittadini e degli allevatori che vogliono impegnarsi per accrescere il benessere degli animali”.
LA QUESTIONE DEL BENESSERE ANIMALE – Ad oggi, invece, il proliferare di etichette sui prodotti di origine animale sempre più vaghe, spesso fuorvianti, rischiano di confondere i consumatori e penalizzare gli allevatori che si impegnano a rispettare davvero il benessere degli animali. In particolare, proprio l’etichetta ‘benessere animale’ che si ritrova su diverse confezioni oggi può essere utilizzata per prodotti che sono il frutto di trattamenti disumani negli allevamenti convenzionali. In questo modo, però, tra un prodotto biologico e uno che garantisce il ‘benessere animale’ in allevamento convenzionale (che, quindi, costa meno) potrebbero essere indotti a scegliere quest’ultimo. Questo il contesto in cui sono nate la proposta di legge 2403 della deputata LeU Rossella Muroni per un sistema volontario di etichettatura dei prodotti di origine animale e due diverse proposte di etichettatura basate sul metodo di allevamento, sia per i suini, sia per gli allevamenti delle vacche da latte, presentati nei mesi scorsi da Ciwf e Legambiente, con i quali si chiede di indicare chiaramente le caratteristiche principali di allevamento sulle confezioni di carne.
LE LACUNE DEL PROGETTO NAZIONALE – Il sistema presentato da Accredia e dai ministeri “solo con generiche slide”, secondo le associazioni, già evidenzia alcune carenze. Per la certificazione dei suini al coperto “l’unica presentata”, ad esempio, non sono state considerate le scrofe e i suinetti e questo significa che la carne di suino etichettata con il claim ‘benessere animale’ potrà derivare da scrofe allevate in gabbia e da suinetti che hanno subito la limatura dei denti, un’operazione molto dolorosa. “Si tradirebbe così il proposito dichiarato di inserire il metodo di allevamento in etichetta, perché i consumatori non potranno neanche sapere se i prodotti acquistati con il logo ‘benessere animale’ arrivano da scrofe allevate in gabbia oppure no” spiegano le associazioni. L’impianto generale del progetto proposto da Accredia e dai ministeri, inoltre, prevede per i suini solo due livelli, uno al chiuso e uno all’aperto, non favorendo in alcun modo la transizione graduale dei milioni di maiali allevati nei sistemi intensivi verso sistemi più attenti al benessere animale. “Anzi, danneggerebbe scelte allevatoriali di minor impatto sugli animali – spiegano le associazioni – come ad esempio scrofe allevate senza gabbie e con molto più spazio per gli animali”. Un altro punto è la mancanza di una certificazione con più livelli, per gli allevamenti al chiuso, cosa che consentirebbe a tutti gli allevatori, ognuno partendo dal proprio livello, di progredire anche grazie a finanziamenti pubblici della PAC e del PNRR dedicati alla transizione.
L’APPELLO – Oggi le associazioni chiedono ai ministri delle Politiche Agricole Stefano Patuanelli e della Sanità Roberto Speranza di aprire rapidamente un confronto politico di merito “per evitare che questo processo, finora per nulla trasparente – accusano – tradisca le aspettative di milioni di cittadini e fallisca l’obiettivo di accompagnare efficacemente la transizione del sistema allevatoriale italiano in tema di benessere animale”. Tutto questo mentre il Consiglio dell’Unione europea ha chiesto alla Commissione Ue che nell’introdurre a livello comunitario un marchio relativo al benessere animale si tenga conto del loro intero ciclo di vita. “La presentazione potrà essere considerata un primo passo positivo – aggiungono le associazioni – solo se sarà seguita dalla completa condivisione delle bozze dei documenti, finora redatti al chiuso dei ministeri, in un’ottica di trasparenza e accesso necessari per l’effettiva partecipazione della società civile e se almeno le principali osservazioni, pratiche e di buon senso, prodotte dalle associazioni saranno tenute in debito conto”.