Ministero del Lavoro, Istat, Inps, Inail e Anpal fanno il punto sulle conseguenze della pandemia, che è stato uno "choc improvviso e senza precedenti". Il rimbalzo nel terzo trimestre (+21%) non è stato sufficiente a colmare il divario rispetto allo stesso periodo dell’anno prima. Le misure messe in campo, a partire dalla Cig, "hanno mitigato l’impatto negativo sull'occupazione"
“L’emergenza sanitaria e la conseguente sospensione delle attività di interi settori produttivi hanno rappresentato anche nel nostro Paese uno shock improvviso e senza precedenti sulla produzione di beni e servizi e, di conseguenza, sul mercato del lavoro“. E’ quanto rileva il rapporto annuale sul mercato del lavoro 2020, frutto della collaborazione tra ministero del Lavoro, Istat, Inps, Inail e Anpal. In totale, nei soli primi tre trimestri del 2020 rispetto all’analogo periodo del 2019 sono andate perdute 3,9 miliardi di ore lavorate. Una riduzione pari a 2,5 volte quella quella registrata in tutto il 2009, primo anno della “grande recessione“, rispetto al 2008. In termini di Unità di lavoro a tempo pieno e di posizioni lavorative, nella media dei primi tre trimestri del 2020 la riduzione è stata di 2,4 milioni e 623mila rispettivamente. In oltre nove casi su dieci il calo riguarda il settore dei servizi. Le ripercussioni dell’emergenza, secondo il rapporto, “saranno di lungo periodo e potrebbero comportare anche cambiamenti strutturali e permanenti del sistema economico”.
Nel nostro Paese, che alla fine del 2019 “manifestava già una dinamica occupazionale di breve periodo modesta rispetto alla media della zona euro, l’impatto congiunturale determinato dalla crisi pandemica è stato sostanzialmente in linea con quello degli altri partner europei: l’occupazione interna è diminuita del 2,4% nel secondo trimestre 2020 rispetto al precedente per poi risalire dello 0,9% nel trimestre successivo; rispetto agli analoghi trimestri del 2019 le variazioni tendenziali sono state -3,7% e -2,4% rispettivamente per il secondo e il terzo trimestre”. Ciò che distingue il caso italiano “è senz’altro l’avvio precoce già dal primo trimestre della caduta congiunturale delle ore lavorate, accompagnata dalla successiva più drastica riduzione determinatasi nel secondo trimestre (-15,1%), piuttosto in linea con quella degli altri paesi. Il successivo rimbalzo nel terzo trimestre (+21%) non è stato tuttavia sufficiente a colmare il divario rispetto al corrispondente periodo dell’anno precedente (-5,2%)”.
Nel complesso, comunque, si legge ancora nel Rapporto, “le misure di policy messe in campo per fronteggiare gli effetti della pandemia (in primo luogo la Cig) hanno mitigato l’impatto negativo sull’occupazione, scaricandone gli effetti sulle ore lavorate, la cui riduzione, molto più pronunciata, è dovuta principalmente alla diminuzione delle ore pro capite lavorate”. Tra marzo e settembre sono stati più di 6 milioni i lavoratori che hanno avuto almeno un trattamento di Cassa integrazione, con un numero medio di ore integrate pari a 263. Il picco di lavoratori sospesi è stato registrato nel mese di aprile: 5,3 milioni con una media pro capite di 108 ore integrate. Un trend che a settembre ha registrato un rallentamento (i cassintegrati sono risultati poco meno di un milione). Ad aprile il 45% dei lavoratori in Cig risultava “a zero ore”, mentre a partire da giugno tale quota si è ridotta scendendo sotto il 20%. Circa la metà dei cassintegrati non è più stato sospeso dopo maggio. “Gli interventi adottati in materia di lavoro e reddito per fronteggiare l’emergenza Covid-19, gestiti da Inps, hanno comportato una spesa di oltre 27 miliardi fino a novembre 2020, per più di due terzi destinata alla Cassa integrazione”, rileva il rapporto. “Alla stessa data, oltre 10 milioni risultano i beneficiari effettivi“.
Nella zona euro come in Italia gli effetti negativi sulle ore lavorate indotti dalla crisi pandemica sono “senza precedenti: nei primi tre trimestri del 2020 nella zona euro la riduzione complessiva delle ore lavorate rispetto ai primi nove mesi del 2019 è stata pari in termini assoluti quasi al doppio di quella registrata in tutto il 2009 rispetto al 2008 (nel primo anno dunque della “grande recessione” del nuovo secolo), e in Italia circa 2,5 volte più ampia”.