Il 23 febbraio, Giorno del difensore della Patria, festività che celebra l’esercito russo, il Cremlino ha avuto un motivo in più per festeggiare. La direttrice della rete filogovernativa RT Margarita Simonyan si è congratulata su Twitter con i “connazionali” per la decisione di Amnesty International di revocare all’oppositore Alexej Navalny lo status di “prigioniero di coscienza”. L’organizzazione aveva definito il politico “prigioniero di coscienza” dopo il suo ritorno in Russia e il successivo arresto il 17 gennaio, dichiarando che il principale rivale del presidente russo Vladimir Putin “è stato privato della libertà per il suo attivismo politico pacifico e per aver esercitato il diritto alla libertà di parola”. Ma ha dovuto fare marcia indietro sotto la pressione di quello che la stessa Amnesty ha definito una campagna contro l’immagine di Navalny in Occidente con lo scopo di screditarlo, bollandolo come nazionalista.
La decisione di revocare lo status non è stata comunicata attraverso una dichiarazione ufficiale di Amnesty, ma è trapelata dalla corrispondenza interna. In seguito l’informazione è stata confermata dal media manager di Amnesty per l’Europa dell’Est e l’Asia Centrale, Alexandr Artemjev, che ne ha spiegato le motivazioni: il dipartimento giuridico e politico dell’organizzazione ha studiato alcune frasi di Navalny della metà degli anni 2000 ed è giunto alla conclusione che sono equiparabili a ‘hate speech’. Ciò non è compatibile con le norme interne che regolano la definizione di “prigioniero di coscienza”, ma tuttavia l’organizzazione ha ribadito che continuerà la sua campagna a favore del politico e che considera la sua persecuzione “politicamente motivata”.
Come hanno spiegato i rappresentanti di Amnesty in Russia, le richieste di indagare sul profilo del politico sono state presentate in massa dagli attivisti di base nei vari Paesi occidentali, tanto da far pensare, che “hanno fatto parte di una campagna coordinata per screditarlo all’estero”. Come ha detto al Fatto.it Anton Shekhovtsov, direttore del Centre for Democratic Integrity, gli attivisti di base sono diventati inconsciamente parte di “un’altra operazione di influenza del Cremlino, ossia quella di utilizzare i radicali di sinistra per promuovere in Occidente l’idea che Alexej Navalny sia un cattivo nazionalista”. Più duro è stato l’ex campione di scacchi e oppositore russo espatriato, Garry Kasparov, che ha criticato Amnesty su Twitter per essersi resa “uno strumento della guerra di Putin contro i diritti umani e lo Stato di diritto”.
Lo stesso Kasparov formò nel 2006 una coalizione con i nazional bolscevichi di Eduard Limonov per creare un fronte comune contro Putin. L’idea che animava invece Navalny, quando partecipò ai raduni nazionalisti, la Marcia russa, dalla metà degli anni 2000 fino al 2011, era quella di strappare queste forze politiche al “nazionalismo imperialista” del Cremlino e convogliarle verso quello che l’oppositore ha definito in un’intervista del 2015 “nazionalismo civico”.
Le metafore xenofobe che il politico ha utilizzato nei video che registrò nel 2007 per lanciare il movimento nazional democratico “Narod” (il popolo) gli sono costati le critiche di tanti nell’opposizione liberale russa. E il tema dei visti con i Paesi dell’Asia Centrale, sull’introduzione dei quali Navalnyj insiste spiegandola coi motivi di contrasto allo sfruttamento criminale dell’immigrazione, rimane per tanti liberali un tabù. Tuttavia negli anni il suo linguaggio e le sue idee politiche si sono affinate sotto l’influenza del suo entourage, in particolare, dell’economista russo espatriato Sergei Guriev, professore presso Sciences Po di Parigi.
Mentre il nazionalismo di Navalny resta un punto di domanda per l’opposizione russa, tanti concordano su quanto detto sull’oppositore dalla dissidente sovietica scomparsa Valeria Novodvorskaja: “Finché rimane la vittima del regime, finché viene processato, che non si alzi contro di lui nessuna mano democratica e che non lo colpisca nessuna pietra democratica”.