"Oggi ho sei chiodi di titanio nel collo e cinque tra il ginocchio e il piede. Per un millimetro non è uscito il midollo, altrimenti adesso sarei paraplegico, oppure morto": il drammatico racconto
Lo hanno ritrovato “accartocciato sulla transenna a fondo pista, sanguinante, con una frattura esposta alla gamba sinistra, il casco divelto, le prime tre vertebre del collo rotte”. Erano le 10.46 del 9 gennaio 2020: ora, un anno dopo, lo chef Giancarlo Morelli, una stella Michelin, racconta in un’intervista al Corriere della Sera come abbia rischiato la morte mentre stiva sciando sulla pista Boè, a Corvara, in Alto Adige. Di quei momenti non ricorda nulla, se non quello che gli è stato riferito: “Mi manca un pezzettino di me stesso: non ricordo la caduta né la discesa precedente. So solo che quello, per me, è un falsopiano facile, perché è dove mio padre mi portava a sciare da bambino”.
“Ho sempre agito d’istinto e cercato esperienze al limite, dai viaggi alle auto. Ho vissuto ogni singolo minuto – racconta Morelli -. Il giorno prima dell’incidente ero arrivato in Val Badia alle 23 dopo una trasferta all’isola di Canouan, nel Mar dei Caraibi. Avevo appuntamento alle 8 con il maestro Claudio Tiezza, uno dei più bravi istruttori d’Italia. Abbiamo fatto un paio d’ore di discese: io sono un esperto, avrei voluto fare lo sciatore. A un certo punto gli ho chiesto di deviare verso la Boè per l’affetto che nutro verso quella pista. Devo essere svenuto prima di cadere perché ho sbattuto a peso morto. Ricordo solo il vociare dei soccorritori: uno, della Val Camonica, mi parlava di polenta per tenermi sveglio. Poi l’elicottero, il dolore nonostante la morfina“.
Trasportato d’urgenza all’ospedale di Bolzano, è stato sottoposto ad un intervento durato 9 ore: “Oggi ho sei chiodi di titanio nel collo e cinque tra il ginocchio e il piede. Per un millimetro non è uscito il midollo, altrimenti adesso sarei paraplegico, oppure morto. Il dottor Broger e il suo team hanno protetto la mia vita come se fosse la cosa più importante che avevano da fare. Anche alla clinica Bonvicini, dove ho trascorso i quattro mesi di riabilitazione, sono stato trattato come se fuori il Covid non esistesse. L’isolamento totale è stato una prova di forza, soprattutto in quelle condizioni. Non camminavo, non parlavo, per sei settimane ho visto doppio: il cervello doveva rimettersi in asse. Ora sto meglio, però continuo la psicoterapia: la cosa più dura è allontanare dalla testa l’odore della fine della vita. Un misto tra un pezzo di carne tolto dal sottovuoto e il mercurio cromo. Gli sci? Per rispetto di chi mi ha salvato non li ho ancora rimessi. Ma forse, un giorno…”, ha concluso lo chef.