Le tribolazioni degli ultimi anni del Livorno Calcio sono le stesse tribolazioni che affronta la nostra società post-capitalista nella sua interezza: per sopravvivere bisogna essere appetibili finanziariamente, altrimenti è impossibile.
Nel caso degli amaranto toscani, questa semplice ma crudele massima ha significato essere alla totale mercé del loro benefattore – Aldo Spinelli – e delle sue capacità imprenditoriali. Nei ruggenti anni 2000, autentico periodo d’oro del sistema calcio Italia, il patron aveva soldi e voglia di investirli in quella che sembrava una gallina dalle uova d’oro; di conseguenza il Livorno è andato bene: diverse presenze in Serie A, una rosa dignitosa, alcuni giovani ben lanciati sul panorama calcistico. Poi, quasi all’improvviso, al Livorno è capitato lo stesso destino spettato a tante altre realtà simili: il suo principale finanziatore ha chiuso i rubinetti – per necessità o mero calcolo di rischio imprenditoriale, cambia poco – e la sopravvivenza stessa dei labronici è cominciata a essere in discussione.
Il Livorno Calcio è stato messo sul mercato. Al capezzale della nobile decaduta sono accorsi diversi pretendenti – con un diverso grado di credibilità -, ma nessuna delle trattative intavolate ha portato ad alcuno sviluppo concreto. La stessa crisi affrontata da altre piazze con maggiore bacino di utenza, o in generale con maggiore possibilità di diventare profittevoli, è stata risolta con l’arrivo di quello che in gergo finanziario prende il nome di Cavaliere Bianco. Ovvero, un investitore – nella pratica spesso straniero – supportato da un impero finanziario di qualche tipo che ha comprato la squadra e l’ha gestita per un periodo di tempo più o meno lungo.
Il problema di Livorno (e potenzialmente di altre mille piazze in Italia) è quello di non avere lo stesso appeal di squadre come Inter, Milan, Roma o Fiorentina. Risultando poco appetibile per investitori esterni, le sorti del Livorno sono rimaste naturalmente connesse a doppio filo con la voglia del suo benefattore di continuare a tenere la spina attaccata. Da una situazione gestita in tal modo non poteva nascere niente di buono, e infatti niente di buono è arrivato. La retrocessione in C della passata stagione è stata praticamente inevitabile, e l’attuale piazzamento tra gli ultimi posti non lascia intravedere nulla di positivo per il futuro.
Per una volta, tuttavia, sono le vicende extra-campo ad alimentare l’ottimismo dei tifosi. Nella città toscana, infatti, quello che all’inizio si è costituito semplicemente come un gruppo di studio ha pensato che per rompere questa dipendenza dal capitale non si dovesse ricorrere all’ennesimo multimilionario di ventura ma che fosse più intelligente e sostenibile cercare di coinvolgere la comunità cittadina. Su queste fondamenta è nato, dunque, Livorno_Popolare. Si tratta di un comitato cittadino messo in piedi per sensibilizzare gli abitanti della città alla questione e un progetto che negli obiettivi ha l’ottenere le quote di maggioranza del club.
Le questioni logistiche come struttura, governance e sistema di voto per la partecipazione diretta verranno affrontate in un secondo momento. In questa prima fase i paletti stabiliti sono l’obiettivo dell’iniziativa, che mira esclusivamente al raggiungimento delle quote di maggioranza (per scongiurare i rischi ben noti derivanti dal possesso di inutili e dispendiose quote di minoranza) e l’inclusività che questa assemblea popolare avrà. Già dal manifesto programmatico e ideologico, infatti, emerge chiaramente la dimensione politica del progetto “giusto e inclusivo attraverso un pratica sportiva che distrugga le barriere legate alla razza/etnia (antirazzismo), genere (antisessismo e anti-omotransfobia) e classe (anti-classismo), valorizzando percorsi calcistici inclusivi sia femminili che maschili”.
Una dichiarazione di intenti che non potrebbe essere più chiara di così: si mira a costruire una realtà equa, giusta e solidale che possa gestire il Livorno Calcio nel modo più sostenibile e illuminato possibile, tenendo lontana l’umoralità imprenditoriale del milionario di turno, anche e soprattutto se dovesse presentarsi con gli abiti del salvatore della patria.
Nel mondo del calcio, reazionario e conservatore per definizione, parlare di sostenibilità e di accessibilità orizzontale è un gesto di rottura decisamente significativo. Riappropriarsi dei meccanismi decisionali interni alla propria squadra è un atto la cui radicalità assume valore se analizzato con la prospettiva di un sistema-calcio che impone se stesso – attraverso una verticalità che non ci si cura neanche di nascondere – come l’unica alternativa possibile di thatcheriana memoria, relegando alla sfera ideologica o addirittura utopista qualsiasi approccio alternativo.
Attendere l’arrivo di una cordata e sperare nella benevolenza della stessa vuol dire riporre nel mercato una fiducia immeritata, i cui esiti si sono già osservati nella fine rovinosa della parabola di Spinelli. Prendere in mano la situazione, cercando di rimettere al centro la comunità livornese è, di converso, un gesto di grande rottura, al quale non possiamo guardare che con favore.
Nel 2021 ripensare il mondo del calcio è doveroso e necessario. Il cambiamento, spesso, è veicolato dal messaggio “Contro il calcio moderno”, ovvero auspicando il ritorno a un imprecisato passato, dove storture e distorsioni non sarebbero esistite – cosa ovviamente tutta da dimostrare. A noi piace ragionare al contrario, pensando che la via immaginata da Livorno_Popolare possa essere la naturale evoluzione del calcio negli anni a venire. In questo caso, ben venga il calcio moderno e che diventi il calcio del futuro!