Vi è mai successo di comprare un cartone di latte vegetale pensando fosse vaccino? Avete mai addentato un burger pensando fosse di manzo, per poi controllare la confezione e scoprire che era a base di soia? A colazione, vi è capitato di trovare lo yogurt un po’ diverso dal solito, accorgendovi poi che era fatto con le mandorle? Neanche una volta? Davvero?
Beh, non siete gli unici. Lo dice anche uno studio realizzato nel Regno Unito che smentisce la credenza secondo cui l’uso di terminologie come “latte” o “burger” per i prodotti veg disorienti i consumatori. Eppure, la paura che gli europei possano confondersi tra prodotti vegetali e animali preoccupa talmente tanto gli europarlamentari da averli spinti ad approvare gli emendamenti 171 e 72.
Questi prevedono il divieto di utilizzare parole come “cremoso”, “senza lattosio”, “non contiene latte” su confezioni e pubblicità di prodotti vegetali. Perfino le confezioni stesse ‒ i vasetti e i cartoni ‒ potrebbero dover cambiare. Se presi alla lettera, gli emendamenti renderebbero illegale anche solo paragonare l’impatto ambientale del latte animale e delle bevande a base vegetale. Una censura ingiusta che va a difendere gli interessi dell’industria lattiero-casearia, a sfavore dei cittadini europei.
È per questo motivo che, assieme a numerose Ong in tutta Europa, Essere Animali ha inviato una lettera al Presidente del Consiglio Europeo chiedendo di opporsi a questi emendamenti. Disposizioni che metterebbero a rischio il diritto dei consumatori a essere adeguatamente informati sulla natura dei prodotti e questo vale soprattutto per chi soffre di intolleranze o allergie, ma anche nel caso di chi segue uno stile di vita vegan per motivi etici.
Come se non bastasse, gli emendamenti 171 e 72 vanno apertamente contro tutto ciò su cui l’Unione Europea si è impegnata negli ultimi anni: una riduzione delle emissioni di gas serra e del consumo delle risorse del pianeta. Nella strategia Farm to Fork, al centro del Green Deal, la Commissione Europea riconosce infatti la necessità di promuovere una dieta vegetale ed esprime la volontà di facilitare la scelta di un’alimentazione sostenibile.
Nella pratica però questo non sta succedendo e l’introduzione degli emendamenti 171 e 72 ne sono un esempio lampante. Sono moltissimi gli studi dai quali emerge che il latte vaccino ha un impatto ambientale di gran lunga maggiore di quello delle alternative vegetali. E sebbene tra le alternative ce ne siano alcune, come il latte di mandorla, che richiedono grandi quantità di acqua per essere prodotte, il paragone con il latte di mucca non regge: le alternative rimangono più sostenibili. Nonostante questo, il loro acquisto non viene affatto promosso attivamente.
Come spiega un articolo di Will Italia, nel nostro Paese lo scarto tra le aliquote imposte al latte vaccino e alle alternative vegetali è considerevole. Quella del latte vaccino è del 4%, perché considerato un alimento di base, contro il 22% delle bevande vegetali, considerate alla stregua di un bene di lusso. Nel resto d’Europa la situazione non è molto diversa.
Insomma, l’introduzione delle restrizioni alla nomenclatura dei prodotti vegetali è l’ennesimo regalo a un’industria insostenibile e rende di fatto ancora più difficile intraprendere una scelta più attenta all’ambiente, agli animali e alla propria salute. Una scelta, quest’ultima, abbracciata da un numero crescente di consumatori, sempre più consapevoli e attenti a ciò che mangiano.