TREVISO – Mentre fuori dal Tribunale di Treviso un gruppo di risparmiatori di Veneto Banca manifestava, il giudice dell’udienza preliminare Gianluigi Zulian ha deciso il rinvio a giudizio dell’ex amministratore delegato Vincenzo Consoli. Si tratta dell’unico imputato in un processo che ha avuto una gestazione laboriosa e intricata. Proprio a causa del trascorrere del tempo, il rinvio a giudizio (la prima udienza si terrà il 10 aprile) si rivela quasi un atto formale. Le accuse di truffa, aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza sono destinate, infatti, ad essere ingoiate dalla prescrizione a fine novembre. Impossibile che si arrivi a una sentenza definitiva prima di allora.
Gli effetti della prescrizione diventano ancor più evidenti in un processo come questo, di fronte a decine di migliaia di persone che hanno perso i loro risparmi a causa dell’azzeramento del valore delle azioni. La causa va cercata in una dissennata politica finanziaria dell’istituto di credito di Montebelluna che appariva solidissimo ed era corteggiato soprattutto dalla Lega, che ne aveva fatto un esempio di autonomia bancaria. Il pubblico ministero Massimo De Bortoli un mese fa, di fronte alla commissione parlamentare d’inchiesta sul sistema bancario e finanziario, aveva denunciato: “Vorrei parlare dello sforzo dello Stato. Che non c’è stato. Io mi sono sentito solo a portare avanti questa indagine. E’ stata dura. Al mio fianco ho avuto solo gli uomini della Guardia di Finanza, per il resto ho dovuto portare avanti più filoni di inchiesta in condizioni davvero difficili. E non parlo solo del fatto che, pur avendo questo compito gravoso, ho dovuto condurre in porto anche gli altri procedimenti che mi erano stati affidati, ma dello stato complessivo della Procura di Treviso”. Aveva spiegato che nessun aiuto era stato dato a una struttura giudiziaria “già sofferente per una carenza del 42 per cento del personale amministrativo”.
E’ stato, quindi, con grande fatica che questo filone dell’indagine preliminare è arrivato all’epilogo. La prescrizione potrebbe essere aggirata soltanto da una contestazione di natura fallimentare, ma per farlo servono le dichiarazioni di insolvenza, che attendono l’esito dei ricorsi in Cassazione. Quindi il filone fallimentare è ancora in alto mare. “Che scatti la prescrizione è matematico – spiega l’avvocato di parte civile Luigi Fadalti – ma il processo va comunque fatto perché i risparmiatori si attendono una dichiarazione di responsabilità”. Elio Arman, presidente del Comitato don Torta, che tutela i risparmiatori, si congratula “per la volontà di fare in fretta del giudice. Però è un processo che, se saremo molto fortunati, arriverà alla sentenza di primo grado. Con una sentenza, la statuizione civile diventerebbe esecutiva sul patrimonio di Consoli”. Poca cosa di fronte all’entità mostruosa del dissesto. “La nostra battaglia continua – conclude Arman – e in un Paese che sembra disinteressarsi della verità, vorremmo che qualcuno ci spiegasse come la Banca d’Italia, che aveva in atto ispezioni continue, non si sia accorta delle irregolarità nelle operazioni di compravendita”.
Nelle conclusioni finali il pm ha definito Consoli “un despota assoluto, un padrone di se stesso”, che tenne occultate le gravi perdite subite dall’istituto per “una sciagurata politica di concessione dei finanziamenti, in alcuni casi senza alcuna garanzia”. E così il valore delle azioni stabilito dall’assemblea dei soci, su proposta del cda, “era sempre tenuto molto elevato a dispetto della reale condizione economica e patrimoniale della banca”. Un esempio? “Nel 2015, mentre il valore nominale era di 39 euro, quello reale era di 7-8 euro. Nel 2016 si verificò il crollo a 0,10 euro”. L’inchiesta su Veneto Banca fu inizialmente trasferita a Roma, ma poi ritornò a Treviso per competenza. E questo ha comportato una notevole perdita di tempo ai fini della prescrizione.
Foto del Comitato don Torta, flashmob davanti al Tribunale di Treviso