Dopo aver appreso da illustri commentatori che il futuro industriale del paese si gioca sul mantenimento della capacità di consegna a basso costo di pizze a domicilio, siamo andati a guardare i bilanci e modelli di business delle aziende che dovrebbero fuggire dal Paese dopo che la procura di Milano ha affermato che “i rider sono cittadini e non schiavi”. Risultato? Perdono tutti tanti soldi ma in realtà non se ne andrà nessuno. Cerchiamo di capire perché.
Indagine sui rider: mancata sicurezza, ammende per 733 milioni alle società. Pm Greco: “Ne devono assumere 60mila” https://t.co/7diu99CJru via @LaStampa . Nessun problema le società chiuderanno e i rider saranno felici col reddito di cittadinanza e per tutti noi niente pizza.
— Alessandro De Nicola (@aledenicola) February 24, 2021
Alcuni gruppi sono quotati, quindi l’accesso ai bilanci è semplice. Per altre è più difficile perché. Permesso che tutte hanno beneficiato di un incremento dei ricavi, favorito dalla pandemia, che ha fatto aumentare sensibilmente , il rosso rimane il colore dominante sulle pagine dei bilanci. Il colosso statunitense Uber opera in mezzo mondo e anche in Italia nella consegna di cibo a domicilio attraverso Uber Eats. Lo scorso anno il gruppo ha perso nel complesso poco meno di un miliardo di dollari. La sola divisione di consegne a domicilio ha registrato un rosso di 145 milioni di dollari (120 milioni di euro). Delivery Hero è quotata a Francoforte, in Italia controllava Foodora che è poi stata ceduta alla spagnola Glovo. Ha chiuso i primi 6 mesi del 2020 con una perdita di 451 milioni di euro. C’è la britannica Deliveroo (controllata da Roofood) che nel 2019 ha perso 317 milioni di sterline (365 milioni di euro). L’unica ad essere in utile è la britannica Just Eat che adotta però un modello di business un poco differente e, guarda caso, è stata la prima ad annunciare che avrebbe regolarmente assunto i ciclo fattorini. Purtroppo nei bilanci non esiste un dato preciso sul costo dei rider, non essendo assunti non figurano come costo del lavoro. Difficile capire quindi quanto incida realmente. Ma è difficile che sia qui che vanno cercate le ragioni delle perdite.
Eppure, in tutti i questi gruppi i soci continuano a sopportare le perdite e nuovi finanziamenti continuano ad arrivare. Perché? Perché, come nel film “highlander” ne resterà uno solo. A quel punto sì che inizieranno ad arrivare i profitti. Per ora è in corso una lotta all’ultimo sangue per conquistare il dominio del mercato. Le perdite fanno parte del “gioco”, come già avvenuto in altri settori. Una volta che ci sarà un vincitore potrà iniziare a dettare le sue condizioni in un comparto che, visto anche le evoluzioni del mercato del lavoro e lo del lavoro da casa, è destinato comunque a crescere. Per questo si accetta di offrire un servizio molto sotto costo per cui se i ricavi aumentano, le perdite fanno altrettanto. In questa guerra le retribuzioni dei rider non sono altro che una delle voci comprimibili, che consente di arginare le perdite, ma di sicuro non il fattore decisivo. Non è certo perché dovrà rimpinguare un po’ le buste paga o riconoscere qualche diritto, che uno di questi gruppi abbandonerà il campo. Sia l’Italia o sia qualsiasi altro paese.
Peraltro la Commissione Ue ha appena lanciato una consultazione che potrebbe anticipati interventi normativi a tutela dei lavoratori della cosiddetta “gig economy”. La decisione dopo che la Gran Bretagna ha sentenziato che gli autisti di Uber sono a tutti gli effetti lavoratori dipendenti.
Più in generale e al di là dello specifico settore del delivery, la tiritera per cui se le aziende devono pagare i lavoratori se ne vanno dura da decenni ed è stata usata come grimaldello per far passare qualsiasi decurtazione di stipendi e/o diritti. La realtà racconta qualcosa di diverso. La quota dei profitti aziendali è andata via via aumentando in rapporto al costo del lavoro. Questi soldi in più però non sono serviti per investire in ricerca, innovazione, migliorare la società. Purtroppo niente di tutto questo. I soldi sono o parcheggiati in paradisi fiscali dove non si pagano tasse oppure sono stati usati per operazione di buyback. Ovvero il riacquisto delle proprie azioni da parte di una società. In questo modo il valore del titolo sale, i soci si arricchiscono e i managers incassano stock options e bonus da favola. Quello che si toglie dalle buste paga finisce dritto dritto in tasca a soci e proprietari.