Ricordo che diversi anni fa mi telefonò una voce anonima dalla Sicilia avvertendomi che dietro il business delle pale eoliche si nascondeva – neanche poi tanto velatamente – la malavita e mi invitava ad indagare. Io, da buon blogger, lascio ai giornalisti il compito di approfondire gli argomenti: non ne ho i mezzi e non sono neppure titolato. Ma questa storia che le pale eoliche spuntassero come funghi, in particolare nel centro-sud della penisola, e poi magari nemmeno funzionassero come dovere e che, insomma, fossero un escamotage per prendere finanziamenti – anche da parte di imprese in odore di mafia o similari – mi sembrava plausibile.
Mi è venuto alla mente quel vecchio episodio quando ho letto su La Repubblica che è stata depositata una istanza per la posa di 190 turbine eoliche, distanziate l’una dall’altra 3,5 chilometri, per un totale installato di 2.900 megawatt, nel canale di Sicilia. Non si riesce neppure ad immaginare cosa significhi 190 turbine distanziate di 3,5 chilometri l’una dall’altra, quanto spazio occuperanno nel Canale di Sicilia. Sarà una specie di muro fra Italia e Tunisia? Servirà a disincentivare gli sbarchi?
Naturalmente scherzo. Ma non scherzo quando mi domando quale impatto potranno avere questi piloni galleggianti (le pale eoliche non possono essere ancorate al fondale marino che lì supera, e di molto, i 50/60 metri di profondità ammissibili per un ancoraggio: quindi ecco il galleggiamento) su navigazione, fondale marino (ci saranno pur sempre gli elettrodotti), attività di pesca.
Ovviamente sia La Repubblica che Il Sole 24 Ore gioiscono all’idea: finalmente una applicazione concreta e pesante di transizione energetica. E, oltre a ciò, il primato: il più grande parco eolico d’Italia e il più grande parco eolico galleggiante al mondo. Ai peana dei giornaloni si unisce Legambiente in coerenza con il suo appoggio incondizionato alla transizione energetica. Unica voce contraria, che abbia letto, quella degli indipendentisti siciliani.
Ma non finisce qui, nel senso che c’è anche un altro progetto depositato presso il ministero dell’Ambiente e già approvato per un parco eolico, sempre lì nel Canale, di 25 turbine per una potenza di 250 mw. A questo punto quindi potremmo avere due parchi eolici galleggianti per un totale di 215 pale. Allora sorgono spontanee una considerazione e una domanda, anzi, una domandona.
La considerazione è questa: una transizione ecologica compatibile con la realtà territoriale e ambientale vorrebbe che la produzione di energia fosse di piccole dimensioni e a vantaggio delle comunità locali, secondo il principio del “piccolo è bello”. Invece si sta andando in direzione diametralmente opposta: impianti di grandi dimensioni che necessitano di grandi impegni di capitale e che occupano grandi porzioni di territorio, e che talvolta – come esordivo – possono anche lasciare spazio alla criminalità organizzata.
La domandona invece è questa: si pensa davvero di continuare (siamo appena all’inizio) ad occupare enormi distese di territorio e di mare per sostenere la crescita? Parlo delle pale eoliche, ma parlo anche del solare a terra su terreni agricoli, “campo” in cui si distinguono regioni (molto teoricamente) di sinistra come il Lazio di Nicola Zingaretti e la Puglia di Michele Emiliano. Proprio in quest’ultima regione l’equivalente di duecento campi da calcio è l’estensione di un nuovo impianto fotovoltaico a terra, realizzato a Troia, in provincia di Foggia. Duecento campi di terreni agricoli sacrificati.
È questa la transizione ecologica che si vuole? Una rincorsa ad una crescita economica infinita sorretta da ancor maggiori flussi di energia? È questo che vuole il mondo ambientalista? Vogliamo pensare come Lester Brown che anni fa disse che si poteva ricoprire l’intero deserto del Sahara con pannelli solari? L’ho sentito con le mie orecchie… Non sarebbe il caso di rivedere questo quadro che possiamo definire drammatico oltre che irrealistico? Va bene vivere nel presente, va bene non curarsi del futuro, ma c’è un limite anche a questa prospettiva a breve termine. E anche un limite alla nostra stupidità. O no?