L’Associazione italiana di epidemiologia ha riscontrato nelle ultime due settimane di gennaio un incremento di contagi nella classe di età 6-10 anni in almeno tre regioni, Umbria, Lazio e Campania. Un’ipotesi che potrebbe concorrere a spiegare questo andamento è la circolazione della variante inglese. Molti studiosi stanno valutando questa possibilità, Alessandro Vespignani, epidemiologo computazionale alla Northeastern University di Boston, sostiene che la variante inglese tra due settimane riguarderà la metà dei casi e poi diventerà prevalente. Per far fronte ad uno scenario di questo tipo si deve intervenire in modo mirato, circoscritto e tempestivo, ma come? Una delle strategie ipotizzate da Mario Plebani, direttore del laboratorio di analisi dell’Azienda Ospedale/Università di Padova, è quella di capillarizzare l’uso dei test “salivari-molecolari” alle scuole elementari ed asili, proprio per monitorare la diffusione della variante inglese sui più piccoli. Questi test salivari “hanno la stessa accuratezza diagnostica dei tamponi molecolari nasofaringei” con il vantaggio che “sono facili da fare, soprattutto ai bambini, e funzionano bene in ambiti ben circoscritti, le scuole sono un esempio, ma anche Rsa e carceri”.

La saliva è auto-raccolta tramite una provetta che contiene un batuffolo di cotone che viene masticato per almeno un minuto al mattino prima di far colazione. Il test salivare molecolare, per i bambini, può risultare molto più efficace rispetto al tampone nasofaringeo (procedura notoriamente più invasiva). Inoltre, “la strumentazione idonea all’analisi della saliva è presente in moltissimi laboratori”, con questa tecnica “togliamo di mezzo la fase iniziale con i tamponi nasofaringei, che costringono a fare le code, e costringono il personale sanitario a bardature complesse – non solo, continua il professor Plebani – si possono stabilire dei punti di raccolta, facili, magari proprio nelle scuole o nelle farmacie”, saranno poi gli addetti dei laboratori ad andare a prelevarli. La dinamica, rispetto al tampone classico, almeno per le scuole, potrebbe avere un impatto significativo “i test salivari applicati su strumentazioni di laboratorio che hanno performance di 100 test all’ora, – conclude il Direttore del laboratorio di Unipd – possono permettere una sorveglianza attiva, e far partire tempestivamente il contact tracing”.

Qui a Padova, d’altronde, lo sanno bene. Ormai si usano da mesi i test salivari-molecolari. Per avere una proporzione: a partire dall’8 ottobre al 24 dicembre 2020, 5.579 dipendenti dell’Università di Padova hanno aderito al programma di monitoraggio con campioni salivari, ne sono stati eseguiti 19.850 (valutati con tecnica molecolare rRT-PCR per SARS-CoV-2). Nel lasso di tempo osservato sono stati identificati 62 campioni positivi, con una frequenza dello 0,31%. Tutti i dipendenti con risultati positivi alla saliva sono stati sottoposti entro 24 ore al tampone nasofaringeo (NPS): i test hanno avuto una concordanza nel 98% dei casi. “Entro 24 ore dal risultato positivo, è stato attivato il tracciamento dei contatti per dipendenti e studenti che frequentano lo stesso ambiente di lavoro – spiega Plebani – questa strategia ha permesso di identificare altri dipendenti positivi, che sono stati immediatamente isolati, impedendo così lo svilupparsi di focolai all’interno dell’Università”.

Questa sperimentazione ha portato alla pubblicazione dello studio “Saliva-based molecular testing for active control of sars-cov-2 infection” sulla rivista dell’International Federation of Clinical Chemistry and Laboratory Medicine, organizzazione mondiale che promuove l’eccellenza nella medicina di laboratorio per una migliore assistenza sanitaria a livello internazionale. Lo studio ha dimostrato come la saliva auto-raccolta permetta di superare il collo di bottiglia legato alla raccolta di campione nasofaringeo, mantenendo l’affidabilità diagnostica. Il programma basato sull’auto-raccolta di campioni salivari e test molecolare si è rivelato uno strumento accurato, ben accettato ed efficace per la diagnosi precoce del virus in soggetti asintomatici, che, assieme all’immediato tracciamento e contenimento dei contatti, ha evitato un’ulteriore diffusione di virus nella comunità universitaria di Padova, creando così un’isola protetta estendibile, da subito, ad altri contesti e comunità sensibili.

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