È stato utilizzato come arma contundente contro il governo Conte durante tutta la gestione della pandemia. Il leghista Riccardo Molinari ha più volte gridato al “golpe giuridico“, Matteo Renzi ha parlato di “diritti costituzionali calpestati” e poi c’è chi, come Sabino Cassese, ha auspicato l’intervento della Consulta o chi ha strattonato direttamente il capo dello Stato. Tutti contro i famigerati dpcm, provvedimenti emanati d’urgenza dal presidente del Consiglio per rispondere in modo tempestivo al coronavirus e bollati dal centrodestra, renziani e anche da una parte del Pd come incostituzionali. Ora che a Palazzo Chigi c’è Mario Draghi, però, ed è in arrivo un dpcm che durerà addirittura fino a Pasqua, chi ieri era sulle barricate e oggi fa parte della squadra di governo ha deposto le armi, la neoministra Mariastella Gelmini di Forza Italia è passata dal definirlo uno “strumento discutibile” a trattarne i contenuti con le Regioni e gli emeriti costituzionalisti che per mesi hanno attaccato l’ex premier dalle pagine dei giornali, gonfiando le vele a no-mask e “gilet” vari, sembrano aver ammorbidito i toni. Solo il partito di Giorgia Meloni, rimasto all’opposizione, sottolinea la continuità con l’esecutivo precedente. Matteo Salvini invece ha scelto una nuova strategia: da un lato ha smesso di attaccare la forma degli atti governativi, e dall’altro chiede di riaprire il Paese mentre mezza Europa è barricata in casa e gli ospedali tornano a riempirsi per le varianti.

Da Cassese a Baldassarre, “emeriti” contro i dpcm – Il primo decreto del presidente del Consiglio dei ministri per contrastare l’avanzata del virus risale al 25 febbraio 2020. Sono i giorni in cui è stato accertato il paziente 1 a Codogno e i 10 comuni del Lodigiano vengono messi in zona rossa insieme a Vo’ euganeo con un apposito decreto-legge. Il dpcm si muove dentro questa “cornice” legislativa ed estende alcune misure (stop agli eventi sportivi e alle gite scolastiche, lavoro agile, didattica a distanza nelle scuole) a Emilia Romagna, Friuli, Lombardia, Veneto, Liguria e Piemonte. Nel giro di poco tempo si arriva alla chiusura di tutte le scuole, al lockdown nazionale e alla lista di attività non essenziali costrette a fermarsi. Un’emergenza continua, con i casi di Covid che corrono a livello esponenziale, e i dpcm che si susseguono a cadenza pressoché settimanale. Non appena viene scavallato il picco dei contagi, però, parte il coro di politici, giornali e costituzionalisti. Il più duro è Sabino Cassese, giudice emerito della Consulta: “Invece di abusare dei decreti del presidente del Consiglio dei ministri”, dice a Il Dubbio, bastava “ricorrere, almeno per quelli più importanti, a decreti presidenziali“, cioè del Quirinale. “È forse eccessivo parlare di usurpazione dei poteri, ma ci si è avvicinati”. In un’altra intervista, a La Verità, allude persino alla possibilità che prima o poi anche la Corte costituzionale possa pronunciarsi sulla questione.

Al fianco di Cassese – che oggi chiede a Draghi di “mettere in soffitta i dpcm” – in quei giorni si schiera anche il presidente emerito della Corte Antonio Baldassarre, secondo cui Conte fa un “uso frequente e spregiudicato dei dpcm che scavalcano tutti i controlli”. Poi c’è il giurista Giovanni Guzzetta, che chiede direttamente a Sergio Mattarella di riconoscere “la centralità” dei tradizionali decreti legge per fronteggiare le emergenze. Tanti altri, invece, difendono la linea dell’esecutivo. Come Gustavo Zagrebelsky: “Il governo non ha usurpato poteri che non gli fossero stati concessi dal Parlamento. Undici decreti sono tanti, ma l’autorizzazione data al governo prevede precisamente che l’attuazione sia, per così dire, mobile, seguendo ragionevolmente l’andamento dell’epidemia”, spiega a Il Fatto Quotidiano l’1 maggio. “Le restrizioni dei diritti costituzionali in situazioni come quella che stiamo vivendo e nei limiti ch’essa richiede devono avvenire in base alla legge, ed è ciò che è avvenuto“.

