“Questo mondo non è ancora pronto per tutto quello che farai. Verrà il tuo tempo Diana. E vedrai che tutto sarà diverso”. No, non è una chat di partito trafugata nel momento delle nomine. Non è la segreteria Zingaretti-Orlando che avvisa le gentili deputate: a causa del cattivo tempo, il Woman new deal è stato rinviato a data da destinarsi. Sono le parole di Antiope, interpretata da una statuaria Robin Wright, che mette in guardia l’eroina bambina nel lungo preambolo mitologico di Wonder Woman 1984. Integrità, dirittura, onore sono le virtù che servono a vincere, dice, ma noi tiriamo in mezzo anche la pazienza prima di girare il pacchetto completo alle donne del Pd NetWork.
Oggi ci vorrebbe, sì, una “Pietra dei Sogni”. Uno di quei magici monili esaudisci desideri che risolva un po’ di guai italiani. Nel film di Patty Jenkins ce n’è uno uguale, ma le cose non finiscono troppo bene, anzi. Il mistico oggetto creato dal Dio dell’inganno finisce in mani sbagliate e manda presto in frantumi i colorati e fragili anni Ottanta rievocati dalla regista.
Fortuna che c’è Gal Gadot. L’attrice in tenuta da guerriera è ormai alla quarta apparizione sugli schermi, e con l’ultima avventura al secondo stand alone. La sua immortale Diana Prince non avrà un posto a tavola nel nuovo governo, ma almeno ha due film tutti suoi. Il merito va alla Warner Bros. che con la saga supereroistica targata DC Comics ogni tanto punta anche sul cavallo giusto. La Jenkins, purtroppo o per fortuna, è la donna dei record: fu la prima alla regia di un cinecomic, pioniera che nel 2017 conquistò l’incasso più alto nella storia del cinema al femminile.
Per WW84 ha studiato un villain molto trumpy, lo ha ammesso lei stessa. Il suo Maxwell Lord, uomo d’affari e delle televendite, ci riporta proprio alla golden age dello yuppismo. Nei mitici Eighties, mentre l’ex presidente Usa erige il suo castello sulla Fifth Avenue, l’imbellettato alter ego di fantasia è in tv con tanto di chioma ossigenata. Da un lato vende il sogno del petrolio, dall’altro conduce affari disastrosi. Rimasto al verde (guarda caso), l’exit strategy per l’impasse finanziario non è la Casa Bianca – e arriverà anche quella – ma il fatato manufatto.
Dopo quattro anni di passione dovrebbe esser chiaro che con i megalomani non si scherza, ma a chi ha bisogno della controprova si consiglia di osservare la parabola di questo fictional Trump. L’invasato assume su di sé le miracolose proprietà della pietra e, per completare il quadro, entra in possesso di una sorta di ‘bestia’ mediatica. Una stramba tecnologia militare che tra fasci di luce blu e tanti bip ne moltiplica immagine e verbo su tutti i tubi catodici del globo: “Sono qui per cambiarvi la vita, non dovete far altro che volerlo”.
Almeno nell’universo dei fumetti, nell’epilogo The Donald farà uno scatto evolutivo. Messe da parte le ambizioni, si concede al rimorso facendo addirittura autocritica. Chissà se un giorno..
Intanto la nuovissima storia in tinte pop con il sequel già in calendario strizza l’occhio alle eroine di tutti i giorni e ci lascia con qualche suggestione di spessore. Se le Amazzoni dei Dem, che non hanno l’armatura né tantomeno il dono dell’immortalità, con Draghi scompaiono perché l’acqua è poca e la papera non galleggia, l’antieroina Barbara Minerva proprio non ci sta. È lei l’altro cattivo del film dopo il fake Trump. L’imbranata archeologa interpretata da Kristen Wiig ne ha fin sopra i capelli di essere ‘una qualsiasi’ e si reinventa arcinemica. Con l’aiuto della pietra fatata diventa ‘un superpredatore’ e si prende il ruolo che le spetta.
D’altra parte si sa, in questo mondo nessuno ti regala niente. Che anche le onorevoli prima o poi tirino fuori gli artigli?