“Un’interrogazione? Non ricordo, la devo recuperare poi la richiamo”, risponde Raffaella Paita che non chiamerà più, come Ivan Scalfarotto, oggi sottosegretario agli Interni ma fino al 13 gennaio agli Esteri. E Roberto Giachetti: “Con voi non parlo”. Cosa hanno i tre in comune? Sono tutti ex deputati del Pd e oggi di Italia Viva, va bene. Ma sono soprattutto co-firmatari di una vibrante quanto emblematica interrogazione al governo (scarica) – di cui non facevano parte – sul caso dell’omicidio del giornalista saudita Jamal Khashoggi, nella quale chiedevano “quali iniziative, per quanto di competenza, intenda adottare qualora fosse appurato che la scomparsa del giornalista del Washington Post sia riconducibile alle responsabilità della famiglia reale saudita”. Terzo elemento comune: allora ci misero la firma, ora nessuno ci mette la faccia. Perché le parole “re” e “regime” che allora indignavano oggi fanno rima con Renzi.
Era il 12 ottobre 2018. Solo due anni e due governi più tardi, sono seduti sui banchi del partitino di Renzi che, avendo provocato la crisi del governo Conte, il 27 gennaio è dovuto tornare notte tempo in Italia con un jet privato per incontrare Mattarella per le consultazioni. Il senatore di Firenze era proprio alla corte del re Salman, in qualità di speakerman al soldo del fondo sovrano dell’Arabia Saudita controllato direttamente dalla famiglia reale. Renzi resistette alle polemiche promettendo: “Sono pronto a discutere con tutti i giornalisti in conferenza stampa dei miei incarichi istituzionali, delle mie idee sull’Arabia Saudita, del futuro della pace di Abramo, del Medio Oriente, ma lo facciamo la settimana dopo la crisi di governo”. La crisi è passata, il governo Draghi è stato formato. Ed è trascorso quasi un mese dal 29 gennaio scorso quando Matteo Renzi dava la sua parola: di lì a poco avrebbe spiegato tutto sulle conferenze in Arabia Saudita finite al centro delle polemiche. Quegli incontri durante i quali l’ex premier, davanti al principe Mohammed bin Salman, definiva l’Arabia come “terra del nuovo Rinascimento”.
Ricontattato in queste ore per chiarire, Renzi ancora non risponde (i messaggi via Whatsapp li ha letti tutti però). Ma sono anche altri a non rispondere. Tutta Italia Viva sembra soffrire di questa amnesia. A partire dai tanti “compagni” di Renzi che solo due anni prima avevano definito il regime del principe con parole molto diverse. Altro che “culla del Rinascimento”. Scalfarotto, Paita, Giachetti, Ungaro, Di Maio (Marco), avevano messo la loro firma a un’interrogazione dell’allora collega del Pd Lia Quartapelle nella quale si dava atto che “le Nazioni Unite e numerose organizzazioni internazionali non governative, quali Amnesty International, denunciano sempre più gravi violazioni dei diritti umani e delle libertà fondamentali in Arabia Saudita, con frequenti detenzioni arbitrarie di attivisti, ecclesiastici di alto profilo, dirigenti d’azienda, giornalisti e commentatori dei social media”. E poi si arrivava al punto: l’omicidio Khashoggi e il regime.
I deputati erano così arrabbiati che il governo non prendesse ancora posizione sulle complicità che trapelavano, da evocare possibili rappresaglie economiche dell’Italia facendo leva sugli acquisti di petrolio: “L’interscambio commerciale tra l’Italia e il Regno saudita – si legge nel documento – si è caratterizzato, nell’ultimo anno, per una contrazione del -24 per cento delle nostre esportazioni mentre le importazioni sono aumentate del +38 per cento, di cui il 90 per cento è riconducibile alla sola voce idrocarburi”. Come dire, l’Italia può far sentire la sua voce. E allora si chiede “quali informazioni disponga il Governo in merito alla vicenda di cui in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda adottare qualora fosse appurato che la scomparsa del giornalista del Washington Post sia riconducibile alle responsabilità della famiglia reale saudita”.
Proprio ieri, a distanza di oltre due anni dall’interrogazione, gli Usa hanno diffuso un rapporto dell’intelligence che inchioda re Salman all’omicidio del giornalista dissidente: “Ha autorizzato lui l’operazione”. Un piano che ha coinvolto ben 21 persone, elencate nel rapporto, che i servizi americani ritengono con “alta sicurezza” complici o responsabili per la morte del giornalista. Ovviamente l’atto d’accusa a stelle e strisce è motivo di ulteriore imbarazzo per Renzi, già senatore della Repubblica Italiana che, stando a libro paga (cachet di 80mila euro), ne celebrava il culto. Ma Renzi non risponde disattendendo ancora una volta i suoi stessi impegni, presi pubblicamente. Neppure quando questi gli vengono ricordati. Legge tutto, a nulla risponde. Richiamiamo allora i firmatari di quell’interrogazione indignata contro il “regime”: qualcosa da dichiarare? Paita, come detto, non si fa più viva, Giachetti si scherma dietro al “con voi non parlo”, Scalfarotto – che fino all’altro ieri aveva responsabilità al ministero degli Esteri – non chiamerà più.