di Riccardo Cristiano*

È difficile dare torto a Papa Francesco, l’unico che – almeno in Italia – ha dato risalto alla sanatoria colombiana per un milione di immigrati “clandestini” venezuelani. Domenica scorsa infatti Bergoglio, subito dopo l’Angelus, soffermandosi sui temi d’attualità, ha detto: “Mi associo ai Vescovi della Colombia nell’esprimere riconoscenza per la decisione delle Autorità colombiane di implementare lo Statuto di Protezione Temporanea per i migranti venezuelani presenti nel Paese, favorendone l’accoglienza, la protezione e l’integrazione. E questo non lo fa un Paese ricchissimo, sovrasviluppato, no, lo fa un Paese con tanti problemi, di sviluppo, di povertà, di pace, quasi 70 anni di guerriglia… Ma con questo problema ha avuto il coraggio di guardare a quei migranti e fare questo Statuto”.

Ecco qualche dato per inquadrare l’accaduto. La Colombia ha poco meno di 50 milioni di abitanti, con un Pil pro capite di 6.642 dollari statunitensi (usd), mentre il Venezuela dai 10.568 usd del 2015 è crollato a una stima di 3.374 usd di Pil pro capite nel 2019. Per avere un’idea si consideri che l’Italia, con una popolazione che si avvicina ai 60 milioni, ha un Pil pro capite di 34.321 usd. Il totale di venezuelani ufficialmente presenti in Colombia è di 1.729.537.

Lo Statuto di Protezione Temporanea sanerà la posizione di oltre 1 milione di “clandestini” venezuelani, visto che dal 2016 circa 700mila di loro hanno ottenuto la regolarizzazione. Coloro che beneficiano della “sanatoria” decisa a Bogotà raggiungono, grosso modo, il numero di profughi accolti in Germania quando, accalcandosi lungo la rotta balcanica, rischiarono di sconvolgere l’Europa, finché Angela Merkel decise di aprire le porte della Germania a circa un milione di loro dicendo “ce la faremo”.

La decisione del governo di Bogotà è arrivata, dopo una lunga emergenza, quando si è cominciato a parlare di vaccinazione di massa e alcune forze politiche hanno chiesto che i “clandestini” ne fossero esclusi. Questa linea corrispondeva probabilmente al sentire più diffuso, visto che i sondaggi d’opinione nelle principali città colombiane hanno indicato che oltre il 70% degli intervistati voleva la chiusura delle frontiere con il Venezuela e il 60% dichiarava di avere una percezione negativa dei profughi giunti dal disperato vicino. Ma escludere un milione di persone dalla necessaria vaccinazione sarebbe stata una scelta dalle numerose conseguenze.

La Colombia ha chiesto e ottenuto il sostegno economico di Onu e Unhcr (Agenzia Onu per i Rifugiati) per includere i venezuelani irregolari nella campagna di vaccinazione e, ottenutolo, ha trovato la volontà politica di approvare lo Statuto di Protezione Provvisoria che include tutti i venezuelani giunti e che giungeranno in Colombia entro quest’anno come quelli che lo faranno, ma attraverso un posto di confine ufficiale, nei prossimi due anni. La protezione è accordata per dieci anni e consente l’accesso a tutti i servizi sanitari di base, all’istruzione, oltre che alla vaccinazione e alla possibilità di ottenere un impiego legale.

Marcela Meléndez, responsabile della sezione Studi Economici latinoamericani dell’Undp (Programma delle Nazioni Unite), ha definito la decisione delle autorità colombiane un passo positivo non solo dal punto visto umanitario ma anche per il futuro nazionale. Il quotidiano colombiano El Tiempo ha spiegato al riguardo che il passato benessere venezuelano, Paese che veniva chiamato “Venezuela Saudita” per l’alta produzione petrolifera e la conseguente rendita, fa sì che molti “clandestini” abbiano una formazione professionale migliore di quella dei colombiani, tormentati da conflitti endemici – come detto – da molto più tempo. Se a ciò si aggiunge che la Colombia, un po’ come l’Italia, è un paese immerso in una sorta di “inverno demografico”, con progressivo invecchiamento della popolazione, non sorprende che i dati indichino che la popolazione immigrata è più giovane e con più alta scolarizzazione o formazione di quella locale.

Queste stime risultano dallo studio coordinato dall’economista Ana María Tribín durante la sua permanenza al Banco de la República e pubblicato lo scorso ottobre. “Dato il graduale processo di invecchiamento della popolazione – riferisce El Tiempo – questo afflusso produce un effetto simile al far tornare indietro le lancette dell’orologio, con ricadute positive sulla produttività e sull’economia stessa. Il calcolo è che la crescita accelererebbe tra i 14 e i 17 decimi di punto percentuale fino al 2030, a causa di fattori come l’espansione dei consumi interni”. Per quanto riguarda le percezioni negative, il documento citato afferma che “l’immigrazione non ha un effetto sulla disoccupazione totale, ma sulla disoccupazione di alcuni sottogruppi di popolazione, principalmente tra gli stessi immigrati”.

Le situazioni ovviamente variano, ma un nuovo approccio socio-economico alla questione migratoria potrebbe servire anche in Italia, non solo in Colombia. Detto nei termini politici più correnti in Italia: se la transizione ecologica è stata pensata e proposta da un gesuita, Gael Giraud, che nel 2015 ha pubblicato al riguardo un libro proprio così intitolato, un altro gesuita, Jorge Mario Bergoglio, sembra sollecitare una transizione anche per le politiche migratorie.

* Vaticanista di RESET, rivista per il dialogo

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