Professori e presidi sono indispettiti dal ragionamento dell’ex presidente della Bce sulla didattica a distanza. Sindacati più cauti: "Porre rimedio al danno subito dai ragazzi, ma siamo contrari a una mera operazione ragionieristica". Il passaggio su donne e Stem non convince tutti. Esprime soddisfazione Andrea Gavosto della fondazione Agnelli
Il premier Mario Draghi non conquista il mondo della scuola. Nonostante il discorso programmatico abbia dato parecchia importanza all’Istruzione, professori e presidi sono decisamente indispettiti dal ragionamento dell’ex presidente della Bce sulla didattica a distanza. Le parole chiave pronunciate da Draghi sono state recupero delle ore perse, Its ovvero Istituti tecnici superiori – da “innovare” perché “è stato stimato in circa 3 milioni, nel quinquennio 2019-23, il fabbisogno di diplomati di istituti tecnici nell’area digitale e ambientale” – e formazione delle donne “negli ambiti su cui intendiamo rilanciare il Paese”, dunque digitale, tecnologia, ambiente.
Per la prima volta nella storia, un presidente del Consiglio ha parlato alla sua prima uscita in Parlamento di Its e di “investire, economicamente ma soprattutto culturalmente, perché sempre più giovani donne scelgano di formarsi negli ambiti su cui intendiamo rilanciare il Paese”. Alcuni passaggi hanno irritato i docenti e i dirigenti scolastici e persuaso, invece, le organizzazioni sindacali che insieme alla fondazione Agnelli e al mondo digitale plaudono al nuovo inquilino di palazzo Chigi.
Professori delle superiori e capi d’istituto se la sono presa con Draghi per aver chiesto di “allineare il calendario scolastico con le esigenze della pandemia”. Un richiamo spiegato così dal premier: “I ragazzi hanno avuto la didattica a distanza che, sebbene garantisca il servizio, non può non creare disagi ed evidenziare disuguaglianze: su circa 1 milione e 600 mila studenti di scuola secondaria di secondo grado, nella prima settimana di febbraio solo il 61% di studenti ha avuto assicurato il servizio della didattica a distanza”. Fatta l’analisi ecco la ricetta: “Non solo dobbiamo tornare a un normale orario scolastico ma dobbiamo fare il possibile per recuperare le ore di didattica in presenza perse nello scorso anno, soprattutto nelle zone del Mezzogiorno dove la didattica a distanza ha trovato maggiori difficoltà”.
Una diagnosi che non piace per nulla ai presidi. Roberta Mozzi, dirigente dell’istituto “Torriani” di Cremona spiega: “Il messaggio che passa è uno: quello che è stato fatto non vale nulla. Recuperiamo come abbiamo sempre fatto chi ha dei debiti formativi ma non possiamo generalizzare. Così sembra solo una punizione agli insegnanti. E poi se si allungasse l’anno scolastico, gli esami di Stato quando si faranno?”.
A sostenere la collega di Cremona è Laura Biancato a capo dell’istituto “Einaudi” di Bassano del Grappa: “Ci sono state difficoltà per i ragazzi più fragili ma non viene riconosciuto che la scuola ha fatto moltissimo. Nel mio istituto ho un progetto con tutor individuali per 130 ragazzi. Ogni scuola ha trovato le sue strategia. Quello di Draghi è un messaggio in buona fede ma fa intuire che le scuole non hanno fatto abbastanza”.
Dal Veneto alla Toscana dove Lodovico Arte, preside del tecnico per il turismo “Marco Polo”, è chiaro: “Pensare che con quindici giorni in più si possono recuperare i danni è sbagliato. Tutti, docenti e studenti, arriveranno a metà giugno più affaticati rispetto agli altri anni: dobbiamo tenerne conto”. E anche chi dirige un liceo come il “Bottoni” di Milano rispedisce al mittente l’idea di recuperare le ore perse: “Così passa solo l’idea che i docenti sono fannulloni. I ragazzi – dice Giovanna Mezzatesta – non sono contenitori in cui buttiamo qualcosa in più nelle loro teste in due settimane”.
Dal Sud e dai professori arriva l’attacco più duro a Draghi: “Siamo a metà anno, i recuperi lasciamoli decidere agli insegnanti. E poi perché sostiene che al Sud si è perso più tempo? In alcuni regioni del Nord hanno fatto anche meno tempo in presenza”, racconta Salvo Amato, professore all’ istituto tecnico industriale “Euclide” di Caltagirone e coordinatore del gruppo “Professione insegnante”.
