Diritti

Storia di Frida, una madre stritolata in un processo kafkiano

“Per me una donna che dovesse andare avanti con la gravidanza anche se il maschio non vuole è una violenta perché penso che l’aborto sia una conquista per tutti non solo per le donne”. “Quindi la mia scelta è tra rovinarmi la vita con una cosa che non voglio o perdere te”, “ho solo lacrime, disperazione, morte, ora adesso io ti imploro come un condannato a morte implora il boia, ti supplico di non lasciare cadere questa scure sulla mia vita, ti imploro di non destabilizzarla in maniera così violenta e irreparabile. Ti supplico di non condannarmi all’infelicità“. “Ti chiedo un gesto di carità cristiana di non ergerti a Dio, perché se questo bambino dovesse nascesse contro la mia volontà, tu ti staresti ergendo a Dio”; “l’Angelo che porti in grembo volerebbe tra le braccia di Dio, se è vera la tua fede; la vostra anima sarebbe salva. Ti prego Frida, salvaci tutti”; “mi stai minacciando di mettere al mondo un figlio mio anche se non lo volessi ma mi vuoi far suicidare questa notte seduta stante?”, “non trafiggermi, non affondare la tua lama nel mio corpo ne morirei in un modo o nell’altra”, “sei una lurida sgualdrina”, “spero che tu muoia”.

Questi sono alcuni dei messaggi inviati alla compagna incinta da un uomo che rifiutava la paternità. Così, sei anni fa, cominciava la gravidanza di una donna veneziana, Frida, che dopo due anni sarebbe stata stritolata in un processo kafkiano. Prima ha resistito a pressioni e ricatti morali perché abortisse la figlia, poi ha affrontato la gravidanza e il parto senza nessun supporto materiale e morale da parte del padre della bambina, infine è stata giudicata madre inadeguata e alienante dal Tribunale di Venezia. Il caso è stato presentato durante la Conferenza Stampa organizzata alla Camera dei Deputati dall’onorevole Veronica Giannone, alla presenza dell’avvocato Girolamo Andrea Coffari.

Quando la bambina aveva 18 mesi il padre biologico, che aveva minacciato di suicidarsi perché viveva la notizia della nascita come la propria morte, ha chiesto il riconoscimento della paternità. Una richiesta che era stata respinta dalla madre della bambina per comprensibile sfiducia e dubbi sulla capacità genitoriale di un uomo che aveva reagito con angoscia alla notizia della propria paternità.

Frida è stata sottoposta a due Ctu che hanno rilevato, quando la bambina aveva 18 mesi, un “conflitto di lealtà” nei confronti di un padre che non era mai stato presente. “I giudici hanno stabilito in un primo momento le visite vigilate tra padre e figlia e poi visite libere, senza prendere in considerazione il disagio manifestato dalla bambina” – dice Frida. Le stesse maestre hanno raccontato dell’angoscia della bambina quando il padre andava a prenderla all’uscita da scuola perché per lei era un perfetto sconosciuto.

Frida ha perso la responsabilità genitoriale della bambina che è stata affidata al servizio sociale, ma non solo: è stata anche multata dal Tribunale di Venezia con un importo davvero inusuale, 47mila euro (il suo stipendio di maestra precaria è stato già pignorato) per lite temeraria e per violazione della bigenitorialità. Una bigenitorialità che non si era mai concretizzata perché il padre non era mai stato presente, avendo rifiutato la paternità. Una vicenda che suscita perplessità. Il tribunale di Venezia ha tenuto conto adeguatamente dell’equilibrio del nucleo familiare costituito da Frida con la figlia? O per i giudici in assenza di un padre non esiste un nucleo familiare?

Secondo l’avvocato Girolamo Andrea Coffari, ci sarebbe la necessità di modificare l’articolo 250 del Codice civile che contiene due commi, il 3 e il 4, in contraddizione tra loro. Il terzo comma stabilisce che non può avvenire riconoscimento senza il consenso del genitore che abbia già riconosciuto il figlio, il quarto che il consenso al riconoscimento non può essere rifiutato se risponde all’interesse del figlio.

Veronica Giannone, che su questo caso ha fatto una interpellanza parlamentare, si è rammaricata che non si impedisca a chi è già stato violento o inadeguato di non fare più male. “Chi ama e si rende conto di aver commesso un errore – ha detto – dovrebbe conquistare la fiducia ed entrare nella vita di quel bambino con delicatezza. Non ha bisogno di chiedere ad un giudice di imporre la sua presenza. Ma nelle tante sentenze che ho letto, non ho mai colto attenzione di interesse verso il minore, leggo sempre e solo dell’interesse di adulti”.

L’interesse del bambino, citato al quarto comma dell’articolo 250 e in altri articoli di legge, pare essere stato svuotato di senso ed è diventato la soddisfazione di un narcisistico bisogno di adulti irresponsabili che rivendicano il figlio come una proprietà, senza aver costruito nessuna relazione affettiva o aver trovato equilibrio in se stessi. L’avvocato Coffari ha sollevato eccezione di incostituzionalità contro il provvedimento del tribunale di Venezia e la Corte d’Appello deciderà il 24 marzo.

A Frida resta la speranza che “ci sia un giudice a Berlino“. O da qualunque altra parte.

@nadiesdaa