di Lorenzo Giannotti
Abbandoni, scissioni, espulsioni e molti malumori. Dopo la crisi del Conte II e la conseguente nascita del Governo Draghi, il Movimento 5 Stelle appare la forza politica più scossa e disorientata del panorama politico. Cacciati coloro i quali non volevano governare insieme a Matteo Salvini, Matteo Renzi e Silvio Berlusconi in un sol colpo, si va delineando il nuovo organigramma dei vertici dirigenziali. Dopo il voto su Rousseau in favore della leadership condivisa, viene congelato tutto e resta in capo il sempiterno reggente Vito Crimi, con la rivoltella in mano ancora fumante per le recenti estromissioni multiple perpetrate con la naturalezza del boia.
Cioè: quando c’è da graziare Salvini dai processi si fanno mille distinguo, ma quando bisogna giustiziare parlamentari con una stilla di senso del pudore ancora in corpo si seguono zelantemente tutti i regolamenti interni. Per farla breve: l’unica possibilità di sopravvivenza per i grillini è affidare la guida a Giuseppe Conte, che gli restituirebbe un alone di credibilità e farebbe dimenticare a tanti elettori le ultime clamorose giravolte.
Per chi scrive, però, l’ex Presidente del Consiglio dovrebbe gentilmente declinare l’offerta e andare avanti per la propria strada. Ricordandosi di quando il Movimento era “o Conte o morte”, salvo poi scoprire che Mario Draghi è meglio della pace eterna. In più, prendere le redini di un partito al collasso, in caduta libera da tempo, e condividere l’indirizzo politico con un garante (alla fine, quando c’è da decidere è Beppe Grillo che fa la voce grossa) le cui ultime scelte paiono prive di lucidità – pur di stare al governo, si inventa Draghi grillino e tira fuori dal cilindro fantomatici ministeri – mi pare una mossa azzardata per un personaggio politico che conserva per ora ancora un’alta popolarità, ma che è trasversale e non unicamente pentastellato.
Non so quali siano le reali prospettive di un partito di Conte: di sicuro non lo vorrebbero né il Pd né i 5Stelle, dal cui bacino elettorale l’ex premier “ruberebbe” sicuramente in maniera cospicua, così come da quello degli astensionisti. L’unico a non rischiare nulla sarebbe Matteo Renzi: in quanto, secondo un’elementare logica, per rubare qualcosa a qualcuno bisogna necessariamente che la vittima del ladrocinio possieda l’oggetto del desiderio del rapinatore.