L'INTERVISTA - Carlo Federico Perno, responsabile del Dipartimento di Microbiologia e Diagnostica di Immunologia del Bambino Gesù di Roma: "Dobbiamo implementare i test sierologici per valutare la copertura anticorpale. Ricordando che qualche Covid positivo vaccinato potrebbe non avere un vantaggio, ma addirittura uno svantaggio dalla vaccinazione"
La vaccinazione lì dove il virus colpisce più ferocemente, il criterio territoriale annunciato dall’assessora alla Sanità della Lombardia Letizia Moratti, “è ragionevole” anche se come abbiamo imparato Sars Cov 2 “cammina veloce” e dove non circola ancora arriverà. Un po’ meno ragionevole, al momento, dato il rischio di “sviluppo di ceppi resistenti”, l’ipotesi di procrastinare fino a sei mesi la seconda dose del vaccino Astrazeneca. E poi l’idea di rendere obbligatorio sottoporre a test sierologico chi è stato Covid positivo, per evitare che l’immunizzazione possa essere “inutile” o addirittura “un possibile danno” per le persone. Carlo Federico Perno, responsabile del Dipartimento di Microbiologia e Diagnostica di Immunologia del Bambino Gesù di Roma, risponde così alle domande del Fattoquotidiano.it sulla rimodulazione del piano vaccinale.
La Lombardia rimodulerà la campagna vaccinale usando un criterio territoriale.
Cercare di prevenire la malattia nelle persone dove il virus circola molto, significa evitare un numero ulteriore di contagi. Pertanto è un’idea alquanto ragionevole e sensata.
Il senso della campagna vaccinale è prevenire non inseguire il virus. Usando questo criterio non rischiamo un controsenso?
Il punto è capire qual è il nostro obiettivo. Se il nostro obiettivo è intervenire il più rapidamente possibile cominciando da dove il virus è molto presente, cercando di bloccare i contagi tra le persone che sono più a rischio, credo l’ipotesi territoriale sia molto ragionevole. Ovviamente bisogna stare attenti a mantenere una strategia di sviluppo che non trascuri le zone dove il virus non circola o circola meno, perché sappiamo che cammina rapidissimo e dove oggi non c’è arriverà con estrema rapidità. Pensiamo all’arrivo inaspettato e rapido a Codogno, Alzano, Nembro. Non dobbiamo dimenticare dove il virus non c’è ancora.
È stato anche annunciato che, in accordo con il ministero della Salute, le persone che sono state malate riceveranno una sola dose di vaccino o la loro vaccinazione sarà posticipata fino a sei mesi. Cosa ne pensa?
C’è una letteratura in corso di sviluppo sulla quale c’è ancora molto da discutere: cioè se i Covid positivi siano già protetti e come tali non devono essere vaccinati, oppure se siano non protetti e come tali devono essere vaccinati oppure ancora se siano protetti e la vaccinazione possa essere addirittura detrimentale (dannosa, ndr). Su questo c’è un lavoro del gruppo del professor Alberto Mantovani dell’Humanitas che suggerisce una possibile pericolosità della vaccinazione massiva dei soggetti Covid positivi laddove siano già presenti anticorpi contro il virus. Non è ancora pubblicato, ma si tratta di uno studio su cui dobbiamo riflettere. In questa fase in cui si sta acquisendo cultura, avere cautela sui Covid positivi mi sembra ragionevole, meglio concentrarci su quelli che non hanno avuto la malattia. Noi, per esempio, in ospedale non necessariamente facciamo tutta la vaccinazione ai Covid positivi. Noi facciamo il test sierologico a tutti, ed eventualmente interrompiamo la vaccinazione in presenza di titoli anticorpali elevati. Addirittura, se le persone hanno già titoli anticorpali molto alti, l’intervento vaccinale non viene iniziato. Quindi una cautela temporanea sui Covid positivi è ragionevole considerando che non sono quelli a maggior rischio in questo momento.
Una procedura che quindi può essere a maggior ragione valida anche per coloro che si sono ammalati tra la prima e la seconda dose?
Questa è una ulteriore categoria. Quelli che si sono ammalati tra prima e seconda dose hanno avuto perlopiù una malattia molto lieve. Sono indicati pochissimi casi di ospedalizzazione. Però parliamo di poche persone anche se è una categoria che va analizzata con attenzione. Dobbiamo implementare i test sierologici per valutare la copertura anticorpale.
Visto che la campagna vaccinale è lenta, anche a causa della carenza di vaccini, fare il sierologico prima non rischia di rallentare ulteriormente il piano di immunizzazione?
Se noi avessimo 60 milioni di dosi da dare a tutti gli italiani bisognerebbe essere rapidi e basta. Siamo invece in una condizione per cui non abbiamo subito le dosi per tutti: quindi cominciamo a vaccinare, rapidamente, anche territorialmente, tutti i Covid negativi. Cosi non si perde tempo. E poi ragioniamo sui Covid positivi che sono alcuni milioni. Io sono per la vaccinazione di massa rapida ed efficiente di tutti i Covid negativi (che sono la maggioranza), mentre credo che si debbano acquisire più informazioni sui Covid positivi. Fare un sierologico a un Covid positivo direi che è particolarmente utile per capire cosa fare.
Vaccinare un positivo asintomatico può essere rischioso?
Non abbiamo dati, dobbiamo acquisirli, ma vaccinare una persona positiva asintomatica che non ha ancora anticorpi non è utile perché la malattia sta evolvendo. Non gli diamo un vantaggio perché sta sviluppando i suoi anticorpi. Non è che vaccinandola acceleriamo la protezione.
Caso Astrazeneca. L’Ema ha dato l’approvazione senza soglia, poi gli enti regolatori nazionali hanno fissato, in più riprese, la soglia fino a 65 anni. Cosa ne pensa?
Noi abbiamo dati di efficacia fino a 65 anni, ma non abbiamo dati forti oltre questa età. Se non avessimo il vaccino Pfizer sarebbe meglio vaccinare con Astrazeneca. Oltre i 65 anni non sappiamo quale sia la reale efficacia di Astrazeneca, quindi meglio utilizzare quelli a Rna messaggero come Pfizer.
Circola l’ipotesi di procrastinare fino a sei mesi il periodo di tempo tra prima e seconda dose del vaccino inglese. Secondo lei ha senso?
Siamo veramente in una zona di confine e non abbiamo dati significativi. Abbiamo osservato che il posticipare a tre mesi la seconda dose di Astrazeneca addirittura migliora l’efficacia. In questo caso ha molto senso, posticipare fino a sei mesi potrebbe diventare una strategia per garantire la copertura di più popolazione, ma potrebbe anche produrre una selezione di ceppi resistenti al vaccino. Ci si muove in una terra di confine, bisogna farlo con grande cautela. La mia opinione è mantenere i tre mesi e al momento non andare oltre.
Guardando ai contagi e alle varianti possiamo dire di essere nella terza ondata dell’epidemia?
No. Credo che non ci sia ancora una terza ondata. È iniziata a settembre la seconda e non ne siamo mai usciti. Guardo i numeri e i numeri indicano chiaramente che abbiamo avuto un brutto inizio a settembre, un picco a ottobre e novembre dicembre, poi ci siamo stabilizzati con un lento graduale calo. In Italia come in tutto il mondo. Nonostante le varianti non ci sono aumenti.