Il primo ad arrivare e l’ultimo ad andare via. Matteo Salvini venerdì mattina, qualche minuto dopo le 9, si è presentato in una delle aule bunker del penitenziario Bicocca, a Catania, per la terza udienza preliminare del caso Gregoretti. La nave della Guardia costiera che nell’estate 2019 venne lasciata per giorni a largo delle coste siciliane, per poi ottenere il via libera allo sbarco di 131 migranti salvati nel Mediterraneo. Salvini rischia un processo per abuso d’ufficio e sequestro di persona. In aula, chiamati come testimoni dal giudice per l’udienza preliminare, Nunzio Sarpietro, la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese, cioè colei che ha preso il posto di Salvini al Viminale nel governo Conte II, e l’allora vicepremier e attuale ministro degli esteri Luigi Di Maio.

Entrambi, secondo quanto emerso dall’udienza camerale, avrebbero confermato che la linea prioritaria era quella di avere dall’Europa l’impegno a redistribuire i migranti. “Ho sentito una ricostruzione corretta e coerente dei fatti. Decidevamo insieme e festeggiavamo insieme”, spiega Salvini al termine dell’udienza lasciando trapelare soddisfazione dalle parole dei nuovi colleghi di maggioranza nel governo Draghi. Ma a dirsi appagati per quanto ascoltato in aula sono pure i legali delle parti civili. Di fatto gli unici a chiedere il rinvio a giudizio del segretario del Carroccio dopo la richiesta di non luogo a procedere formulata dalla procura di Catania. “Di Maio ha detto che venivano a conoscenza dell’avvenuto ordine di sbarco attraverso i tweet di Salvini”, spiega l’avvocata Daniele Ciancimino di Legambiente. Sottolineando il fatto che il ministero dell’Interno sarebbe stato quello responsabile di autorizzazioni o dinieghi per le navi con i migranti a bordo.

“Duranti questi presunti sequestri nessuno si è fatto male, anzi abbiamo svegliato l’Europa. Anche Draghi nel suo primo intervento ha parlato di una politica di rimpatri che è merito della nostra azione”, continua Salvini, meno battagliero rispetto all’udienza del 12 dicembre quando prese di mira l’ex ministro dei Trasporti Danilo Toninelli per i suoi troppi “non ricordo” in aula. “A rischiare 15 anni di galera sono io – continua -. Tutti pontificano, tutti chiacchierano, ma in aula bunker dove ci sono i processi di mafia c’è Salvini da imputato”. La speranza per il senatore leghista è quella che questa vicenda giudiziaria possa chiudersi a breve, magari già entro Pasqua, anche perché l’ultimo a dovere essere ascoltato sarà l’ambasciatore Maurizio Massari.

Una sorpresa potrebbe arrivare però dalle parti civili. L’avvocato Corrado Giuliano dell’associazione AccogliRete ha presentato formale richiesta, su cui il giudice Sarpietro si è riservato di decidere, affinché venga chiamato come testimone Luca Palamara, ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati e autore del libro “Il Sistema sui rapporti tra toghe e politica”. “Deciderà il giudice – spiega Salvini – Per il momento io leggo il libro e rabbrividisco”. “Noi siamo interessati ad approfondire e non vorrei che calasse il velo su quei fatti, ma ci saranno altre sedi per farlo, al momento il nostro interesse è quello di chiudere questo processo”, aggiunge l’avvocata Giulia Bongiorno.

Scongiurata invece la possibilità di una istanza di ricusazione del giudice Sarpietro. Prima di entrare in aula era stato l’avvocato Giuliano a chiedere “sobrietà” al capo dell’ufficio gip del tribunale di Catania. Precisando che il suo riferimento non era collegato al servizio della trasmissione Le Iene, su un pranzo in un ristorante romano di Sarpietro nonostante la zona arancione, ma ad alcune esternazioni fatte ai giornalisti, dopo l’udienza del 28 gennaio a palazzo Chigi. Giorno in cui venne sentito l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte e il giudice etichettò la sua deposizione come “un’ottima testimonianza”.

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