I mantra restano sempre gli stessi: le proroghe del blocco dei licenziamenti possono essere al massimo “selettive“, limitate ai settori che “non possono ricorrere alla cassa integrazione ordinaria“. E abolizione dell’Irap, definita “inopportuna, inadeguata e anche folle“. Anche se è l’imposta con cui le Regioni finanziano la sanità e anche se lo scorso anno a tutte le aziende fino a 250 milioni di ricavi, anche quelle non danneggiate dal Covid, sono stati abbuonati il saldo 2019 e l’acconto 2020. Carlo Bonomi non si smentisce. Intervistato da Repubblica, sostiene che “sbloccare i licenziamenti non vuol dire affatto che ci sarà la corsa a licenziare” e “il tema vero è come riformare le tutele per il lavoro sapendo che la pandemia ha accelerato la trasformazione dei processi produttivi” oltre a “aumentare l’occupabilità delle persone, cioè la loro capacità di essere richiesti dal mercato”. Eppure per Confindustria lo sblocco resta una priorità.
Se proprio una proroga deve esserci, va limitata a chi è attivo nei settori che non possono ricorrere alla cassa ordinaria, come ristoranti e piccole attività con meno di cinque dipendenti. Le imprese industriali, “quelle che finanziano la cassa integrazione” ordinaria, dovrebbero invece poterla utilizzare “senza protrarre il blocco”. Una posizione simile a quella espressa a fine gennaio, durante la crisi di governo, quando Bonomi aveva detto sì al blocco per i “settori in grossa sofferenza o chiusi per disposizione del governo“. Aggiungendo che invece la manifattura, se il piano vaccinale funzionerà, “potrebbe avere una ripresa”. Così non stupisce se il numero uno di viale dell’Astronomia dice di aver inviato “una proposta operativa a Palazzo Chigi” per far vaccinare nelle fabbriche “i lavoratori e i loro familiari”.
Subito dopo, Bonomi chiede di “introdurre un ammortizzatore universale, valido per tutti i lavoratori e per tutti i settori“. Così, si intende, tutti pagherebbero le relative aliquote (oggi la cig ordinaria è pagata dalle imprese e “versiamo all’Inps tre miliardi l’anno per ricevere prestazioni pari a 600 milioni“). L’auspicio è poi è che sia “rafforzato l’assegno di ricollocazione” e siano avviate “politiche attive per il lavoro“, temi trattati da Mario Draghi durante il discorso al Senato per la fiducia. Immancabile la chiosa sul “chiaro fallimento del reddito di cittadinanza come strumento per le politiche attive”, mentre nulla si dice sul ruolo nella riduzione della povertà.
“Sono certo che il presidente Draghi ascolterà le imprese”, dice Bonomi, che poi aggiunge che devono essere ascoltate insieme con “i sindacati per trovare soluzioni rapide ed efficaci”. E lamenta: “Con Conte non c’è stato poco dialogo. Non c’è proprio stato”. Ma lo stesso presidente di Confindustria è stato ricevuto dall’ex premier il 25 gennaio per discutere di Recovery plan e si è limitato a porre questioni di metodo, dalla “la mancata conformità con le linee guida indicate dalla Ue” su obiettivi e milestone alla questione della governance. Pochi giorni dopo, in piena crisi di governo, si sarebbe detto favorevole alla conferma di Roberto Gualtieri come ministro dell’Economia“ attribuendo a lui e alla sua “credibilità in Europa” il merito di “quel che portiamo a casa con il Recovery Fund“. Anche se l‘intesa dello scorso luglio sui 209 miliardi è stata siglata dall’ex presidente del Consiglio.
E l’intenzione di Draghi di non sostenere più le “aziende zombie“? Bonomi fa dei distinguo: “Un’azienda come l’Alitalia non può essere perennemente sostenuta. Diverso è il caso dell’Ilva perché la produzione di acciaio è strategica per molte filiere produttive nazionali”. Quanto al fisco, l’Irap va “tolta” e in parallelo “va cambiato il meccanismo di finanziamento della sanità mettendo al centro il parametro dei costi standard e non quello fuorviante della spesa storica regionale. Il Recovery plan deve essere l’occasione per guardare alle migliori esperienze del Paese”.