di Dario Immordino*
Una recente ricerca internazionale (del centro Rand) stima che la corruzione costa all’economia dei paesi europei oltre 900 miliardi di euro l’anno e a quella italiana almeno 237 miliardi, pari a circa il 13% del Pil. Si tratta di numeri difficili da verificare, ma l’impatto negativo della corruzione sui sistemi economici risulta ormai ampiamente comprovato.
Secondo i dati della Banca Mondiale (indici 2017), il reddito medio nei paesi con un alto livello di corruzione è circa di un terzo inferiore a quello dei paesi con un basso livello di corruzione, ed una ricerca dell’Istituto per la competitività certifica che il radicamento del fenomeno corruttivo inibisce l’afflusso di capitali stranieri e incide negativamente sull’occupazione spingendo le imprese a mantenere una dimensione ridotta; mentre la riduzione del livello di corruzione favorisce l’avvio di nuove imprese, il radicamento di capitali e imprese straniere, rende più agevole la gestione delle attività pubbliche, incide positivamente sull’occupazione giovanile.
Non a caso il premier nel discorso di insediamento ha evidenziato la necessità di contrastare la corruzione e i suoi effetti: meno investimenti, riduzione dell’occupazione, dei redditi e dei consumi, delle entrate fiscali, della quantità e qualità dei servizi pubblici, lievitazione dei costi burocratici e del contenzioso contro cittadini ed imprese.
Un recente rapporto dell’Anac rivela che nel triennio 2016-2019 in Italia si sono registrati un episodio di corruzione a settimana e un arresto ogni 10 giorni. Il numero può sembrare piuttosto esiguo se rapportato ad un apparato pubblico di decine di migliaia di unità, ma risulta allarmante se si considera che i dati ufficiali (riferiti ai provvedimenti della magistratura) non forniscono una stima attendibile della reale entità del fenomeno corruttivo, che resta in larga misura sommerso e deve pertanto essere considerato molto più esteso di quanto lascino intendere le statistiche giudiziarie.
Le norme penali sono molto severe, ma si sono dimostrate inadeguate a contrastare il dilagare della corruzione a causa del ridotto numero di denunce, della difficoltà di scoprire e sanzionare i casi e di accertare il passaggio di denaro o il conseguimento di altri vantaggi, dei tempi lunghi delle indagini e dei processi, che richiedono svariati anni e spesso si interrompono a causa della prescrizione.
Per ovviare a queste criticità, la legge del 2012 ha imposto a tutte le amministrazioni, gli enti e le società pubbliche di perseguire come eventi corruttivi tutti i casi di malaburocrazia e violazione di norme, a prescindere dal conseguimento di denaro e dalla conclusione delle indagini penali, e di adottare un piano anticorruzione e una serie di strumenti per prevenire e contrastare il fenomeno: rotazione del personale, regole stringenti sul conflitto di interessi, codici di comportamento, tutela di chi segnala episodi corruttivi, incompatibilità specifiche per alcuni incarichi dirigenziali, obblighi di trasparenza per gli atti pubblici e i dati su dipendenti, dirigenti e amministratori, adozione di meccanismi di prevenzione del rischio di corruzione, informatizzazione e digitalizzazione dei procedimenti amministrativi, accesso generalizzato agli atti pubblici, misure di semplificazione dell’organizzazione burocratica e dell’attività amministrativa, controlli efficienti.
Queste norme consentono di anticipare, estendere e rendere più efficace il contrasto alla corruzione. Tuttavia le relazioni dell’Anac e della Corte dei conti rivelano che le amministrazioni e le società pubbliche le hanno applicate solo formalmente, come complessi e fastidiosi adempimenti burocratici. Il campionario delle elusioni è vasto: piani anticorruzione fotocopia, sostanziale inattuazione delle misure precauzionali imposte dalla legge e delle regole di semplificazione e trasparenza, controlli inefficaci, scarsa responsabilizzazione del personale, assenza di coordinamento tra il piano anticorruzione e quello della performance, scarso coinvolgimento di dirigenti e vertici politici.
Le sanzioni, inoltre, sono soltanto virtuali, poiché l’Anac non ha la struttura adeguata per verificare l’attività di venti regioni, oltre ottomila comuni e decine di migliaia di altri soggetti che svolgono funzioni pubbliche, e per verificare la legittimità di un infinta mole di atti. Questa allarmante situazione potrebbe notevolmente aggravarsi a causa dell’emergenza sanitaria, che impone di accelerare procedimenti e acquisti pubblici attraverso deroghe alle regole standard, riduzione e semplificazione dei controlli.
Basti pensare al regime speciale (provvisorio) per l’affidamento degli appalti pubblici introdotto dal cosiddetto decreto Semplificazioni, che estende l’applicazione delle procedure di urgenza per l’affidamento e la consegna dei lavori, amplia la possibilità di aggiudicare gli appalti senza gara, “taglia” numerosi adempimenti e controlli previsti dal Codice dei contratti, consente di procedere all’aggiudicazione delle gare e all’esecuzione dei lavori in deroga a ogni disposizione di legge (con pochi vincoli: il rispetto delle norme penali, della normativa antimafia e delle regole europee), accentra in capo ai commissari pressoché tutti i poteri di aggiudicazione ed esecuzione delle opere di particolare rilievo.
Queste norme, peraltro, vengono abbinate alle disposizioni che rendono non punibili gli sprechi di risorse pubbliche causati da grave negligenza, superficialità, mancanza del livello minimo di prudenza di dipendenti e amministratori pubblici, depotenziano il reato di abuso di ufficio ed introducono limiti all’annullamento dei contratti dichiarati illegittimi dai giudici amministrativi.
Questo regime speciale comporta un rischio concreto di proliferazione degli episodi di corruzione, degli sprechi e delle irregolarità negli acquisti pubblici. Non a caso le verifiche dell’Anac hanno evidenziato una vasta gamma di criticità: proliferazione degli affidamenti diretti, gare revocate, difformità dei servizi eseguiti rispetto a quelli appaltati, prodotti non certificati.
Per invertire la rotta è indispensabile garantire il rispetto delle norme sulla trasparenza, che facilitano i controlli; inserire l’adempimento delle misure anticorruzione tra gli indicatori di performance dei dipendenti pubblici che condizionano percorsi di carriera e retribuzione accessoria; prevedere controlli efficienti sulla qualità dei piani anticorruzione e sulla corretta attuazione delle misure previste; coinvolgere concretamente dirigenti e vertici politici nell’attuazione dei piani e renderne effettiva la responsabilità; rendere efficienti i procedimenti disciplinari.
Durante l’emergenza sanitaria, in particolare, è necessario compensare le deroghe alle regole che garantiscono la qualità e l’economicità dell’attività amministrativa e degli acquisti pubblici con controlli efficienti e misure che garantiscano la trasparenza di atti e contratti della Pa.
La soglia di adempimento alle regole anticorruzione potrebbe essere considerata come requisito per l’attribuzione di finanziamenti a società pubbliche ed enti locali, in modo da premiare le amministrazioni virtuose e sanzionare quelle inefficienti.
*Avvocato e dottore di ricerca in Diritto interno e comunitario