Mentre, un anno fa, il contagio da coronavirus dilagava in Lombardia, diverse comitive di anziani lombardi seguivano con apprensione l’evolversi della situazione a Codogno dalle proprie camere di albergo, fronte mare, al hotel Bel Sit di Alassio. Nessuno di loro poteva immaginare che il virus era sceso in Liguria assieme a loro, come sembrava escluderlo l’Asl 1 di Imperia: “Non sapevano nulla – ripercorre quei giorni Simona Aicardi, proprietaria dell’albergo del ponente ligure – quando li abbiamo contattati per comunicare che avevamo ospiti delle zone dove il virus stava espandendosi ci dissero che non dovevamo fare nulla di particolare, anche se alcuni da qualche giorno non uscivano dalle proprie stanze dopo aver accusato sintomi che, allora, avremmo definito influenzali”.
Una donna di 72 anni che stava particolarmente male, dopo alcuni giorni, venne mandata al pronto soccorso, accompagnata in ambulanza senza dispositivi di protezione, lasciata in sala d’attesa ad attendere il proprio turno, e rimandata indietro in taxi: “Se si aggrava faremo il tampone”. Era ancora una pratica complessa quella dei tamponi, che richiedeva il trasferimento all’ospedale San Martino di Genova e l’invio del campione allo Spallanzani di Roma: “Finché non si sono palesati sintomi inequivocabili ed è scoppiato il focolaio di Codogno – spiegano ora dal Bel Sit – ci dicevano di attendere… poi arrivò l’esito, in un primo momento apparentemente negativo, poi positivo. Prima la comunicazione per telefono, poi l’indicazione di chiuderci tutti nelle stanze, una macchina della polizia per scongiurare eventuali ‘fughe’ e transenne tutto intorno all’albergo”.
Così, in poche ore, il 25 febbraio 2020 l’Hotel Bel Sit divenne il primo focolaio in Liguria, il primo caso all’interno di una struttura ricettiva in Italia: “Furono giorni difficili, chi stava male veniva trasferito in ospedale, ma molti positivi restavano in quarantena e non potevano uscire dalle stanze e capire esattamente quello che stava succedendo – spiega Albert Baca, cameriere 26enne di origine albanese – Dovevamo gestire 77 anziani e, in teoria, non avremmo potuto interagire con loro. Sapevo di rischiare, ma non potevo restare chiuso nella mia stanza abbandonando gli ospiti nella loro”. Così Albert si guadagnò il soprannome di “angelo del Bel Sit” per il coraggio con il quale, nonostante fosse negativo e c’era il panico più totale sugli effetti del virus, preferì continuare a lavorare distribuendo i panini della Protezione civile stanza per stanza, con una mascherina chirurgica come unico dispositivo di protezione.
Al termine del mese di quarantena, nelle celebrazioni dell’eroismo di chi aveva contrastato il virus in prima linea, lo stesso presidente della Regione Liguria, Giovanni Toti, si lanciò nella promessa di una cittadinanza onoraria per “meriti speciali” al cameriere albanese che nel tempo libero è milite della Croce Bianca. Alle promesse di quei giorni non seguì alcun fatto, Albert attende ancora la cittadinanza ma non si fossilizza sulla questione: “Per me il premio più commovente è la riconoscenza degli ospiti, con molti dei quali a distanza di un anno sono ancora in contatto, e il clima di famiglia che si è creato tra noi dipendenti costretti ad affrontare insieme un’esperienza così drammatica”. Il momento più triste è stato il 3 marzo, quando tra gli ospiti e i dipendenti reclusi nelle proprie stanze in quarantena, la notizia che una di loro, una donna di 86 anni originaria di Castiglione D’Adda ricoverata al San Martino, aveva perso la sua lotta contro il Covid: “Anche se avevamo fatto il massimo era inevitabile sentirsi coinvolti e responsabile – spiega commossa la proprietaria della struttura Aicardi – poi l’estate è andata meglio ma ora, con le restrizioni sui movimenti tra regioni, abbiamo preferito rimanere chiusi. I nostri clienti sono quasi tutti piemontesi e lombardi, a un anno di distanza da quei giorni drammatici speriamo solo che questo incubo finisca presto”.