Sulla home page del sito di Imperial College London, la foto di Sars-CoV-2 con le punte minacciose, stride con l’invito che appare proprio sotto: ‘Si cercano volontari per partecipare alla prima sfida umana al mondo sul Coronavirus’. A Londra si richiedono persone disposte a farsi spruzzare una dose minima di Covid-19 direttamente nelle narici, per consentire agli scienziati di studiare come si sviluppa il contagio, i meccanismi con cui il virus si trasmette da un individuo all’altro, e quelli della nostra risposta immunitaria ai vaccini. L’idea è dunque di accelerare lo sviluppo solo di quelli più efficaci.

Quella che a novembre (quando per la prima volta l’università inglese ha presentato la proposta di un ‘human challenge’ sul Covid-19) ha diviso le opinioni, è ora una sperimentazione concreta che ha ottenuto il via libera della commissione etica britannica e partirà entro marzo su un campione di 90 giovani sani, di età compresa tra i 18 ed i 30 anni.

Tre mesi fanno la differenza in Gran Bretagna dove nel frattempo è partita la più massiccia campagna di immunizzazione della storia del paese, ma la pandemia ha anche sforato il record di oltre 118mila vite e scatenato nuove varianti fuori controllo che tengono il governo con i nervi tesi e i britannici al confino totale da Natale.

“Nessuno dei vaccini che abbiamo va bene per tutti quindi dobbiamo continuare a sviluppare sieri di seconda generazione e terapie per proteggere dal Covid-19 la popolazione mondiale – sostiene il Presidente di Vaccines Taskforce, Clive Dix -. Ci aspettiamo che questo studio offra delle conoscenze uniche sul comportamento del virus e su come prevenire l’infezione ”. Il capo scientifico di hVivo, Andrew Catchpole spiega che “la sperimentazione consentirà di individuare il tipo di risposta immunitaria che deve essere attivata. I risultati si avranno in tempi molto brevi e dunque saranno usati per accelerare il processo di sviluppo dei vaccini più efficaci e delle terapie migliori“.

Ma veniamo a loro, i volontari. Lo studio da 35 milioni di euro, sviluppato dalla taskforce di Imperial College London, la Royal Free London NHS Foundation Trust e il colosso dei test clinici  hVIVO, prevede che prima vengano individuate le dosi minime del virus (il ceppo originario) necessarie perché si sviluppi il contagio. In una seconda fase queste verranno usate per infettare le “cavie umane”, precedentemente inoculate con i vaccini più promettenti, e sotto stretta osservazione 24 ore su 24 per due settimane.
I volontari saranno ricompensati per il tempo che dedicheranno alla ricerca, stando in isolamento e sottoponendosi a regolari controlli per un anno. La cifra è di 4500 sterline (circa 4700 euro), ma i rischi quali sono?

Secondo il modello dell’organizzazione 1Day Sooner, che ha reclutato 38.659 volontari nel mondo di cui 207 italiani, “il rischio di decesso per Covid-19 in giovani sani di 20-29 anni è pari a 1 su 10mila – due volte più basso della liposuzione – e questo si abbassa ulteriormente nel test clinico dove i volontari contagiati ricevono monitoraggi continui e cure rapide”. L’associazione americana che opera come una sorta di sindacato dei volontari ha collaborato all’elaborazione del protocollo per il consenso informato in modo che siano messi in conto sia i rischi calcolabili che quelli che non si possono conoscere. Secondo Abi Rohrig di 1DaySooner, il protocollo deve prevedere la copertura sanitaria di lungo periodo per coloro che potrebbero sviluppare i cosiddetti sintomi di ‘long covid’. E in attesa che il protocollo sia reso pubblico Dominic Wilkinson, professore di Etica della Medicina e Direttore dell’ Oxford Uehiro Centre, fa un quadro in caso di reazioni fatali: “È importante che i volontari capiscano e valutino tutti i rischi prima di acconsentire al test. Nel caso di questa sperimentazione ci sono elementi ancora più forti per sostenere l’opportunità di un risarcimento se dovessero sviluppare malattie (reazione molto più probabile di un decesso), e ovviamente una compensazione economica nel caso in cui morissero a causa di errori commessi dai medici”.

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