Le prime 5mila fiale di Lilly arriveranno entro metà marzo, a fine mese 10mila di Remdesivir. Aifa: "Sono poche ma è tutto quel che era rimasto. Poi si procederà man mano che saranno disponibili altre forniture". Pronto il registro per controllare accesso ed effetti delle terapie. Chiuso anche il bando di studio: si sono presentati in 14 centri, tutti con un protocollo. "Ma non sarà un canale preferenziale per avere i monoclonali".
Cinquemila fiale di Bamlamivimab che arriveranno entro metà marzo, circa il doppio di Regeneron che saranno disponibili però solo alla fine del mese. In tutto fanno 15mila dosi di anticorpi monoclonali. Da distribuire tra tutti gli ospedali e i malati ad alto rischio d’Italia. Quasi niente, se si pensa che la Germania, insieme all’autorizzazione, ne ha subito acquistate 200mila dosi. Giuseppe Traversa, dirigente dell’area strategia ed economia di Aifa: “Capisco che siano poche. E che una volta autorizzato l’acquisto si vorrebbe avere subito il farmaco, ma in questo caso semplicemente manca proprio la disponibilità“.
Il problema è poi tutto qui: il ritardo sui monoclonali condanna l’Italia a partire dalle briciole, con buona pace delle regioni che li volevano tutti, maledetti e subito. A ottobre fu l’occasione sfumata di testarne 10mila dosi gratuitamente, poi la resistenza dell’Aifa ad autorizzarli in emergenza senza il “bollino” dell’Ema, infine il decreto del ministro che ha messo fine a cinque mesi di polemiche e tira e molla. Tutti a litigare e nessuno che si preoccupava di opzionare le dosi come invece facevano gli Usa, il Canada, Israele, la Germania e l’Ungheria per citarne alcuni. Ecco perché, anche una volta ottenuto il via libera, la montagna ha partorito il topolino: quelle terapie saranno ancora una goccia nel mare dei contagi, a una diluizione tale da condannarle all’irrilevanza statistica. A partire da aprile – assicurano però da Aifa – non ci saranno problemi per ordinativi maggiori: “L’idea è di acquistare tutto quello che serve ai pazienti italiani. Ma compatibilmente con la disponibilità delle aziende”.
Quanti ne avrebbero bisogno in Italia? “Oltre alle poche dosi rimaste, spiega Traversa, c’è un problema nel definire la popolazione potenzialmente eleggibile al trattamento”. I produttori, l’Fda e l’Aifa hanno indicato come target i positivi ad alto rischio (cardiopatici, immunodepressi, ultrasessantenni…) con sintomatologia da lieve a moderata, da trattare entro 72 ore etc. Dalla teoria alla pratica, però, ce ne vuole. “Potrebbero servire 500mila o due milioni di dosi. Sulla base dei dati attuali non siamo in grado di dirlo. Sono terapie relativamente nuove e non si hanno molte informazioni, mancano ad esempio quelle post marketing sulla farmacovigilanza. Molto dipenderà anche dai dati clinici che avremo giorno per giorno, come è successo con il Remdesivir. Per questo abbiamo istituito un apposito registro di monitoraggio che consentirà non solo di definire i pazienti che ricevono secondo le caratteristiche indicate ma anche di verificare a distanza di tempo quale è stato l’esito, avendo così un minimo di followup”.
Traversa assicura: “Una volta arrivati i farmaci non si perderà un solo giorno”. “Se sono corrette le previsioni fatte dalla Lilly, entro la metà del mese di marzo le prime 5mila dosi saranno a disposizione delle regioni e quindi degli ospedali italiani. A fine mese quelle di Regeneron, circa il doppio. Appena saranno disponibili partirà la distribuzione. Gli acquisti centralizzati di farmaci non approvati in commercio è sempre complesso e richiede un forte coordinamento. Il protocollo sanitario però è già stato individuato”. Sarà un coordinamento tra ministero della Salute e Aifa, forse lo stesso che gestisce il registro del Remdesivir. “Ogni settimana c’è un incontro tra struttura centrale e regioni per verificare che il farmaco arrivi dapperttutto, che non ci siano carenze. Potrebbe essere la stessa struttura a verificare la distribuzione corretta dei monoclonali”.
Nel frattempo si è chiuso il famoso “bando per lo studio di efficacia” lanciato da Aifa a fine gennaio. L’agenzia italiana si è sempre mostrata più che prudente sull’efficacia di questi farmaci, forse sottovalutando l’interesse a sperimentarli e darli ai pazienti da parte dei centri ospedalieri e di ricerca. In due settimane si è ritrovata con ben 14 entri candidati al protocollo. Ancora non è avvenuta la disclosure, ma toccherà capire quanti si propongano per un genuino motivo di studio e quanti perché è un modo per far avere quei farmaci ai propri pazienti. Traversa assicura che non ci sarà un dumping farmaceutico a danno di altre strutture. “I centri clinici che ne faranno richiesta riceveranno i monoclonali indipendentemente dal fatto che si siano candidati o meno allo studio. Non ci sono corsie preferenziali o diritti di prelazione”.