Per Pompei si sta combattendo una battaglia durissima e senza esclusione di colpi. La nomina di Gabriel Zuchtriegel a Direttore del Parco archeologico ha (ri-)innescato le ostilità. Occhi puntati sulla città antica che con il ministro Dario Franceschini ha scalato la vetta dei luoghi della cultura italiani più visitati, con un incremento continuo e corposo, passando dai 2.934.010 ingressi del 2015 ai 3.937.468 del 2019, ultimo anno di riferimento prima della pandemia e della lunga chiusura.
Sull’ex Direttore del parco archeologico di Paestum e Velia hanno scagliato i loro dardi in tanti e tutti professionisti del settore: ex Soprintendenti di lungo corso proprio a Pompei, ex alti Dirigenti del Mibac(t), una lunga schiera di professori universitari. Ci sono state dimissioni, petizioni e si stanno moltiplicando le interviste a quotidiani, non solo di settore. Sono piovuti su Zuchtriegel giudizi, anche taglienti, che hanno investito la sua esperienza e le sue capacità, i suoi saperi e le sue politiche di tutela e di valorizzazione.
Sono state fatte anche riflessioni sul Parco, che ritengo più costruttive e più utili per “il bene” di Pompei. Già, perché il problema potrebbe non essere il nuovo Direttore e le scelte che vorrà fare, pur non volendo ritenere quest’ultimo aspetto irrilevante, evidentemente.
Perché al momento in cui viene scelta per guidare il Grande Parco Archeologico una figura che si è distinta altrove, mostrandosi favorevole a determinate politiche, non ci si potrà stupire che voglia riproporle. Certo, anche a Pompei. Insomma è più che probabile che la scelta sia avvenuta anche per questo, ad esempio per continuare le indagini di scavo avviate con il predecessore, portando alla luce nuove strutture senza dubbio di grandissima rilevanza – come hanno dimostrato le scoperte “sensazionali” degli ultimi anni – e facendo di Pompei una vetrina, anche internazionale, di rinvenimenti “stratosferici”.
Scoperte e rinvenimenti che accrescono ancora l’appeal de ”la città delle meraviglie”, ma forse distolgono l’attenzione da una imprescindibile necessità: conservare, tutelare quel che già è in vista con azioni di manutenzione ordinaria e straordinaria, procedendo a quel grande intervento di messa in sicurezza che il Grande Progetto Pompei aveva previsto all’inizio; procedendo per step determinati dalla gravità delle condizioni rilevate, nella serie di criticità che sarebbero dovute essere individuate nell’ambito del Grande Progetto Pompei.
Perché, come insegnavano alcuni professori agli studenti del primo anno di qualunque corso archeologico di tante Facoltà italiane, è necessario preoccuparsi preliminarmente della conservazione prima di scavare. È una sorta di dogma indiscutibile, come dimostrano tanti casi “disgraziati”. Quindi non può non esserci questa preoccupazione per Pompei, che il desiderio di indagare ancora nel terreno alla ricerca di nuove scoperte pregiudichi la permanenza di quel che già è in elevato. Circostanza che suggerisce una riflessione: stupisce un po’ che questa corsa alla scoperta – che è generalmente propria degli archeologi della domenica, insomma non degli addetti ai lavori – abbia trascinato anche i professionisti del settore come archeologi, storici dell’arte e architetti. Quanto questa trasformazione sia felice per il nostro patrimonio lo diranno i prossimi anni, intanto però credo sia più che legittimo mostrare un certo allarmismo.
Il problema più grande potrebbe non essere la scelta del nuovo Direttore, ho scritto. Già, perché Zuchtriegel ha vinto una selezione, insomma ha superato gli altri candidati (concorrenti?). Tuttavia l’autentica criticità sta nelle modalità con le quali si è proceduto nella scelta: una selezione, appunto, sulla base del curriculum e di un colloquio, ma non attraverso un esame, come accade quando si concorre per un qualsiasi posto, sempre. Il problema sta nel metodo, dunque. Perché così si sono selezionati i Direttori dei più rilevanti parchi archeologici italiani dal 2015.
“Il concorso presuppone una commissione di esperti, alcune prove scritte che una volta superate fanno accedere a quella orale. E la commissione si prende la responsabilità di nominare uno o più vincitori. Il meccanismo che ha messo in piedi il ministro Franceschini è diverso: c’è una commissione internazionale, e nei primi bandi era addirittura unica per tanti posti diversi, per cui doveva decidere, che so, per la Galleria degli Uffizi di Firenze ma anche per il Castello di Miramare di Trieste. Questa commissione esamina i titoli dei candidati e su questa base sceglie una decina di persone che vengono chiamate a fare un colloquio, che dura anche abbastanza poco. Sulla base di questi colloqui la commissione forma una terna di nomi che viene proposta al ministro, se si tratta della direzione di un museo di prima fascia, al direttore generale dei musei se si tratta di seconda fascia. Scelgono così a loro piacimento, a insindacabile giudizio”.
Luigi Malnati, ex Direttore generale per le Antichità del Ministero dei Beni e delle Attività culturali, in un’intervista al Corriere del mezzogiorno spiega dov’è la criticità, aggiungendo che “le nomine diventano così scelte fiduciarie del ministro e quindi di fatto scelte politiche”. Per questo motivo bisognerebbe intervenire sulle modalità di selezione, come sostiene anche la senatrice Margherita Corrado, archeologa calabrese protagonista di diversi scontri con il ministro Franceschini.
Sperare che la politica si interessi realmente di questa difformità sembra inutile. Riporre qualche speranza in qualche forza politica che possa decidere di contrastare efficacemente modalità di selezione che appaiono quanto meno inadeguate sarebbe sbagliato, come suggerisce la storia recente. Piuttosto a muoversi in massa dovrebbe essere l’Archeologia tutta: professori universitari e studenti iscritti al primo anno, soprintendenti e funzionari, direttori di siti archeologici e musei che attraggono pochi turisti, associazioni di professionisti e semplici volontari. Tutti insieme “per il bene di Pompei” certo. Ma soprattutto per rendere scelte così importanti – come quelle della scelta dei Direttori dei grandi parchi archeologici e dei Musei – meno discusse.
Ma non accadrà, non ci sarà alcuna mobilitazione di massa. Il motivo? Perché il mondo dell’archeologia continua ad essere diviso da rivalità e giochi di potere che lo parcellizzano in una moltitudine di atolli. Puntini quasi insignificanti nel (mappa)mondo italiano.