La strada della partecipazione “strategica” è rimarcata da Nicola Latorre, direttore generale dell'Agenzia Industrie Difesa “è una questione di Sicurezza nazionale sanitaria, ci stiamo dotando di queste concrete possibilità produttive e di competenze abbiamo già avviato un accordo per entrare in un polo Biotech, in Italia. La Fondazione Tls e lo stabilimento Chimico Farmaceutici Militare (SCFM) di Firenze, collaboreranno nella realizzazione di un programma integrato di ricerca e sviluppo per la produzione di vaccini"
La campagna vaccinale procede al ritmo imposto dalle consegne dei fornitori: Moderna, Pfizer, AstraZeneca. Il ritardo, in alcuni casi, è notevole, rispetto ai programmi previsti all’inizio della campagna: 28 milioni di dosi attese, per il primo trimestre, dimezzate oggi, realisticamente si arriverà a 14 milioni di dosi per il primo trimestre. Qualche regione sta provando la trattativa privata, ma se è vero che quote di vaccino sono svincolate dall’accordo centrale dell’Ue, resta altrettanto vero il problema produttivo: se i big player non riescono a consegnare, anche i singoli accordi privati possono soffrire di questa identica carenza produttiva, a monte.
Una delle soluzioni, sulle quali convenne Giorgio Palù, presidente dell’Aifa, due settimane fa, proprio in un’intervista al Fattoquotidiano.it, fu quella di una possibile cordata di aziende biotech italiane – a guida statale – in grado di fare massa ed iniziare ad aggiornare gli impianti per produrre vaccini. L’ipotesi, prevedeva anche un investimento pubblico strategico, “sarebbe auspicabile, ma questa è una volontà politica, il Governo dovrebbe fare il primo passo”, chiosava Palù. Certo è che “abbiamo almeno cinque aziende di grosso calibro italiane – secondo Massimo Scaccabarozzi, presidente di Farmindustria – ma bisogna tener conto, in relazione ai singoli casi, di un adeguamento degli impianti e dei relativi tempi di processo”. Pur avendo impianti per “terapie avanzate”, questi andrebbero adattati per la produzione ad hoc di vaccini mRna come Pfizer e Moderna (o a vettore virale come Astrazeneca), cosa che richiede un investimento importante. Ci sono società con competenze di alto livello “nel settore delle terapie avanzate, dove l’Italia che pure ha fatto parte dell’avanguardia in Europa nella messa a punto delle prime terapie, non ha oggi una capacità produttiva correlata al suo potenziale – ci spiega Riccardo Palmisano, Presidente Assobiotec – nonostante la presenza di eccellenze come Holostem a Modena, AGC Biologics a Bresso o l’Ospedale Bambino Gesù di Roma, con il suo “bioreattore” (fondamentale per produrre vaccini a Rna)”.
In questa operazione potrebbe entrare anche la Difesa. Dotarsi oggi di tecnologia adeguata per produrre mRna, sia per i vaccini, ma anche per le terapie avanzate anticancro, permette di elaborare un piano a lungo termine “i siti della Difesa potrebbero assolvere a tale obiettivo. Possiamo avere queste capacità e queste potenzialità – ci conferma il Generale d’armata Antonio Zambuco, che si è occupato proprio di queste attività in piena pandemia – cerchiamo di essere autonomi. Durante la prima ondata non avevamo respiratori, ci siamo adoperati e ne abbiamo prodotti 2mila in poco tempo. Non avevamo mascherine a disposizione, adesso le produciamo noi: 1,5 milione di Ffp2 e 3,5 milioni di chirurgiche”. La strada della partecipazione “strategica” è rimarcata da Nicola Latorre, direttore generale dell’Agenzia Industrie Difesa “è una questione di Sicurezza nazionale sanitaria, ci stiamo dotando di queste concrete possibilità produttive e di competenze – e continua – abbiamo già avviato un accordo per entrare in un polo Biotech, in Italia. La Fondazione Toscana Life Sciences e lo stabilimento Chimico Farmaceutici Militare (SCFM) di Firenze, collaboreranno nella realizzazione di un programma integrato di ricerca e sviluppo per la produzione di vaccini”.
Va detto che “la nostra farmaceutica, con 34 miliardi di euro di produzione in Italia è un asset strategico dell’economia. Siamo leader, insieme alla Germania, nel settore. Noi, esportiamo l’80% di farmaci prodotti nel mondo, – ricorda il presidente di Farmindustria – l’Italia non è solo turismo, è anche farmaceutica, è un settore enorme, non dobbiamo dimenticarlo”. La pandemia, però, ha trovato il nostro paese spiazzato sul fronte della ricerca “pura”, ovvero quella “primaria” di qualità e anche sulla questa specifica filiera di produzione, perché, stando ai numeri “la fotografia del settore dice che su più di 230 società di terapie geniche, cellulari e rigenerativa in Europa, solo 8 sono Italiane – sottolinea Riccardo Palmisano Presidente di Assobiotec – e nessuna di queste è preparata, nell’immediato, con bioreattori per la produzione di vaccini a Rna. Questo comporterà una sempre maggiore necessità e richiesta di produzione biotech. Se l’Italia vuole essere competitiva nel settore della produzione bio-farmaceutica e sfruttare eccellenza delle maestranze e costo del lavoro contenuto deve fare adesso un deciso salto di qualità”.
A volerla dire in modo più diretto, significa che “in Italia manca un ecosistema di ultima generazione, ed è quello che sto cercando di costruire in Toscana – ragiona Rino Rappuoli, microbiologo, uno degli scienziati italiani più ascoltati al mondo -, ho fatto crescere questo progetto, supportato da varie istituzioni, e oggi è competitivo a livello internazionale. Ma è un’isola rara. Non per niente siamo gli unici ad aver prodotto anticorpi contro Covid in Italia, e tra i pochi in Europa”. Insomma, la qualità dei ricercatori ce l’abbiamo, e se a dirlo è Rappuoli – che ha coordinato gruppi di ricerca ovunque nel mondo, da Harvard alla Rockefeller University -, significa che il nostro paese ha competenze di livello, quello che serve è dotarsi di impianti aggiornati. “Se non investiamo ora, fra qualche anno non saremo più competitivi a livello internazionale. Lo Stato non deve dare soldi a pioggia, senza controllare. Ma deve darli a chi investe in innovazione vera. Il futuro dell’economia è nella medicina, nell’innovazione, è mettere insieme fisica e medicina …il futuro dell’economia è lì – e conclude – non possiamo più competere sulla manovalanza”.
Allo stato attuale lo stabilimento Catalent di Anagni ha le capacità necessarie per l’infialamento, la Fidia di Abano Terme, in provincia di Padova, si è resa disponibile per un aggiornamento di impianti votati alla produzione del vaccino anti-Covid 19. Ma, l’elenco comprende varie realtà che potrebbero ragionare su un eventuale aggiornamento, avendo già a che fare con terapie geniche – questo non vuol dire che domani possano produrre vaccini, ci vorrà qualche mese, ma il dato di fatto oggi è uno: hanno abilità di alto profilo – come la Holostem, citata sopra, azienda biotecnologica che si occupa di terapia cellulare a Modena, e la Anemocyte S.r.l. di Gerenzano, in provincia di Varese, con profili interessanti, e ancora Recipharm a Masate (Milano) e Patheon, a Monza, che si occupano di finitura e confezionamento secondario (fiale).