“La misura è colma da tempo e non possiamo pensare che là fuori possano girare impunemente persone che evocano attentati con morti e feriti nelle nostre redazioni o che vogliano mettere le mani addosso ai cronisti”. Così il direttore del Tirreno, Stefano Tamburini, in un editoriale pubblicato il 23 febbraio dal quotidiano di Livorno che denuncia gravi episodi di minacce al giornale avvenuti negli ultimi giorni come l’auspicio di attentati alla redazione con tanto di “morti e feriti”.
Il direttore nel rievocarli cita il caso Meloni-Gozzini prendendo le distanze da “frasi di scuse pelose e insincere” e per il quale “vivere come bruti nella giungla dell’ignoranza può anche essere una scelta. Imporla agli altri con la clava no: è inaccettabile”. La bussola del rispetto, come la chiama Tamburini, si è rotta e ultimamente punta verso i punti cardinali dell’odio spinto anche per quanto riguarda il quotidiano toscano che, denuncia Tamburini, “negli ultimi giorni ne è stato purtroppo ripetutamente bersaglio”.
Tutto è iniziato il 10 febbraio a Livorno, quando un collaboratore del Tirreno è stato avvicinato da alcuni iscritti a un’associazione di circoli nautici, al termine di un’assemblea sulla rimozione delle barche dal porto Mediceo. “Una di queste persone si era spacciata per poliziotto, minacciando il collega («dammi i documenti che li fotografo, poi dammi anche il cellulare che cancello tutti gli appunti e se ti rifiuti ti butto in acqua»)”, riferisce l’editoriale sottolineando come, complici le telecamere di sicurezza, all’episodio siano seguite “sei denunce d’ufficio per minacce e in un caso si è aggiunta l’accusa di sostituzione di persona”.
Lunedì poi sui social un commentatore di un articolo del giornale ha invocato “un bell’attentato alla sede de “Il Tirreno”, con tanto di morti e feriti…”. Lo stesso giorno a Livorno un giornalista del quotidiano è stato verbalmente aggredito e minacciato da un tale che aveva accusato di plagio dei suoi articoli. “Ah, sei quello che ha detto che copio? Te sei una testa di cazzo e se lo ridici vedi cosa ti succede…”, è il racconto dello scontro in cui “è seguito anche di peggio, con altre minacce, gestacci, inviti alle persone che stavano parlando con il nostro giornalista: «Non ditegli niente a questo…»”.
Con il giornale si è schierato subito un coro bipartisan di solidarietà che include politici locali, regionali e nazionali, sindacati e ordine dei giornalisti. In particolare il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese la convocazione al Viminale, per la prossima settimana, del Centro di Coordinamento per le attività di monitoraggio, analisi e scambio di informazione sugli atti intimidatori nei confronti dei giornalisti.
“L’attenzione del ministero dell’Interno per la tutela degli operatori dell’informazione – ha sottolineato poi il ministro – è massima. Per prevenire violenze e minacce, anche sul web, ho riattivato, sin dal 10 gennaio 2020, il tavolo di confronto con gli organismi rappresentativi dei giornalisti e, sulla scorta delle esigenze emerse in quella sede, sono state già avviate iniziative sui territori con la più stretta collaborazione tra il Dipartimento della pubblica sicurezza, le prefetture e l’Ordine dei giornalisti e la Federazione nazionale della stampa italiana”. La titolare del Viminale rimarca infine “il dovere delle istituzioni di intervenire per difendere la libertà di stampa, che rappresenta uno dei pilastri della democrazia”.