Come Ciro Cirillo, assessore napoletano sequestrato dalle Brigate Rosse nel 1981, anche Raffaele Cutolo, padre padrone della Nuova Camorra Organizzata, il camorrista per eccellenza, se ne va portandosi dietro una montagna di segreti che avrebbero potuto sistemare un po’ di questioni aperte sulla storia dell’Italia del dopoguerra.
La camorra di Cutolo è stata qualcosa di più complesso della camorra stessa e della mafia, un paradosso del crimine organizzato, un ibrido, insegna lo storico Isaia Sales: più camorristica perché capace di trasformare l’estorsione in un fenomeno di massa; più mafiosa per il metodo di centralizzare tutte le attività in un unico comando militare ed economico; più terroristica perché ha offerto una giustificazione sociale al ribellismo dei giovani criminali che assoldava, mentre Cutolo scimmiotta la figura del leader carismatico ideologico. Per molti affiliati al clan la camorra diventa quasi un credo ideologico. L’incontro con le Br di Giovanni Senzani, il più chiacchierato tra i brigatisti, fu fatale. Si capirono, si compresero bene.
Cirillo fu liberato e immediatamente ri-sequestrato da un gruppo di agenti e dal suo padre politico Antonio Gava: concordarono la versione da offrire sulla sua prigionia e soprattutto sulla sua liberazione. A pochissimo tempo dalla uccisione di Aldo Moro, la Democrazia Cristiana intavolò una trattativa sfacciata per salvare la pelle all’uomo politico campano. Sfacciata nel senso proprio di svergognata, insolente, perché fu condotta alla luce del sole, con gli agenti del Sismi, camorristi e gentaglia varia che entrava e usciva dal carcere di Ascoli Piceno dove si tenevano incontri con il boss camorrista al centro di un perverso dialogo.
Il giudice Carlo Alemi fece un lavoro certosino e coraggioso per ricostruire i pezzi di quella sporca faccenda. L’eredità dell’azione politica rivoluzionaria architettata da Senzani è pesante: i soldi del riscatto furono spartiti con la camorra che lì usò come tesoretto per imporre una propria solida partecipazione negli investimenti futuri di quei territori. Una sorta di accumulazione primitiva di capitale che fruttò molto ai boss e fu un danno irreparabile per le comunità locali. Della rivoluzione proletaria nessuna traccia. La vicenda ebbe una scia di sangue mostruosa, tanti morti ammazzati.
Oggi è una delle scene criminali nelle quali è più evidente l’esistenza e il modus operandi di una struttura occulta chiamata “Anello” che prende parte alle trattative in modo molto attivo, direi dirigendole, per garantire la massima protezione della Dc: gli ufficiali del Sismi facevano da autisti all’uomo di 120 chili che ne era a capo, Adalberto Titta. Nelle cronache di queste ore, dopo la morte di Cutolo, non se ne parla neanche un po’. È un peccato.
Infine, 42 anni di carcerazione durissima, Cutolo non si è mai pentito e la domanda da farsi è: lo Stato ha mai proposto una tregua al vecchio boss? Era in grado di “reggere” e diffondere i segreti che ora si porta nella tomba?