Dopo la scoperta che ampie parti del discorso di Mario Draghi in Parlamento erano un "copia e incolla" di un suo articolo, per l'economista dell'università Bocconi si prospetta un incarico a palazzo Chigi. Nel 2012 lavorò al progetto di spending review con Mario Monti. Lo scorso settembre la svolta: "Ora serve spesa pubblica keyesiana"
Nel libro del 2006 “The future of Europe”, scritto insieme ad Alberto Alesina, Francesco Giavazzi definisce il sistema europeo di welfare “una rana immersa in un’acqua che si sta lentamente riscaldando ed è destinata a morire bollita“. Nel 2012 Mario Draghi si era spinto ancora un po’ più in là nel 2012 quando, in un’intervista al Wall Street Journal, aveva affermato “il modello sociale europeo è già morto”. Insomma, tra i due c’è una sintonia di lunga data e questo spiega la scelta del presidente del Consiglio avere al suo fianco il bocconiano. E spiega forse anche perché, come raccontato domenica scorsa da Il Fatto Quotidiano, ampi stralci del discorso di Draghi per la fiducia in parlamento sono un copia-incolla di precedente un articolo di Giavazzi. Del resto l’articolo di Giavazzi apparso sul Corriere della Sera lo scorso 12 settembre sembra ispirato all’intervento sul Financial Times del marzo 2020 in cui Draghi distingue il debito e la spesa pubblica tra buono e cattivo. L’affinità intellettuale tra i due è insomma appurata, a quanto pare lo sono anche i cambi di rotta.
Specializzato, come Draghi, al Mit di Boston, Giavazzi è sempre stato uno strenuo sostenitore della prevalenza del mercato sulla politica. Non a caso è figura di primo piano dell’università Bocconi, tempo italiano dell’economia neo-classico di stampo iperliberista. Ha contribuito, in modo significativo, allo sviluppo della teoria dell’ “austerità espansiva“, messa a punto soprattutto dai colleghi di ateneo Alberto Alesina, Roberto Perotti e Silvia Ardagna. L’idea è che i fondi per lo stato sociale finiscono per zavorrare la crescita economica e richiedono un’elevata tassazione. Quindi il modo giusto per rilanciare l’economia è quello di tagliare la spesa pubblica. Keynes alla rovescia insomma. La teoria è il “regalo” consegnato dall’Italia all’Europa. Raro caso di una scuola di pensiero che nasce “in periferia”, viene adottata e ritorna come un boomerang verso il paese dove è stata elaborata. Un percorso che viene ricostruito nello studio “The Bocconi boys go to Brussels: Italian economic ideas, porfessional networks and European austerity”. Sta di fatto che, ispirandosi a questa idea l’Unione europea ha plasmato la sua fallimentare risposta alla crisi economica innescata dal collasso finanziario del 2007/2008 e, soprattutto, il disastroso intervento in Grecia. Alla fine, nel 2014, sarà il capo economista del Fondo monetario internazionale Olivier Blanchard (ex compagno di corso di Draghi al Mit di Boston), a confessare che l’austerità espansiva è, fondamentalmente, una baggianata, per di più basata su numeri sbagliati.
Autore di innumerevoli editoriale sul Corriere della Sera, la risposta di Giavazzi a qualsiasi problema è stata per anni sempre la stessa: privatizzare, liberalizzare. “Il Liberismo è di sinistra” è un altro libro scritto da Giavazzi con Alesina. Nel 2012 i due professori definiscono “insostenibile” il sistema sanitario pubblico e fanno una proposta furba: i ricchi si paghino da soli tutta la sanità e in cambio riduciamoli aliquote che pagano. In sostanza un modo per aprire un’autostrada ad una sanità di serie A per i benestanti e una di serie B per tutti gli altri. Più o meno contemporaneamente Mario Monti, ex rettore della Bocconi e in quel momento presidente del Consiglio, lascia intendere che è giunto il momento di pensare ad un sistema sanitario “all’americana”. Con la pandemia però arriva la clamorosa svolta. L’editoriale del 12 settembre 2020 si apre così: “In un momento in cui l’economia fatica a riprendersi, ricorrere alla spesa pubblica per sostenere consumi e investimenti è la cosa giusta da fare. Lo abbiamo imparato da John Maynard Keynes nel secolo scorso”. Tanti saluti all’austerità espansiva. In realtà il cambio di rotta maturava da qualche tempo come per gran parte degli economisti che, dopo i clamorosi fallimenti di mercato del 2008 sono andati, quatti quatti, a ricollocarsi su posizioni più sfumate. La pandemia ha fatto il resto e fornito a molti l’occasione rinascere sotto nuova veste. Pochi giorni fa Dani Rodrik, economista fino a ieri “eretico” e da sempre scettico sulle logiche liberiste alla base della globalizzazione, ha affermato in un’ intervista al Financial Times di trovarsi quasi in imbarazzo nel constatare che all’improvviso stanno tutti dalla sua parte. Giavazzi il keynesiano è ora pronto per palazzo Chigi.