Un documento dell’ambasciata italiana a Kinshasa, svela che il ministero degli Esteri congolese era stato informato dell’imminente viaggio dell’ambasciatore Attanasio nella regione di Goma fin dal 15 febbraio scorso. La carta smentisce quanto fin da subito sostenuto dal governo congolese – in teoria il primo responsabile della sicurezza del corpo diplomatico straniero sul proprio territorio – che ha dichiarato di non aver mai saputo del viaggio e quindi di non avere potuto attivare la protezione dei servizi e delle autorità locali.
Ma c’è un giallo: secondo un contro-documento stilato sabato 27 febbraio dallo stesso ministero, dopo che la nota dell’ambasciata è stata resa pubblica dai media, lo stesso 15 febbraio Attanasio avrebbe “comunicato a voce” al capo del protocollo congolese l’intenzione di non partire più per Goma. A rimestare ancora di più le acque, il dettaglio fornito dal ministero secondo cui all’aeroporto di Kinshasa non avrebbero mai visto imbarcarsi l’ambasciatore, della morte del quale avrebbero appreso “con stupore” soltanto dai social media, mentre a loro dire ancora aspettavano la nota che avrebbe dovuto formalizzare la cancellazione del viaggio.
Una ricostruzione da cui sembra trasparire la chiara volontà di non essere chiamati in causa sulla responsabilità della protezione di Attanasio durante il suo ultimo viaggio. Aspetto su cui ci si attende possano portare chiarezza le tre distinte inchieste in corso nel Paese e condotte dagli inquirenti italiani, da quelli delle Nazioni Unite e delle autorità congolesi.
D’altronde lo stesso Pam, pur senza sbilanciarsi nei giudizi, aveva sottolineato che la responsabilità sulla sicurezza in questi casi è “inevitabilmente condivisa“. Sullo sfondo restano le parole della moglie di Attanasio, Zakia Seddiki: “Qualcuno che conosceva i suoi spostamenti ha parlato, lo ha venduto e lo ha tradito“, ha detto nei giorni scorsi in un’intervista a Il Messaggero.