Giovanni Toti, 6 febbraio: “Il nostro movimento politico si è battuto per Draghi fin dall’inizio della crisi, convinto che sia quel che serve al Paese”. Giovanni Toti, 26 febbraio: “Io credo che si debba cambiare passo e dare un minimo di prospettiva. Parlare di chiusure fino a oltre Pasqua non mi sembra francamente un cambio di passo”.
Nell’arco di neanche un mese, il presidente della Liguria è arrivato a interpretare due ruoli opposti tra loro: da fervido sponsor dell’esecutivo Draghi – tanto da proporsi come il federatore di un centrodestra unito a suo sostegno – nelle ultime ore è diventato il primo dei suoi azionisti a criticarlo apertamente, scagliandosi contro l’idea di una stretta nazionale per arginare i contagi della terza ondata di coronavirus.
“Se uscisse fuori che l’unica strategia del nuovo governo è quella di chiusure generalizzate come con il vecchio esecutivo francamente credo sarebbe una delusione per molte categorie”, si è sfogato con le agenzie di stampa, rompendo il clima di pace istituzionale che aveva segnato i primi giorni del nuovo governo. Ma in questo improvviso cambio di tono i maligni vedono un risentimento personale: perché il suo partito, Cambiamo!, è rimasto l’unico escluso dalla grande spartizione dei posti da sottosegretario.
Tra i 64 nomi della squadra di governo infatti non c’è nemmeno un totiano, nonostante gli strapuntini concessi a forze molto meno pesanti in Parlamento. Il movimento del governatore, dopo i recenti ingressi di Osvaldo Napoli, Guido Della Frera e Daniela Ruffino, è diventato la prima componente del gruppo misto della Camera, con 8 deputati (a palazzo Madama conta tre seggi): eppure è rimasto a secco, mentre Più Europa (un deputato e un senatore) ha ottenuto il sottosegretario agli Esteri Benedetto Della Vedova, Noi Con L’Italia (3 deputati) quello alla Salute Andrea Costa, e Centro Democratico (un deputato e un senatore) ha piazzato alla presidenza del Consiglio il proprio leader Bruno Tabacci, in qualità di sottosegretario con delega alla programmazione economica.
Uno sgarbo troppo evidente per non far infuriare Toti, che fino all’ultimo ha provato a inserire uno dei suoi nomi di peso (Gaetano Quagliariello e Paolo Romani) o in subordine i fedelissimi deputati Manuela Gagliardi e Giorgio Silli, senza trovare sponde. Chi gli lavora accanto racconta di umore pessimo e tensione palpabile, tanto più che all’esclusione – a quanto si vocifera – hanno contribuito manovre di esponenti di Forza Italia, ancora scottati per lo sgarbo che il governatore fece al proprio ex partito lasciandolo fuori dalla nuova giunta ligure.
Per di più, uno dei posti di governo azzurri – quello di sottosegretario alla Difesa – è occupato da Giorgio Mulè, portavoce dei gruppi parlamentari, ex collega e ora nemico giurato di Toti, che a ottobre, durante il caos-giunta ligure, definì “ributtante” il suo comportamento. “In quel caso non c’era un solo motivo per escludere Forza Italia dalla squadra”, dice Mulè a ilfattoquotidiano.it. “Toti ha voluto fare di testa propria e ora paga la sua scarsa visione e lungimiranza, non toccando palla nel governo. Spero gli serva a fare un bagno di umiltà e ricordarsi che si gioca di squadra, atteggiarsi da faraone non serve”. E si lascia andare a una provocazione: “C’era chi in Liguria mi chiamava paracadutato, quindi il ministero della Difesa mi va a pennello…”. Silenzio, invece, dagli organi di Cambiamo!, che tacciono a ogni richiesta di commento. E nel monolitico sostegno al governo si apre una prima, piccola crepa.