Mettere mano alla riforma dell’Irpef potrebbe risultare un’impresa titanica persino per Mario Draghi. Non tanto per la difficoltà di mettere a punto un diverso meccanismo di tassazione, quanto piuttosto per quella di comporre l’evocata commissione di esperti che proponga lei stessa una riforma complessiva “dell’Irpef con il duplice obiettivo di semplificare e razionalizzare la struttura del prelievo, riducendo gradualmente il carico fiscale e preservando la progressività”, come ha spiegato lo stesso Draghi nel suo discorso per la fiducia in Senato sottolineando come “le esperienze di altri paesi insegnano che le riforme della tassazione dovrebbero essere affidate a esperti, che conoscono bene cosa può accadere se si cambia un’imposta”.
Il problema però è che se sulla piazza non mancano tributaristi di grande esperienza, sarà necessaria grande attenzione nei confronti dei “baroni” finiti sotto inchiesta perché accusati di aver truccato i concorsi all’università, i fiscalisti che accettano di diventare prestanome di operazioni poco chiare e i professionisti specializzati in consulenze per l’esportazione di capitali all’estero e “ottimizzazione” della fiscalità dei clienti.
In assoluto il colpo più pesante per l’onorabilità della categoria è arrivato nel 2017 in seguito a un’inchiesta scattata su denuncia dell’allora ricercatore tributarista fiorentino Philip Laroma Jezzi (oggi professore associato di Diritto tributario a Firenze), che riferì di essere stato “invitato” a ritirarsi da un concorso in attesa che venisse il giro buono anche per lui. Laroma denunciò alla Guardia di Finanza la sua esclusione nel 2013 da quello che riteneva un patto tra due studi tributari di Firenze, a suo dire accordatisi per favorire invece il superamento del concorso di due propri associati.
Da questo spaccato gli inquirenti ricostruirono una rete nazionale di relazioni tra società scientifiche dove, secondo l’accusa, venivano illecitamente concordati i vincitori dei concorsi, con scambi di favori e abilitazioni alla docenza. Un gioco in cui gli esponenti delle associazioni rivali Società studiosi diritto tributario e Associazione italiana professori diritto tributario, secondo le accuse si contendevano le abilitazioni e i posti disponibili per i propri iscritti “a prescindere da ogni valutazione di merito”.
Secondo il gip di Firenze Angelo Antonio Pezzuti, in particolare c’erano “sistematici accordi corruttivi tra numerosi professori di diritto tributario, finalizzati a rilasciare le abilitazioni all’insegnamento secondo logiche di spartizione territoriale e di reciproci scambi di favori, con valutazioni non basate su criteri meritocratici bensì orientate a soddisfare interessi personali, professionali o associativi”. Senza contare gli studiosi di cui è venuta a galla, nei fatti, la mancata rinuncia alla libera professione e ai suoi profitti, in seguito all’avvio della carriera universitaria che dovrebbe essere incompatibile con l’esercizio privato della professione.
Al termine delle indagini finirono agli arresti domiciliari sette stimati tributaristi, altri ventidue vennero interdetti per un anno su un totale di 59 indagati. Per 45 di loro fu avanzata la richiesta di rinvio a giudizio a Firenze, da dove il procedimento a inizio 2020 è stato trasferito a Pisa (il giudice ha dichiarato la propria incompetenza territoriale) e sta ricominciando da capo proprio ora. Qui, proprio una manciata di giorni prima della vigilia del discorso di Draghi in Senato, è stata fissata la nuova udienza preliminare per il prossimo 19 aprile.
Nell’elenco degli imputati ci sono alcuni tra i migliori del settore. Anche gli allora principi del foro in materia di diritto tributario, oggi defunti. Uno di loro, in una conversazione intercettata dagli inquirenti, nel corso di una cena in un ristorante romano nel 2014, si era detto convinto della necessità di creare “un gruppo di persone più o meno stabili a cui far gestire i futuri concorsi”. Nome in codice: “la nuova cupola”.
Tra i professionisti finiti in un primo momento agli arresti domiciliari comparivano i nomi di Guglielmo Fransoni, tributarista dello studio Russo e professore a Foggia; Fabrizio Amatucci, professore a Napoli; Giuseppe Zizzo dell’Università di Castellanza; Alessandro Giovannini dell’Università di Siena; Giuseppe Maria Cipolla dell’Università di Cassino, Adriano Di Pietro dell’Università di Bologna, Valerio Ficari, ordinario a Sassari e supplente a Tor Vergata, Roberto Cordeiro Guerra, ordinario a Firenze e Francesco Tundo, professore ordinario all’Alma Mater di Bologna. Per 5 di loro il Riesame annullò i domiciliari e dispose l’interdizione dall’insegnamento per 10 mesi. Per Giovannini la revoca fu totale e non fu sottoposto altre misure. I professionisti risultano comunque ancora imputati insieme al noto tributarista Gianni Marongiu, cattedratico genovese ex deputato e sottosegretario alle Finanze del Governo Prodi.
Insomma, un vero e proprio terremoto che ha scosso gli Atenei e gli studi tributari di tutta la Penisola, inclusi eminenti consulenti dei governi di ogni foggia e colore. In pratica proprio quelli che sarebbero stati i candidati ideali per la commissione evocata da Draghi che, se vorrà pescare in questa rosa, per ragioni di opportunità dovrà attendere quanto meno l’esito dell’udienza preliminare.
Non che poi le cose fuori dalle mura dell’Università vadano molto meglio. Per esempio al centro dell’inchiesta sull’acquisto della sede di Lombardia Film Commission ci sono proprio dei commercialisti, i contabili della Lega in Parlamento Alberto Di Rubba e Andrea Manzoni, soci di studio del tesoriere del Carroccio Giulio Centemero (non indagato), che per l’accusa avrebbero pianificato l’intera operazione per intascare i soldi della Regione. Un altro commercialista, Michele Scillieri, nel cui studio è stato domiciliato nel 2017 il nuovo partito per Salvini premier, finito agli arresti nell’ambito della stessa inchiesta, ha chiesto di patteggiare 3 anni e 8 mesi oltre a 85mila euro di risarcimento.
Casi molto particolari, certo. Come quello del fiscalista Andrea Baroni, che il 10 ottobre 2015 venne accusato di riciclaggio delle tasse evase dai suoi clienti italiani. Era socio della Tax and Finance di Lugano, tra i consulenti di Mr Bee Taechaubol nella allora trattativa per l’acquisizione del Milan. Oltre cinque anni dopo, però, la posizione è stata archiviata per effetto della voluntary disclosure, e cioè lo scudo varato dal governo Renzi per la regolarizzazione dei patrimoni detenuti all’estero lontano dallo sguardo del Fisco che, insieme all’evasore, ha messo al riparo anche i presunti riciclatori del denaro estendendo anche a loro la clausola di non punibilità. Perfino in caso di adesione allo scudo successiva a una misura nei confronti di chi in ipotesi “ripuliva” il denaro.
Sono solo alcuni esempi, che naturalmente non rappresentano l’intera categoria. Ma per Draghi sarà importante scegliere chi davvero può consentirgli di utilizzare la lotta all’evasione come perno per la sua riforma fiscale.
Aggiornato da Redazione web il primo marzo 2021 alle 18
In una prima versione, in relazione all’inchiesta sui docenti indagati in Toscana, per un errore nella stesura dell’articolo si parlava di rinvio a giudizio, mentre al momento per tutti è ancora pendente la richiesta di rinvio a giudizio.