Le pagine che negli ultimi sei anni hanno scritto, spezzato, il destino di oltre 30 milioni di yemeniti sono tra le più oscure della storia recente. Un costo umano altissimo “misurabile” in un numero imprecisato di vittime e feriti che supera i 250mila, di cui più di 20mila civili, ospedali distrutti, scuole e interi quartieri sventrati dalle bombe piovute dal cielo o dai colpi di mortaio da terra.
A monte, una logica di “profitto guerra” attuata dai grandi esportatori mondiali di armi: Usa, Francia, Gran Bretagna e Italia, che hanno continuato per anni a vendere armamenti alle potenze regionali coinvolte nel conflitto, su tutte Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. Miliardi di introiti realizzati nel quasi totale silenzio dell’opinione pubblica mondiale.
E sebbene lo stop all’export di bombe e missili prodotti in Italia verso sauditi ed Emirati, deciso a gennaio dal Governo Conte, rappresenti un passo di portata storica – dopo anni di pressione delle organizzazioni umanitarie, che come Oxfam sono al lavoro nel Paese – molto resta ancora da fare per arrivare alla pace. In Yemen si continua a combattere e morire non solo per le bombe, ma anche per fame, mancanza di medicine, la diffusione incontrollata del Covid in tutto il paese, la più grave epidemia di colera della storia.
Due famiglie su 5 sono costrette ad indebitarsi per acquistare beni essenziali
“Giorno dopo giorno viviamo in un incubo. Per fortuna, fino ad ora, non abbiamo avuto bisogno di cure mediche, ma se ne avremo bisogno di certo non ce le potremo permettere”, racconta Layla Mansoor, 31 anni, costretta a fuggire con la sua famiglia dai combattimenti ad Hodeidah, tre anni or sono, solo con i vestiti che aveva addosso. La sua è una delle tante tragiche storie, simili tra loro.
In questo momento in Yemen – come denunciato da una recente ricerca di Oxfam – oltre 2 famiglie su 5, mese dopo mese, sono intrappolate in una spirale di debiti, costrette a comprare cibo e medicine a credito dai pochi negozianti ancora aperti, che possono permettersi di concederlo solo a chi ha ancora un lavoro o riceve aiuti dalle organizzazioni umanitarie. Buona parte della popolazione, dunque, si indebita per comprare pane, farina, zucchero, riso, legumi e olio, o medicine per il diabete e l’ipertensione, febbre e diarrea. Ma nella maggior parte dei casi si deve scegliere se sfamare i propri figli o curarli.
Dall’inizio della guerra nel 2015, il numero di famiglie costrette a indebitarsi per comprare beni essenziali è aumentato del 62%. Beni carissimi a causa dell’inflazione innescata dalla pandemia e del tutto insufficienti, per via dei blocchi imposti negli ultimi anni dalla Coalizione di Paesi a guida saudita in conflitto con gli Houthi. Una tempesta perfetta che coinvolge 20.7 milioni di yemeniti, il 66% della popolazione, che dipende totalmente dagli aiuti umanitari per poter sopravvivere. Altrettanti non hanno accesso a cure di base, in un paese in cui la metà delle strutture sanitarie sono state distrutte, mentre oltre 16 milioni stanno restando senza cibo.
Secondo le stime, metà delle persone che sopravvivono solo grazie all’aiuto internazionale sono bambini e, in alcune zone delle Yemen, 1 su 5 è gravemente malnutrito e senza aiuto condannato a portare i segni di privazioni tanto gravi per il resto della vita.
Nel frattempo il Covid ha già raggiunto già 10 governatorati su 23, e i pochi ospedali in funzione sono presi d’assalto, incapaci di rispondere ai bisogni che crescono giorno dopo giorno. Qui non ci sono test diagnostici, strumenti di protezione, né tantomeno vaccini e le poche migliaia di casi registrati rappresentano solo parzialmente la reale estensione del contagio.
Nell’area densamente popolata di Aden, negli ultimi mesi del 2020, si è registrato un aumento esponenziale dei tassi di mortalità, con ogni probabilità dovuto proprio al coronavirus.
Cosa stanno facendo la comunità internazionale e l’Italia?
Nel 2020 l’appello delle Nazioni Unite, per far fronte a quella che è stata definita la più grave emergenza umanitaria al mondo, è stato finanziato per appena la metà di quanto necessario dai grandi donatori internazionali e sono mancati all’appello 1.5 miliardi di dollari.
Il primo marzo ricorre l’annuale conferenza internazionale dei paesi donatori per finanziare la risposta umanitaria. L’anno scorso l’Italia ha stanziato appena 5,1 milioni di euro. Una cifra sufficiente a consentire 2 mesi di lavoro nel Paese di un’organizzazione umanitaria come Oxfam. Da qui l’appello che rilanciamo con forza al nuovo Governo Draghi per un deciso aumento degli aiuti, a partire proprio dal summit di lunedì prossimo.
Governo che ci auguriamo si batta finalmente in sede internazionale perché si arrivi ad uno stop definitivo al conflitto, e sin da subito ad un cessate il fuoco nelle zone dove si ancora combatte, in particolar modo a Marib. Qui l’escalation del conflitto è estremamente preoccupante e si rischia la catastrofe umanitaria, con almeno 850.000 sfollati che vivono nella città e nelle aree circostanti in condizioni disperate.
I campi in cui stanno riparando sono vicini alla linea del fronte e i civili sono stati coinvolti nell’offensiva. Infine, è altrettanto importante che l’Italia revochi l’export di armamenti italiani verso tutti gli Paesi che compongono la coalizione saudita (sono sei oltre Arabia Saudita ed Emirati Arabi), allargando il divieto a tutte le tipologie di armamenti.
Il prossimo 26 marzo ricorrerà il sesto anniversario dallo scoppio del conflitto, e il popolo dello Yemen non può più aspettare. Senza pace, 30 milioni di persone rischiano di non avere più un futuro.