Il fratello di Giuseppe Graviano ha chiesto al tribunale di sorveglianza di avere accesso al beneficio previsto dopo la modifica dell'ergastolo ostativo da parte della Consulta, in quel momento presieduta da Marta Cartabia. Non si è pentito e non ha accusato nessuno ma vuole uscire dal carcere. A dare la notizia è il settimanale l'Espresso
Vuole un giorno di permesso premio perché sostiene di essersi dissociato da Cosa nostra. Dunque vuole uscire dal carcere senza accusare nessuno. È la richiesta avanzata al giudice di sorveglianza dell’Aquila da Filippo Graviano, il boss condannato all’ergastolo per le stragi di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, per le bombe del 1993 a Roma, Milano e Firenze, per l’omicidio del sacerdote don Pino Puglisi. A raccontarlo è Lirio Abbate sul settimanale l’Espresso. Filippo Graviano è fratello di Giuseppe, il superboss di Brancaccio che nei mesi scorsi ha parlato dei suoi presunti rapporti con Silvio Berlusconi davanti alla corte d’Assise di Reggio Calabria. Filippo, invece, ha sempre mantenuto un imperturbabile silenzio. Recentemente i magistrati che indagano sulle stragi nel Nord Italia sono andati a interrogarlo: a loro Graviano ha ufficializzato l’intenzione di dissociarsi, senza però accusare nessuno. E per questo motivo vuole usufruire dei permessi premio a cui potrebbe accedere dopo la modifica dell’ergastolo ostativo.
La richiesta di Graviano, infatti, rappresenta solo un tassello di una complessa e organizzata strategia che è punta a scardinare il 41bis e il concetto stesso di fine pena mai. Una strategia che va avanti da anni. L’ultimo atto risale al 2019 quando prima la Cedu e poi la Consulta definirono illegittimo l’articolo 4 bis, comma 1 dell’Ordinamento penitenziario. Una legge ideata personalmente da Giovanni Falcone nel 1991: è il cosiddetto ergastolo ostativo ed è una preclusione prevista per tutti i detenuti al carcere a vita condannati per fatti di mafia e terrorismo. Se non hanno mai offerto alcuna collaborazione alla giustizia non possono accedere a permessi premio e altri benefici. Per la Consulta, però, quella norma era incostituzionale perché impediva “ogni verifica in concreto del percorso di risocializzazione compiuto in carcere dal detenuto, rischiando di arrestare sul nascere questo percorso”. Il virgolettato è inserito nella relazione annuale del 2020 sull’attività della Corte, che nella parte dedicata al carcere e all’esecuzione penale, definisce di “speciale rilievo” la sentenza sull’articolo 4-bis. A firmare quella relazione era l’allora presidente della Consulta, Marta Cartabia, oggi ministro della Giustizia del governo di Mario Draghi.
Il 4-bis è il cuore del cosiddetto carcere impermiabile, cioè il regime che dovrebbe tenere distante dal mondo esterno i boss stragisti. Un sistema penitenziario che i Graviano hanno violato quando da detenuti sono riusciti a mettere incinta le rispettive mogli. È uno dei tanti misteri di cui sono custodi i fratelli di Brancaccio. I magistrati che hanno interrogato Filippo Graviano hanno detto a Graviano di essere interessati alle stragi e ai rapporti con Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri. Filippo ha risposto spiegando che c’è “una questione pregiudiziale” rispetto alle domande che i pm gli hanno posto. Che cosa vuol dire? Tra l’altro nonn è la prima volta che Graviano parla di dissociazione. Almeno secondo il pentito Gaspare Spatuzza nel 2004 era stato proprio Filippo Graviano a comunicargli, mentre erano in carcere che “se non arriva niente da dove deve arrivare, è bene che anche noi cominciamo a parlare con i magistrati”. “Filippo Graviano – continua – mi dice che in quel periodo si sta parlando di dissociazione, quindi a noi interessa la dissociazione”. Spatuzza è lo stesso pentito che ha raccontato di aver sentito Giuseppe Graviano vantarsi perché aveva “il Paese nelle mani”. “Era molto felice, come se avesse vinto al Superenalotto, una Lotteria. Poi mi fece il nome di Berlusconi. Io gli chiesi se fosse quello di Canale 5 e lui rispose in maniera affermativa. Aggiunse che in mezzo c’era anche il nostro compaesano Dell’Utri e che grazie a loro c’eravamo messi il Paese nelle mani. E per Paese intendo l’Italia”, è il racconto di Spatuzza.