Vent’anni fa la tranquilla e un po’ banale provincia di Alessandria veniva sconvolta da un orrendo omicidio. Una mamma ed un bambino vengono trucidati tra le mura domestiche. Nella villetta famigliare erano presenti la figlia più grande con il suo giovane fidanzatino. Novi Ligure e tutta Italia non possono immaginare che due adolescenti possano aver ucciso la madre di lei ed il suo fratellino.
I ragazzi si difendono facendo intendere che sarebbero entrati in casa dei rapinatori stranieri. Chiusi assieme in una stanza della locale caserma delle forze dell’ordine, i due ragazzi crolleranno, intercettati mentre organizzano le versioni difensive in vista dell’interrogatorio. Il caso è chiuso.
Dopo vent’anni quella vicenda è ancora oggetto di attenzioni, non per l’efferatezza dell’omicidio. Quel caso ha rappresentato infatti l’avvento, anche in Italia, delle squadre scientifiche investigative. Non che prima non esistesse la polizia scientifica ma il metodo d’indagine del RIS di Parma seppe essere decisamente innovativo. L’intuizione del Colonnello Luciano Garofano, allora comandante di quel reparto, rappresentò una novità assoluta per il nostro Paese: l’indagine scientifica non può essere un frammento dell’investigazione, ma deve “vivere” e coordinarsi con gli altri elementi raccolti dall’inchiesta.
La plastica realizzazione di questa filosofia investigativa venne messa in pratica da Luciano Garofano utilizzando una prova nuovissima: la Bloodstain Pattern Analysis (BPA). Questa è una metodologia che, grazie a complessi calcoli geometrici ed analizzando le macchie di sangue rinvenute sulla scena del crimine, permette di ricostruire una sorta di immagine tridimensionale della “crime scene”, posizionando all’interno di questa gli autori e le vittime del delitto. Nel caso di Novi Ligure, l’idea del Colonnello Garofano fu quella di verificare le dichiarazioni dei ragazzi accusati proprio introducendo questa innovativa tecnica.
La storia del processo penale ha visto un altro caso in cui la BPA fu utilizzata in modo determinante. Il riferimento è all’omicidio di Cogne. In questa occasione il giudice affermò, non con qualche difetto motivazionale nell’interpretazione della prova, che l’assassino, al momento del fatto, indossava il pigiama di Annamaria Franzoni. Questa prova fu decisiva per la condanna della donna.
Nell’altrettanto noto caso di Erba, gli investigatori non chiesero ai RIS di Luciano Garofano di eseguire il medesimo accertamento sulla tenda prospicente il corpo di Valeria Cherubini, una delle vittime della strage dell’11 dicembre 2006. Anche in questo caso, come nel delitto di Erika ed Omar a Novi Ligure, la BPA sarebbe stata assai utile per verificare le dichiarazioni di Rosa Bazzi e Olindo Romano, poi condannati per la strage.
Ciò che è, ancora oggi, determinante, è però l’intuizione di Luciano Garofano e cioè che la prova del DNA, elemento utile per individuare l’autore di un delitto, se unita alla BPA, dice molto di più e questo proprio nell’ottica di armonizzare la prova genetica con gli altri elementi del processo: le eventuali dichiarazioni confessorie, le testimonianze ed ogni altro elemento dell’indagine. La BPA permette proprio questo: rendere la prova del DNA un dato che “vive” sulla scena del crimine e “fa vivere” (o meglio, rivivere) la scena del crimine nella sua dinamica fenomenologica. Da quando conosco Luciano Garofano la sua dottrina investigativa è sempre stata quella di armonizzare le indagini scientifiche con il complesso probatorio a disposizione.
La vicenda di Novi Ligure può essere ricordata anche per un’altra ragione, del tutto extraprocessuale. Il riferimento è a quella forma di “crime” da me definita “pop justice”, già più volte analizzata in questo blog.
La “pop justice” si realizza nell’abbandono della sorpassata giustizia mediatica che era finalizzata ad utilizzare il clamore mediatico per ottenere un esito desiderato in ambito processuale. E facendo ciò, si pone piuttosto sul piano del reality show, dove il male viene venduto come merce vertiginosa e attraente (secondo la visione della contemporaneità narrata dal filosofo Baudrillard) in modo del tutto distaccato dalla vicenda reale, quasi rendendo le vittime, gli autori del delitto, gli avvocati e gli investigatori come personaggi letterari (o meglio, come detto, di un reality show) che “dialogano” in una sorta di “libro giallo” della contemporaneità, le cui puntate sono scandite, con curiosità intrigante, nelle trasmissioni televisive di approfondimento.
Erika e Omar, vent’anni fa, hanno commesso un delitto terrificante ma, certamente, non avrebbero mai immaginato di essere promotori di tante novità, sia sul piano investigativo sia di sociologia del crimine.