Per settimane, sin da quando ha aperto la crisi di governo che ha portato Draghi a Palazzo Chigi, Matteo Renzi lo ha ripetuto come un mantra: “La nostra è l’unica forza politica che ha fatto dimettere i propri ministri“; “Non è una questione di posti“; “Teresa, Elena, Ivan hanno rinunciato a delle poltrone mentre altri li giudicavano folli. Adesso sappiamo che da quel sacrificio nasce l’esperienza più importante della legislatura”. Un sacrificio che però è durato giusto il tempo di formare il nuovo governo: grazie all’infornata di sottosegretari nominati in Consiglio dei ministri, la delegazione di Italia viva che c’era con il Conte 2 si è completamente ricostituita. Elena Bonetti, come è noto, è già tornata al suo posto come ministra delle Pari opportunità della famiglia. Teresa Bellanova, invece, ha appena ottenuto l’incarico di viceministra alle Infrastrutture e Ivan Scalfarotto è sottosegretario agli Interni.
Il peso dei renziani a Palazzo Chigi è quindi rimasto pressoché invariato, se non per il declassamento di Bellanova dal dicastero dell’Agricoltura al ruolo di vice di Enrico Giovannini. Tre erano e tre sono rimasti, nonostante il leader di Iv e i suoi si siano vantati a più riprese di aver “rinunciato alle poltrone” per “far prevalere le nostre idee”. Già prima di aprire formalmente la crisi, a inizio gennaio, Renzi parlava così: “A me del cambio di governo interessa zero. Il problema non è come si cambia il Governo, ma come si affronta questa pandemia. Non ci frega nulla delle poltrone, ma non si buttino via i soldi che non torneranno mai più”. Erano i giorni del gelo sul Mes, che ora è scomparso tra le priorità di Italia viva, e del Recovery plan. “Quando arriverà lo valuteremo, se non siamo d’accordo diciamo ‘amici come prima, noi le nostre poltrone ve le ridiamo‘”.
Due giorni dopo, il 13 gennaio, il senatore di Rignano convoca una conferenza stampa alla Camera per ufficializzare il ritiro della sua delegazione dal governo. E lo fa con toni ancora più netti, senza dare per quasi un’ora la parola a Bellanova e Bonetti, che siedono silenziose accanto a lui, o a Scalfarotto, accomodato in platea causa distanziamento sociale: “È molto più difficile lasciare una poltrona che aggrapparsi allo status quo. Noi viviamo una grande crisi politica, stiamo discutendo dei pericoli legati alla pandemia. Davanti a questa crisi il senso di responsabilità è quello d risolvere i problemi, non nasconderli”, dice. Poi nella sua e-news aggiunge: “Se avessimo voluto le poltrone avremmo trovato facilmente un accordo. Noi le poltrone le lasciamo, non le chiediamo. La politica è servizio: sono così orgoglioso della nostra diversità rispetto agli altri”.
Una “diversità” che nelle settimane successive ritorna in ogni intervista e uscita pubblica. “Noi siamo l’unica forza politica che alle poltrone ha rinunciato“, ribadisce Maria Elena Boschi dopo che il governo Conte incassa la fiducia al Senato senza però raggiungere la maggioranza assoluta. Mentre “assistiamo alla creazione di gruppi improvvisati, noi siamo qui a dire con forza che, grazie a Teresa, Elena e Ivan, abbiamo rinunciato alle nostre poltrone perché vogliamo far prevalere le nostre idee”, ripete ancora una volta Renzi. Fino al 13 febbraio, quando l’ex capo della Bce giura al Quirinale e lui rivendica il “gesto di coraggio che abbiamo compiuto”. Poi si rivolge a chi dice che “Italia Viva conta meno perché ha meno ministri. Io rispondo: ‘Sì, è vero’. La verità è che Italia Viva conta meno di prima ma l’Italia conta di più di prima. Sono imbarazzanti quelli che dicevano: ‘Fate la crisi solo per le poltrone’ e oggi dicono ‘Avete meno poltrone di prima’. Non sono cattivi: è che proprio non riescono a capire che l’unità di misura in politica non sono i numeri dei ministeri ma le battaglie che fai, il coraggio che metti, i rischi che corri per raggiungere il Bene Comune”. Ora che a Palazzo Chigi c’è stato l’ultimo giro di nomine, però, i conti sono tornati a posto.