C’è persino chi come Marisa Franco, docente di lettere in Puglia, si definisce “molto arrabbiata” con il premier per le sue parole sul Mezzogiorno. E Gian Carlo Visitilli, professore al liceo scientifico “Pietro Sette” a Sant’Eremo e scrittore usa l’ironia: “Non credo che abbia scritto lui quelle parole sulla scuola”.
Sul fronte opposto Andrea Gavosto, direttore della fondazione “Agnelli” è soddisfatto: “Nessun premier ha mai dato tanta attenzione alla scuola”. A dare un colpo al cerchio e uno alla botte sono invece le organizzazioni sindacali. Dalla Flc Cgil arriva questo commento: “La necessità di porre rimedio al danno subito dai bambini e dalle bambine, dai ragazzi e dalle ragazze a causa della pandemia è indubbia, ma siamo contrari ad una mera operazione ragionieristica che preveda un generalizzato ampliamento del calendario scolastico. Il problema del recupero degli apprendimenti scolastici infatti, non è uguale in tutte le regioni e in tutte le scuole d’Italia”.
Non cambia la musica in casa Cisl: “E’ innegabile – spiega la segretaria nazionale Lena Gissi – l’esigenza di verificare in modo più preciso che cosa e quanto vi sia da recuperare rispetto a situazioni di forzata chiusura delle nostre scuole, soprattutto nella secondaria di secondo grado; su questo è bene che al più presto si apra un confronto approfondito col ministero. Devono essere in primo luogo le scuole, nella loro autonomia e nel concreto della propria specifica situazione, a verificare il fabbisogno di recupero e le modalità più opportune con cui intervenire col massimo di efficacia”.
Draghi non incassa l’approvazione dei presidi e dei docenti nemmeno sul passaggio sulle donne e le Stem. I dirigenti ricordano al premier che lui per primo non ha optato per la parità di genere nel governo. Arte la riassume così: “Draghi predica bene e razzola male”. Più articolato il discorso di Gavosto che sostiene la battaglia del capo del governo ricordando che sulla questione Stem il nostro Paese sconta un ritardo. Ottimista anche Dianora Bardi che sulla questione lavora da tempo con il centro studi “Impara Digitale”.
Diversa la percezione del discorso programmatico sugli Its a cui il Recovery plan riserva un finanziamento importante, 1,5 miliardi di euro, 20 volte il finanziamento di un anno normale pre-pandemia. Se Roberta Mozzi critica il premier “perché prima degli Its bisogna investire sui tecnici della secondaria di secondo grado e sui professionali”, i suoi colleghi sono felici che questo percorso alternativo all’Università ora trovi dignità nel governo: “Gli Its vanno fatti conoscere. Sono un’opportunità”.
Tutti d’accordo, anche Gavosto che ricorda che di Its aveva già parlato Vittorio Colao: “Non tutti son pronti a fare l’ingegnere, molti di più sarebbero pronti a fare un ciclo parauniversitario. Il problema degli Its è che sono pochi e poco conosciuti, molto concentrati al Nord”. Gli unici critici sono i sindacati che definiscono “rilevante” la parte dedicata allo sviluppo degli istituti tecnici superiori ma ricordano che “bisogna evitare che tali percorsi si configurino esclusivamente come formazione di personale per specifiche aziende”.
Il resto del discorso del nuovo premier non esalta nessuno ma nemmeno delude: “Il ritorno a scuola deve avvenire in sicurezza”. E sugli indirizzi di scuola Draghi ha parlato di “innesti di nuove materie e tecnologie, multilinguismo e investimenti nella formazione del personale docente, da adeguare alla domanda delle nuove generazioni”.
A Draghi rispondono le organizzazioni sindacali: “Giusto il richiamo a un ritorno in classe e in sicurezza, abbiamo su questo proposte precise che ci auguriamo di poter sottoporre quanto prima al nuovo ministro”, spiega Francesco Sinopoli della Flc Cgil. Dulcis in fundo, restano le urgenze che ricorda Gissi: “Dobbiamo subito discutere sulle modalità con cui si intende attuare nella scuola la campagna vaccinale: ci sono aspetti su cui è fondamentale fornire informazioni chiare e precise, visto che si tratta di una questione sulla quale, più che su altre, si impone la necessità di fare presto e fare bene. Poi ci sono tutti gli altri temi su cui bisogna mettersi subito al lavoro, se vogliamo porre le premesse per una buona partenza del prossimo anno scolastico: organici, mobilità e reclutamento, stabilizzazione del lavoro sono questioni su cui davvero non c’è da perdere nemmeno un minuto”.