Centrodestra, renziani e dem: chi attaccava il governo e ora tace – La battaglia sui dpcm si combatte anche in Parlamento, dove il centrodestra si mostra compatto più che mai. Tanto che il 29 aprile Fi, Lega, Fratelli d’Italia e Noi con l’Italia presentano una mozione congiunta per denunciare i “numerosi provvedimenti sostanzialmente amministrativi” adottati da Conte. Addirittura parlano di una “violazione delle fonti del diritto, trattandosi di una fonte normativa secondaria”. Tra i firmatari c’è la berlusconiana Mariastella Gelmini, che se in quel periodo parlava dei dpcm come uno “strumento discutibile”, oggi spalleggia Roberto Speranza nella linea del rigore in qualità di ministra per gli Affari regionali del governo Draghi. Una piroetta simile a quella del partito di Maurizio Lupi: anche lui aveva sottoscritto la mozione, mentre ora può contare su un suo sottosegretario (Andrea Costa) al ministero della Salute. Tra i leghisti, a fare la voce grossa nei mesi più duri della pandemia, ci sono invece il capogruppo a Montecitorio Molinari e Claudio Borghi. Che parlano di “dittatura sanitaria” e “golpe giuridico”. Il deputato Igor Iezzi va anche oltre: “Noi saremo la nuova Resistenza”, dice in Aula tra i cori del centrodestra al grido “Libertà, libertà”.

L’elenco si allunga con Paolo Romani (“Non si può governare un Paese a suon di dpcm”), il forzista Giorgio Mulé (“Conte è un servo della legge, non è il monarca, deve rientrare in un recinto costituzionale di regole”), Lucio Malan (“Nella Costituzione non sono previsti i dpcm”), Benedetto Della Vedova, che oggi è sottosegretario agli Esteri: (“Non capiamo perché si debba procedere a colpi di dpcm“). Persino la presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati, uscendo bruscamente dal suo ruolo istituzionale, bombarda l’esecutivo accusandolo di aver “gestito tutte le fasi dell’emergenza con un ricorso esagerato a Dpcm, emanati senza preventiva e dovuta consultazione con un voto del Parlamento”. E polemiche non sono mancate nemmeno in casa Pd, con il deputato Stefano Ceccanti costretto in tutta fretta a ritirare un emendamento con cui si chiedeva che i nuovi decreti del presidente del Consiglio venissero sottoposti una settimana prima al parere delle Camere.

Tutti loro oggi non battono ciglio di fronte al primo dpcm dell’era Draghi. Così come Matteo Renzi, che durante la prima ondata era arrivato a parlare apertamente di “scandalo incostituzionale“. È fine aprile, il Paese si appresta a entrare nella “fase 2” della pandemia e Palazzo Chigi decide di fare tutto per gradi, riaprendo negozi, attività e spostamenti un passo alla volta. Il leader di Italia viva vorrebbe invece di più: il governo “pensi ai posti di lavoro, non a calpestare la Costituzione“. La ministra Elena Bonetti, nel frattempo rimasta al suo posto nonostante il giro di vite nel Palazzo, è d’accordo: “Il dpcm è un decreto della presidenza del Consiglio dei ministri, per sua natura non viene condiviso all’interno del Cdm e nemmeno in Parlamento”, quindi certe misure, come lo stop alle messe, andrebbero prese “in modo più condiviso”, dice. Il renziano Marco Di Maio rivendica pure un emendamento, a firma De Filippo, il cui obiettivo implicito è quello di “scoraggiare l’uso dei Dpcm e favorire quello dei decreti legge”. A chiudere il cerchio in perfetto asse con le destre ci pensa Michele Anzaldi: “Ora Italia Viva dice no a chi limita le libertà coi Dpcm ed esautora il Parlamento“.

Conte a Firenze: “Ecco perché è lo strumento più adatto” – A niente, nel corso dei mesi, sono servite le spiegazioni date da Giuseppe Conte, dalla necessità di usare uno strumento “agile” per rispondere al virus alla “copertura legislativa” fornita dai vari decreti-legge che hanno sempre accompagnato i suoi provvedimenti. Non è un caso che l’ex premier, dopo essere stato costretto alle dimissioni, abbia scelto proprio questo argomento per la sua lectio magistralis all’università di Firenze. Non solo un ritorno in cattedra, ma anche un modo per rimarcare che sì, il nuovo governo è in continuità con il precedente. Con la sola differenza che a Palazzo Chigi ora c’è Mario Draghi e la maggioranza è stata allargata a chi, fino a poche settimane fa, ancora parlava di dittatura sanitaria. “La strategia normativa” per il Covid, “è stata costruita su tre pilastri: ordinanze del ministro della Salute, dichiarazione stato di emergenza nazionale, l’adozione di decreti legge e Dpcm”, ha spiegato Conte agli studenti. “Non sarebbe stato possibile lasciare l’intera regolamentazione ai solo decreti legge, poiché l’imprevedibilità dell’evoluzione pandemica ci ha costretto a intervenire svariate volte anche a distanza di pochi giorni e, come sapete, la conversione dei decreti-legge va operata dal Parlamento entro 60 giorni, con la conseguenza che la medesima conversione sarebbe intervenuta, il più delle volte, a effetti ormai esauriti o comunque superati dal successivo decreto“. Questa strategia, conclude, “ha permesso al nostro sistema democratico di reggere a questa dura prova, evitando che lo ‘stato di emergenza’ potesse tramutarsi in ‘stato di necessità'”.

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